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Caterina Vigri: testimone di una retta fede, Monastero Santa Lucia Foligno, Scuola Superiore di Studi Mediavali e Francescani. Pontificia Universitā “Antonianum”, 1 dicembre 2011

 
 
 
Foto Terzoni Maria Maddalena , Caterina Vigri: testimone di una retta fede, Monastero Santa Lucia Foligno, Scuola Superiore di Studi Mediavali e Francescani. Pontificia Universitā “Antonianum”, 1 dicembre 2011, in Antonianum, 88/1 (2013) p. 189-193 .

 Sabato 1 dicembre 2011, nell’ambito delle giornate di studio sull’Osservanza Femminile francescana, si e svolto presso il Monastero S. Lucia di Foligno (PG) l’incontro Caterina Vigri: testimone di una retta fede. Nel corso dell’incontro e stato presentato il volume Dalla corte al chiostro. Santa Caterina Vigri e i suoi scritti, che riporta gli Atti della VI giornata di studio sull’Osservanza Francescana al femminile svoltasi a Ferrara, presso il Monastero Corpus Domini, il 5 novembre 2011. L’iniziativa e stata organizzata dal Monastero Santa Lucia di Foligno in collaborazione con la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma.

L’incontro e stato introdotto dal Prof. Pietro Messa, che ha ringraziato le sorelle Clarisse del Monastero S. Lucia per avere ospitato l’evento. La Madre Abbadessa Sr. Chiara Damiana Galimberti Osc ha poi rivolto il suo benvenuto ai partecipanti, sottolineando che e bello lasciarci interrogare da una delle figure più ricche del Secondo Ordine. Il Santo Padre Benedetto XVI ci sta invitando ad approfondire la fede, e questa iniziativa si svolge in questa prospettiva: Caterina donna in dialogo con il suo tempo ci insegna che il cristianesimo non e una serie di leggi, ma un incontro con Gesù che cambia la vita.

Il Prof. Pietro Messa ha nuovamente preso la parola per sottolineare come, nel momento storico attuale, caratterizzato da una crisi economica che comporta gravosi tagli alla cultura, qualsiasi momento di questo genere e meritorio e da incentivare. Egli ha dunque rivolto un ringraziamento al Monastero S. Lucia e a tutte le comunità di Clarisse che hanno reso possibile simili incontri, ricordando che gli Atti delle giornate di studio sono pubblicati dalle Edizioni Porziuncola. Infine, ha lasciato la parola alla relatrice del primo intervento.

La Prof.ssa Alessandra Bartolomei Romagnoli, docente presso la Pontificia Università Antonianum, ha ringraziato gli organizzatori per averle offerto l’opportunità di parlare nella città di Foligno. Fù infatti in quella città che, per opera di Paoluccio Trinci, ebbe inizio il rinnovamento dell’Ordine dei Minori, cosi come l’Osservanza Femminile prese le mosse dal Monastero di S. Lucia. Nel 1456, allorchè i cittadini di Bologna chiesero al “Corpus Christi” di Ferrara una monaca fondatrice, l’abbadessa Suor Leonarda rispose loro che aveva intenzione di mandar loro una nuova santa. Cosi Caterina, copista e maestra delle novizie che non aveva mai svolto mansioni di governo, fu mandata a Bologna. Nel volume presentato, la statura spirituale di quella donna e testimoniata con un profilo particolare. L’attenzione e rivolta principalmente al contesto ferrarese e la sua opera e inserita in una dinamica vitale di circolazioni ed influssi. In ambiente monastico la comunità ha un rilievo molto forte nella costruzione del discorso religioso. L’accento e dunque posto sul luogo e sul processo di elaborazione religiosa. Questa prospettiva e importante ed originale per capire il movimento rinnovativo femminile. A differenza dalla Francia, dove Colette avvio una riforma compatta, in Italia i monasteri si mossero in maniera autonoma, più per contagio che per strategie. Nonostante la crescente stima per la Regola clariana, nella maggior parte delle comunità si seguiva il regime di una regola mista. Tale pluralismo favori una considerevole circolazione di testi e di persone. Il movimento femminile resto immune dalle drammatiche separazioni dell’Ordine dei Minori: nei loro chiostri le francescane poterono elaborare una riflessione più pacata e serena. Anche se vi sono alcune linee di dipendenza, il vivace fermento richiede un’indagine capillare e sistematica, attenta alle peculiarità locali ed esperienziali, un’indagine che, nel caso di Caterina, ci conduce verso la zona del Po. I primi due saggi del volume ci presentano uno spaccato della vita religiosa della Ferrara del 1400, animata da un ricco e variegato tessuto di devozionalità femminile. Da questo substrato emerge la fondazione della pia vedova Bernardina Sedazzari, di matrice ancora laicale, il cui stile di vita era ispirato a Sant’Agostino ma non fondato sui voti e dove Caterina entro a 16 anni. Il “Corpus Christi” fatico a passare alla Regola di Santa Chiara, affrontando tensioni forti e scissioni all’interno della comunità.

