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Recensione: B. Giovanni Duns Scoto, Commento alle Sentenze. Ordinatio I, d. 1-2

 
 
 
Foto Guerrero Troncoso Hernán , Recensione: B. Giovanni Duns Scoto, Commento alle Sentenze. Ordinatio I, d. 1-2, in Antonianum, 86/4 (2011) p. 811-815 .

Se riflettiamo un momento sulla frase di Nietzsche secondo la quale i pensieri che incedono con passi di colomba muovono il mondo, una delle prime caratteristiche che potremmo trovare nell’immagine di questi piccoli e forse il fatto che essi sono innanzitutto sottili, e che soltanto dopo qualche tempo possiamo accorgerci delle loro tracce, del loro tragitto. Lo stesso si può dire anche del lungo cammino che gli scritti del Dottor Sottile, il Beato Giovanni Duns Scoto, hanno percorso sin da quando sono stati messi su pergamena – sia da lui stesso, sia dai suoi segretari, sia dai suoi studenti –, passando per la prima grande edizione curata dal Wadding nella prima meta del XVII secolo, fino a giungere alla magnifica edizione della Commissione Scotista, i cui primi due volumi uscirono poco più di sessant’anni fa. Si tratta senza dubbio di un pensiero che ha avuto un influsso importante sulla teologia e la filosofia dal secolo XIV in poi. Allo stesso tempo il suo pensiero e stato sempre considerato difficile, oscuro, proprio per la sua forte unita, per i richiami costanti – espliciti e impliciti – che Duns Scoto opera sia a se stesso, sia ai diversi interlocutori con cui si trova in un dialogo continuo (Enrico di Gand, Avicenna, Aristotele, per nominarne solo alcuni), nonchè per il carattere di incompiutezza che la sua prematura morte impresse ai suoi scritti.

Ora, nonostante il prezioso lavoro dei frati della Commissione Scotista per rendere espliciti questi costanti rinvii e per offrire, attraverso innumerevoli note e chiarimenti, un testo di Scoto che ci permetta di seguire i diversi sentieri del suo pensiero in un modo piuttosto agevole e proficuo, resta il fatto che la lingua in cui scrisse il nostro Dottore, il latino, costituisce ancora per molti un ostacolo che rende più difficile avvicinarsi ai suoi scritti. In questo senso, quando ormai non si più lamentare la mancanza di edizioni dei testi del Dottor Sottile per conoscere il suo vero pensiero, libero da aggiunte estranee, da interpolazioni, da passi o addirittura trattati non autentici, dobbiamo tuttavia ancora ammettere che non sono molti coloro che sono in grado di studiarli compiutamente. Ne consegue che alle fatiche della Commissione si devono aggiungere quelle dei traduttori, i quali lavorano per mettere tali testi a disposizione di un pubblico più ampio.

Ed e cosi che, analogamente a quanto accade quando viene pubblicato un nuovo volume delle opere di Scoto in latino – che ci offre un’occasione per riesaminare la sua dottrina o per scoprirne aspetti che finora non avevamo studiato –, ad ogni nuova traduzione dei suoi scritti abbiamo la possibilità di rileggere con nuovi occhi ciò che avevamo già studiato, oppure di far nascere in altri l’interesse per il pensiero del Dottor Sottile. E, pur essendo il traduttore condannato a tradire sempre in qualche modo la lettera del testo originale, il fatto che renda accessibile un certo testo a coloro che non conoscono la lingua in cui e stato composto rende ancora valide le sue fatiche e induce nel contempo chi conosce la lingua a fare più attenzione alle parole che l’autore ha usato, al suo stile e al senso di ciò che ha messo per iscritto. In effetti, il traduttore non soltanto ha già letto ciò che ha trasposto in un’altra lingua, ma – se ha preso il suo lavoro seriamente – ha anche cercato di riprodurre le sfumature che servono all’autore per arricchire il suo testo, in modo tale che la sua lettura e più autorevole di quanto noi possiamo pensare a prima vista, perche ha dovuto affrontare problemi d’interpretazione che non si presentano a colui che si limita a leggerli nella lingua originale. In questo senso, anche se non siamo d’accordo con il modo di tradurre qualche parola o passo, prima di mettere in discussione la traduzione dobbiamo avere dei buoni argomenti.

