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Informazione sulla pubblicazione:
Recensione: GIOVANNI CAVIGLIA, Gesù Cristo, via, verità e vita. Linee di Teologia Fonda-mentale

 
 
 
Foto Kopiec Maksym Adam , Recensione: GIOVANNI CAVIGLIA, Gesù Cristo, via, verità e vita. Linee di Teologia Fonda-mentale, in Antonianum, 81/1 (2006) p. 175-179 .

Questo libro si iscrive nell’attuale contesto caratterizzato da un’abbon-dante produzione di manuali di teologia fondamentale. Questa crescita di interesse appare ancora più netta se si pensa al periodo assai difficile per la fondamentale, seguito al Concilio Vaticano II. Di fatto, gli anni 1965-1980 sono segnati da una certa crisi derivante dall’incertezza circa l’oggetto e il metodo della teologia fondamentale.

Benché nei testi del Concilio Vaticano II manchino accenni espliciti all’apologetica o alla teologia fondamentale, tuttavia non si può dimenticare il ruolo decisivo della Costituzione Dei Verbum, la quale dà un nuovo orientamento alla fondamentale. Si assiste allora ad un fenomeno di allargamento della disciplina, di arricchimento dei suoi temi particolari e di incontro dialogico con  nuovi interlocutori. Si registra un fermento nella ricerca della sua identità in quanto disciplina teologica. Emerge un po’ dovunque la necessità di focalizzare, gerarchizzare le cose da trattare, e si parla con sempre maggior insistenza della ricerca di un “centro di unità”, un “punto focale”, una “struttura di base”. In tal modo si giunge ad affermare che il compito specifico, riservato alla fondamentale, dovrebbe risiedere nell’elaborazione dei problemi epistemologici e metodologici riguardanti l’intera teologia (p. 183).

Il suo pieno sviluppo avviene a partire dagli anni ’80 quando le viene assegnato, grazie ad un consenso comune, lo statuto di una disciplina distinta dalle altre nell’ambito generale del mondo teologico. Emerge un accordo abbastanza ampio sul primo e più essenziale compito della teologia fondamentale: quello di comprendere dal punto di vista teologico, e di esprimere concettualmente, il fondamento del cristianesimo. Esso non è costituito da una cosa, né da un’idea, ma dall’evento della rivelazione divina compiuta assolutamente nella persona di Gesù Cristo. Infatti, già l’insegnamento conciliare suggerisce la seguente equivalenza: Rivelazione cristiana = Gesù Cristo. Egli, nella sua incarnazione, è simultaneamente, in forma culminante e definitiva, il rivelatore e il rivelato (cf. DV 4). È per questo che la nozione di “rivelazione” può essere definita come il concetto più fondamentale del cristianesimo, ovvero come il suo concetto-base. Di conseguenza, viene anche riaffermata la funzione della fondamentale, la quale sta nel manifestare la rivelazione cristiana come credibile per l’uomo (p. 185).

In tale contesto ci viene offerto un altro manuale di teologia fondamentale di Giovanni Caviglia, intitolato “Gesù Cristo, via, verità e vita. Linee di Teologia Fondamentale”. Il suo contributo presenta un’altra proposta per esporre i principali contenuti della teologia fondamentale; una proposta che non è del tutto nuova e diversa, ma per certi aspetti manifesta tracce originali. Tutta l’opera è divisa in due grandi parti.

La prima, incentrata sull’evento Gesù Cristo, asse intorno al quale percorre tutto il discorso sulla rivelazione cristiana. Questa parte viene suddivisa in tre capitoli. Nel primo – è già questo un elemento di novità – l’autore parte dalla categoria dell’incontro realizzato tra l’uomo e Dio, cercando di sottolineare che ogni autentica ricerca teologica risulta da una previa esperienza della fede vissuta personalmente dal credente. In tale incontro Caviglia indica i tre protagonisti : Dio, Cristo e l’uomo. «Proprio partendo dal “fatto” dell’incontro e analizzando la parte assegnata ai protagonista […], si può arrivare a prendere coscienza dell’identificarsi della questione: “Chi è Gesù di Nazaret?”» (p. 149). Nel secondo capitolo, l’autore affronta il problema dell’oggettivazione storica della rivelazione nel mistero della Chiesa, della sua trasmissione attraverso la “tradizione viva” e la Scrittura, e della fede, vista come la più adeguata risposta dell’uomo alla rivelazione. Per mezzo di questi tre fattori, la rivelazione compiuta in Cristo può essere veicolata in modo “visibile” e sacramentale nella storia dell’umanità. Come risultato dell’incontro dell’uomo con Dio nella persona di Cristo accolta con la fede, emerge la necessità di una riflessione critica che, a sua volta, tende ad una intelligenza sempre più profonda e appropriata del dato rivelato. Questo aspetto appare, difatti, nel capitolo terzo, in cui l’autore prende in esame il tema del rapporto tra fede e teologia e, in seguito, presta una particolare attenzione all’attuale stato di ricerca scientifica intorno alla questione dell’identità della teologia fondamentale e delle sue linee di sviluppo.

