Dentro il percorso formativo rivolto agli studenti e ai docenti degli Studi teologici francescani del Veneto (S. Bernardino-VR e Laurentianum-VE), l'Istituto di Studi Ecumenici (ISE) ha ospitato una giornata di studio e confronto sul tema scelto per quest'anno: dialogo con le religioni.
Il programma della giornata si è strutturato a partire da una relazione introduttiva (Il muro di vetro: panoramica sul pluralismo religioso in Italia) che intendeva offrire uno sguardo sintetico e interpretativo sulla presenza plurale delle fedi nel contesto italiano. Il prof. Brunetto Salvarani, docente presso la Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna e co-autore del primo rapporto sull'Italia delle religioni intitolato, appunto, Il muro di vetro (edito per i tipi EMI nel 2009), invitava a guardare in altra maniera il fenomeno del pluralismo religioso. Se è vero che l'Italia è giunta all'appuntamento con il pluralismo delle culture e delle fedi in ritardo rispetto ad altri contesti e con un atteggiamento conflittuale, è necessario, invece, osservare la pluralità delle fedi e tradizioni spirituali diverse, sempre più presenti nelle nostre città, come tempo nuovo, kairòs per le chiese e per i credenti. Dal pluralismo di fatto al pluralismo di principio.
E sul pluralismo religioso, infatti, si è concentrata l'altra relazione offerta dal prof. Marco Dal Corso, docente presso l'ISE, volendo soprattutto indagare il contributo dell'ecumenismo al dialogo tra e con le religioni.
I lavori di gruppo tra studenti e tra i docenti presenti hanno voluto approfondire e discutere gli spunti offerti dalle relazioni iniziali. Il dibattito accolto, allora, nel pomeriggio ha evidenziato come la parola che maggiormente viene messa in discussione sia quella di identità e quindi quella, conseguente, di appartenenza. L'apertura al dialogo interreligioso sembra una minaccia alle proprie radici.
Eppure, proprio la vocazione biblica (vedasi Abramo) è quella di colui che piuttosto che radici a cui tornare (vedasi Ulisse), accetta, anche senza capire tutto, l'invito ad andare. Perché, come dice la letteratura araba, l'uomo non ha radici, ma piedi. E se ancora non convince la metafora, serva, ancora una volta, tornare alla scuola dell'ecumenismo: lì abbiamo imparato che credere è diverso da appartenere. Che la parola ecumenica per eccellenza non è identità, ma piuttosto ospitalità. La persona umana prima di essere è stata accolta. Credere, allora, in tutte le lingue del mondo diventa sentirsi accolti (da Dio) e saper accogliere (le persone). Per questo non siamo più spaesati, anche se i confini identitari si dilatano, si fanno meno chiari e precisi.
La visita al Ghetto di Venezia, programmata alla conclusione dei lavori, ha voluto ancora una volta affermare che il dialogo tra le religioni è prima di tutto un dialogo tra le persone religiose.
Dal Corso Marco Zeno
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