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Recensione: STEFANO PARENTI, Il monastero di Grottaferrata nel Medioevo (1004-1462). Segni e percorsi di una identitā (Orientalia Christiana Analecta, 274)

 
 
 
Foto Messa Pietro , Recensione: STEFANO PARENTI, Il monastero di Grottaferrata nel Medioevo (1004-1462). Segni e percorsi di una identitā (Orientalia Christiana Analecta, 274), in Antonianum, 81/1 (2006) p. 165-167 .

«Strano e singolare, ma stupendo fenomeno»: per un volume dedicato al monastero di Grottaferrata non poteva esserci incipit più appropriato che questa frase di Paolo VI riportata da Stefano Parenti all’inizio della Prefazione (pp.45-49). Fin dal capitolo primo, “Segni” di Grottaferrata nel Medioevo e loro lettura in epoca moderna: status quaestionis (pp.51-79), l’A. propone una ben definita metodologia di lavoro, rilevando come la «storiografia elaborata in epoca moderna da alcuni membri della comunità monastica [fosse stata] a servizio e supporto degli orientamenti che di volta in volta venivano proposti dalle competenti autorità ecclesiastiche». Proprio per questo si può dire di tale storiografia ciò che l'A. afferma riguardo ai restauri di inizio ‘900, ossia che furono «realizzati con intenti “espositivi”». Infatti, ricorda Parenti, riferendosi all’opera di Leone XIII, «la riforma leonina aveva affidato a Grottaferrata il compito di “mostrare” Bisanzio alle porte di Roma e di “mostrare” agli ospiti e pellegrini di Grecia e del Medio Oriente, dei Balcani e di Russia, senza larvati intenti propagandistici, quanto il papato sia rispettoso del rito bizantino e quindi di “mostrare” una concreta possibilità di unione tra l’Occidente latino e l’Oriente ortodosso» (p.73). Poste queste premesse, l’A. passa nel capitolo secondo ad analizzare le Agiografie e culti criptensi: storie di santi e sante storie (pp.81-125); infatti, al racconto della vita dei fondatori, trasmessi prevalentemente dalla liturgia, è affidato il compito di “mostrare” l’identità del monastero, mentre «i libri liturgici antichi e moderni ci svelano […] la diversa coscienza della comunità criptense nei confronti delle proprie origini, che si esprime nell’attribuire ai “confondatori” ruoli di volta in volta differenziati» (p.81). I capitoli si susseguono affrontando diversi aspetti della storia di Grottaferrata, anche in questo caso indicando, oltre ai contenuti, i metodi di ricerca; così, dopo il capitolo dedicato a Alterità e comunione visibile: le relazioni con i vescovi e la chiesa di Roma (pp.127-163) e Da s. Nilo a s. Basilio: percorsi spirituali e canonici del monachesimo criptense (pp.165-186), al termine del capitolo quinto, La dedicazione della chiesa monastica (pp.187-200), l’A. conclude affermando  che «la festa criptense del 17 dicembre porta fin dal 1024 i germi di quella continua e non sempre cosciente dialettica tra apertura ad Occidente e conservazione, anche a motivo del precoce isolamento, di antiche tradizioni costantinopolitane ora sconosciute allo stesso mondo ortodosso che secoli addietro le aveva generate» (p.200). Nel capitolo sesto, Il cielo sulla terra: la chiesa monastica dall’XI all’inizio del XIII secolo (pp.201-242) davanti alla constatazione della complessità di tale monumento storico e artistico, viene offerta una lettura diacronica che coglie, come in uno scavo archeologico, i diversi livelli stratigrafici. Il capitolo settimo, Rinnovamento e restauri della chiesa monastica: arte, teologia e politica nella seconda metà del ‘200 (pp.243-271) e l’ottavo, «Misericordia, pace, sacrificio di lode»: il rito italo-bizantino e la tradizione di Grottaferrata (pp.273-319), tra le altre cose, analizzano la modalità di ricezione da parte della liturgia criptense di elementi latini, alcuni dei quali completamenti estranei alla propria storia; così, fa notare l'A., «nel caso del Corpus Domini viene presentata una visione e un culto del mistero eucaristico estranei alla riflessione e alla spiritualità tradizionali delle Chiese del ceppo costantinopolitano» (p.310). Dopo il capitolo nono, L’icona della madre di Dio: storia e culto (pp.321-345) e il decimo, La vita quotidiana a Grottaferrata nel Medioevo (pp.347-385), nell’undicesimo, Fast and feast: il cibo e la regola (pp.387-407) vengono indicate le quattro quaresime che i monaci erano tenuti a rispettare, così come anche la dieta vegetariana, significativamente «sufficiente ai bisogni nutritivi di persone che non si sottoponevano a lavoro fisico» (p.404) e che rappresentava, strano a dirsi, «un peso economico non indifferente» (p.407).