Il caso degli scritti di Duns Scoto, la cui difficoltà già in lingua originale è stata da sempre riconosciuta1, pone al traduttore alcune difficoltà supplementari. Queste riguardano sia il suo pensiero, a volte ricco di rinvii espliciti e soprattutto impliciti a se stesso e alle dottrine di altri autori2, sia lo stile e il latino del nostro Dottore3, sia lo stato in cui i suoi scritti sono giunti fino ai nostri giorni4. Nel caso particolare della Ordinatio, dal fatto che essa sia stata composta a partire dalle lezioni che Scoto svolse ad Oxford e a Parigi e che egli l’abbia rivista fino alla sua morte risulta che talvolta si possono trovare passi ancora in elaborazione – dunque contenenti frasi oscure o riferimenti ambigui –, e ogni tanto addirittura appunti di Scoto allorchè prevedeva di ri- elaborare l’esposizione della sua dottrina5. In tal modo la traduzione diventa un lavoro molto più impegnativo, perche non si tratta soltanto di riportare in un’altra lingua ciò che e in latino, ma anche di guidare il lettore nella complessa rete di rinvii e riferimenti che avvolge il pensiero di Scoto.

Fatte tutte queste considerazioni, non stupisce che il secondo volume della traduzione italiana della Ordinatio, comprendente le prime due distinzioni del libro primo, sia uscito quattro anni dopo il primo6. Anzi, da quanto abbiamo detto si può inferire che si tratta di un progetto molto ambizioso, quello di tradurre il capolavoro del Dottor Sottile. Ciò e dovuto non soltanto alla già accennata difficoltà di traduzione, ma anche, se facciamo caso all’apparente semplicità con cui si presentano questi volumi, al tipo di lettore a cui sono principalmente rivolti: gli studenti del pensiero teologico e filosofico del Medioevo in generale e, in particolare, a chiunque desideri interessarsi di Scoto. Infatti, i volumi hanno un formato molto agevole, che consente di trasportarli e leggerli senza grandi difficoltà quasi dappertutto. Tuttavia, essi ci forniscono, oltre alla traduzione italiana, il testo originale latino tratto dall’edizione critica e una estesa e sobria introduzione generale, che mette in luce i punti fondamentali della dottrina del nostro Dottore e ci orienta nei suoi percorsi teorici, non di rado talmente pieni di rinvii, distinzioni e questioni collegate da indurre il lettore meno avveduto a perdere il filo dell’argomentazione. Alla fine del volume troviamo altresì un indice dei passi biblici, dei nomi, dei temi e degli autori, insieme a una bibliografia che rende ancora più agevole la consultazione del volume. Inoltre, come accenna P. Barnaba Hechich, Presidente della Commissione Scotista, nella sua prefazione, “e da lodare lo sforzo tecnico usato per giustapporre il testo italiano in corrispondenza con quello latino”, di modo tale che “la giustapposizione, non di rado solo approssimativa, e sufficiente per individuare subito i due testi di volta in volta corrispondenti”7. In questo senso, anche coloro che hanno già studiato da tempo Scoto nell’originale latino, e che ormai si sono abituati al suo stile e alle sue difficoltà, troveranno che l’italiano rende molto bene la complessità e le sfumature del latino, in un modo che non e ne troppo elegante ne troppo tecnico, ma preciso e molto gradevole da leggere.

Questo volume, che contiene le due prime distinzioni del libro primo della Ordinatio, e dunque e corrispondente al secondo volume dell’edizione Vaticana, si occupa della fruizione (prima distinzione) e dell’essere di Dio, la sua unità e Trinità (seconda distinzione). La distinzione sulla fruizione viene divisa in tre parti: l’oggetto della fruizione (n. 1-61, p. 2-57), la fruizione in sè stessa (n. 62-158, p. 58-145) e il fruitore (n. 159-187, p. 146-171). La seconda distinzione, molto piu lunga, e divisa a sua volta in due parti: l’essere di Dio e la sua unita (n. 1-190, p. 172-309) e le persone e le processioni in Dio (n. 191-439, p. 310-477). In essa troviamo, per esempio, la dimostrazione che Scoto propone dell’esistenza di Dio, basata sulla sua concezione di Dio in quanto essere infinito in atto8, nella quale vi e anche un breve esame dell’argomento di S. Anselmo, il quale viene ulteriormente “colorito”9, oppure la sua esposizione della non-identità o differenza formale, che non e soltanto il fondamento della distinzione fra le persone divine, ma possiede anche una grande importanza per capire il concetto di essere sostenuto dal nostro Dottore10.

Infine, ci auguriamo che il lavoro di traduzione integrale della Ordinatio intrapreso dai frati del Seminario Teologico “Immacolata Mediatrice”, sotto la direzione di P. Alessandro Apollonio, continui a portare frutto e che via via, imparando anche dai piccoli errori tipografici e di composizione del testo, esso possa consentire agli studiosi del pensiero medievale in generale e del Dottor Sottile in particolare di avventurarsi direttamente nelle sue complessità e nella profondità del suo pensiero.



 
 
 
 
 
 
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