Tutta la seconda parte del lavoro è dedicata al problema della credibilità della rivelazione cristiana, analizzata in doppia prospettiva: storica e critica. La prospettiva storica si dispiega in due passi, tradotti poi in due ulteriori capitoli (4 e 5); l’uno che studia il problema di Gesù della storia e Cristo della fede, e l’altro che parla dell’accesso a Gesù attraverso le fonti storiche. In questi due capitoli si vuole rispondere all’interrogativo: “quanto il cristiano vive nella sua adesione a Gesù Cristo, si può mostrare fondato sull’opera storicamente accertabile di Gesù di Nazaret e sfugge al mito comunque concepito?” (p. 155). In altre parole, vi si cerca di evidenziare il valore delle ricerche storiche su Gesù di Nazaret, il che deriva dalla dimensione storica della stessa rivelazione. Infatti, la storia si manifesta come componente essenziale dell’economia della rivelazione, come linguaggio e mezzo di comunicazione tramite cui Dio rivolge agli uomini la sua Parola autentica e definitiva.L’indole peculiare e propria della prospettiva critica consegue invece dalla domanda: “In base di quali ragioni la fede del credente, avendo già l’accesso alla figura storica di Gesù di Nazaret, può confessare in Lui il Cristo, inviato da Dio come ultima Parola in cui si realizza la salvezza di tutti gli uomini, una volta per tutte? Di quali segni dispone la fede per poter identificare in Gesù la vera  e salvifica presenza di Dio? In realtà si tratta degli interrogativi che riecheggiano la neotestamentaria domanda di Gesù: “Voi chi dite che io sia?”. La prospettiva critica costituisce la sezione più vasta di tutto il libro (i capitoli 6-11); in essa viene mostrato lo specifico della teologia fondamentale, vale a dire: rendere ragione della fede e della speranza cristiana (cf. 1Pt 3,14). Tale compito si realizza “nella ricerca e nella valutazione dei motivi suggeriti da Gesù medesimo, durante la sua esistenza terrena, come validi per far riconoscere la propria identità di Figlio di Dio incarnato, realizzatore e rivelatore della nostra destinazione soprannaturale” (pp. 163-164). Sembra che la chiave di lettura dell’impostazione suggerita dal Caviglia stia nel riprendere il detto di Gesù: “Anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre” (Gv 10,38). Richiamandosi alle “opere” di Gesù, la riflessione teologica non si vuole limitare alle sue azioni particolari e singole, ma a tutto l’insieme dei suoi gesti e parole, cioè a tutto il suo atteggiamento, avvalendosi del principio “l’agire svela l’essere” (è il compito intrapreso nei capitoli 6-8, che sembrano costituire il punto centrale del libro). Così, da questo principio, suggerito d’altronde da Gesù medesimo, appare con chiarezza “la connessione inscindibile[…] tra ciò che è (= mistero del Figlio di Dio incarnato), ciò che dice (= parola rivelatrice di tale mistero) e ciò che fa (= opere, segni[…] della presenza del mistero), connessione caratterizzata da una precisa proporzione tra l’essere, il dire e il fare, dove il “fare” è in grado di svelare l’essere[…]” (p. 164). Gli ultimi tre capitoli sono invece dedicati rispettivamente al tema della risurrezione (cap. 9), della mediazione unica e universale di Gesù Cristo in ordine alla salvezza (cap.10) e, da ultimo, al problema della teologia delle religioni (cap. 11).

Il saggio di Caviglia può essere ritenuto “consigliabile non solo agli studenti dei seminari, delle facoltà teologiche, e delle scuole superiori di scienze religiose, a cui propriamente è destinato, ma anche a chiunque desideri una introduzione seria e al contempo non impervia in un campo di tanta importanza” (p. 9). In tale senso esso svolge, di sicuro, il ruolo di introdurre il lettore nelle tematiche essenziali e proprie della fondamentale, offrendo sotto molti aspetti un’impostazione ampia, ricca e ben approfondita. Inoltre, l’autore propone nuove categorie (ad esempio, l’incontro; oppure i titoli di alcuni capitoli costituiti dai detti della DV) per chiarire il significato dei concetti di base (rivelazione  fede). Anche il linguaggio sembra agevolare la lettura del testo, soprattutto perché in tanti passi congiunge la presenza dei termini tecnici, propri della disciplina teologica, con la forma descrittiva del discorso. Tale forma mira, a volte, a “narrare” e “raccontare” una questione, ciò aiuta il lettore a comprendere la valenza dell’argomento.

Dall’altro lato, si registra, secondo il nostro parere, una scarsa attenzione (riscontrabile soltanto nel capitolo 2) agli elementi dell’ecclesiologia fondamentale, che sarebbe stato opportuno inserire nella parte dedicata alla credibilità, dopo i capitoli inerenti alla cristologia fondamentale. Inoltre, anche se l’autore giustifica la scelta del modo di procedere nella ricerca (p. 152), spostando il problema epistemologico soltanto alla fine della prima parte del libro (i paragrafi 3.2. e 3.3.), tuttavia pare che sia più comodo per il lettore iniziare la lettura di un manuale di teologia fondamentale a partire da una chiarificazione epistemologica, che gli permetterebbe di avere un’immagine totale della materia che renderà più facile ed efficace “navigare” e muoversi dentro le questioni particolari e capire il loro reciproco nesso. Ciò che potrebbe essere recuperato, tenendo conto del carattere di questo libro come manuale, è la mancanza di un’introduzione e di una conclusione dell’opera, delle quali si avverte la necessità. Esse potrebbero essere collocate all’inizio e alla fine del lavoro, ma anche all’interno dei singoli capitoli per facilitare i passaggi da un argomento all’altro.

Nonostante ciò, non si può avere alcun dubbio riguardo al valore di questo manuale, che rappresenta un altro contributo per la ricerca e l’approfondimento dei temi relativi alla teologia fondamentale. Pertanto lo si raccomanda agli studenti e ai ricercatori come saggio di grande aiuto per lo studio svolto in campo teologico, soprattutto per la problematica relativa alla fondamentale.



 
 
 
 
 
 
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