Il capitolo dodicesimo, La biblioteca: produzione, conservazione e raccolta (pp.410-438) mette in primo piano l’interesse mostrato dagli esterni per i codici della biblioteca criptense, come nel caso eclatante della visita nel 1432 del camaldolese Ambrogio Traversari. Il capitolo tredicesimo, Il potere dei monaci: governo civile ed ecclesiastico di feudi e proprietà (pp.439-478) si sofferma sulle tensioni dovute ai conflitti di giurisdizione con il vescovo di Tusculum, così come anche sull’Inventarium che fu fatto nel momento in cui il cardinal Bessarione prese possesso del monastero. L’ultimo capitolo, il quattordicesimo, Verso la commenda (pp.479-504), richiama l’approvazione, nel 1423, da parte di papa Martino V di una serie di riforme fra cui quella che segnava il passaggio  alla regola benedettina. Naturalmente, nell’ambito del programma teso a “mostrare” l’immagine bizantina di Grottaferrata, tale notizia era stata opportunamente occultata, rappresentando «un duro colpo […] all’immagine creata e diffusa dall’unionismo leonino di fine ‘800, di un Papato sempre attento e sollecito verso la “gemma orientale” della propria tiara» (p.492). Nelle Conclusioni (pp.505-519) l’A., dopo aver ricapitolato i periodi di Grottaferrata, afferma come la comunità criptense possa essere presentata «come esempio di “comunione dialettica” con la Chiesa di Roma» (p.518). L’Appendice (pp.521-532), la ricca bibliografia testimoniata anche dall’innumerevole serie di Sigle e abbreviazioni (pp.11-44), gli indici delle testimonianze scritte, dei nomi di persona e luogo, (pp.533-570) non solo sono espressione di scientificità e di accurata documentazione, ma offrono l’immagine di uno studio facilmente fruibile anche da parte dei meno esperti. Al termine della lettura del libro di Parenti, si può affermare che il monastero di Grottaferrata sia presentato, a volte, quale «il personale ecclesiastico destinato al proselitismo cattolico in veste “bizantina” nei paesi a maggioranza ortodossa» che nel ‘600 veniva formato nel Collegio Greco di Roma (p.97). Quello di Parenti è un testo ricco di informazioni ed interessante non solo per studiosi del medioevo bizantino, ma anche per cultori di differenti discipline, quali storici della lingua greca e latina (cfr. p. 343 in cui vengono riportati i marginalia in volgare italiano scritti, però, in caratteri greci, presenti nel codice Vaticano gr. 1214). Per chi, come il sottoscritto, si interessa alla storia della spiritualità medievale, un testo simile rappresenta uno stimolo a non limitare i campi di indagine alla Chiesa di rito latino, ponendo attenzione, tutt’al più, a ciò che accadde in Oriente; bisogna, al contrario,  prendere atto del fatto che lo stesso Occidente cristiano non fu poi così uniforme e che, oltre al rito latino, vi era una compresenza di altre comunità che vivevano una “comunione dialettica” con Roma, come mostra l'esempio di Grottaferrata.



 
 
 
 
 
 
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