Per la futura Santa questi furono gli anni bui, in cui l’obbedienza era la virtù chiave, non astratta, ma sofferta conquista esistenziale. Una vicenda che nelle sue linee fondamentali e qui arricchita da nuove fonti documentarie. Nella seconda metà del 1400 l’universo delle mulieres religiosae manifestava una tendenza alla regolarizzazione, con il decollo dei monasteri femminili che si protrarrà fino al ‘500 inoltrato, favorito da una convergenza di interessi fra la corte estense e i religiosi, corona sacrale che la corte si costruì a tutela. L’interesse era politico, ma anche religioso, poichè gli estensi volevano riqualificare il tono religioso della vita cittadina facendo venire monache dall’esterno. Inoltre, essi finanziarono un’editoria sacra quale veicolo di formazione delle religiose. Tutte le regole introdotte nell’ultimo scorcio del 1400 sono sintomatiche di una religiosità un pò formalista, tesa a placare gli scrupoli delle religiose. “Scrupolo” e, infatti, una parola che inizia a diffondersi. Una sezione importante del volume e dedicata allo scriptorium ferrarese, che documenta il livello di eccellenza raggiunto dalle Clarisse nella seconda meta del 1400. La Caterina bolognese, monaca colta e aristocratica, ha un linguaggio diverso dalle sue contemporanee domenicane. La scrittura e la vera conquista delle clarisse del 1400. L’atto di scrivere diventa una forma di militanza per le claustrali: una ricerca delle proprie radici, una costruzione della memoria, un mezzo per la formazione delle religiose. Emergono cosi diverse modalità di scrittura, e si può parlare di un poligrafismo delle Clarisse. Solo la traduzione in volgare dei testi richiedeva il confezionamento di un prodotto editoriale nuovo, come quello della Alfani di Monteluce. Gia agli inizi del Duecento le beghine delle Fiandre avevano aperto scuole e scriptoria, tra il Due e il Trecento i monasteri domenicani tedeschi si erano dotati di memoriali, ma il nostro Paese rimase in ritardo fino alla piccola rivoluzione culturale delle Clarisse, sicuramente favorita dal rapporto con la corte. Esse scrivevano essenzialmente a lode di Dio e per servire le sorelle, scansando i pericoli del potere della scrittura e i rischi dell’ostentazione aristocratica.

Le competenze grafiche di Caterina non erano elevatissime: la sua era una scrittura gotica, la testualis, la piu utilizzata. Caterina scelse inoltre con risolutezza il volgare, ma quale volgare? Si parla per la Vigri di una evoluzione del volgare verso una lingua depurata dai connotati più dialettali, con il ricorso al latino non solo classico, ma anche giuridico-amministrativo. Ciò rispondeva all’esigenza di una comunicazione, alla coscienza di far parte di una famiglia più grande. La scrittura era un fatto comunitario, tutta la comunità partecipava alla composizione delle laudi. La parola, la musica, il colore, l’immagine, la danza, il teatro sono tutti elementi della cultura femminile, del linguaggio femminile che ritroviamo in Caterina. Notevole , nel volume presentato, la dimostrazione della conoscenza da parte di Caterina Vigri degli scritti di Caterina da Siena e dell’uso delle metafore e delle immagini della Santa senese fatto dalla Santa ferrarese. Mentre il Primo Ordine era in grave conflitto per ipotesi diverse su dove e come condurre la riforma della Chiesa, Caterina amava il Nome di Gesù e ammirava Bernardino, ma allo stesso tempo meditava le parole di Caterina da Siena. Dal chiostro si levava un messaggio forte di pace e di unione, quale sola via percorribile del difficile periodo della storia della Chiesa del tempo.

Il Prof. Pietro Messa ha successivamente presentato agli astanti la Dott. ssa Eleonora Ravà del Centro Studi S. Rosa da Viterbo, il cui intervento ha riguardato i rapporti fra Osservanza francescana e reclusione volontaria. Nel tessuto urbano di Ferrara, infatti, era presente questo tipo di mulieres religiosae.

E in corso da tempo un dibattito sulla natura della clausura nella Regola di Chiara, cui la conoscenza più approfondita di questo tipo di vita religiosa può portare il suo apporto. La reclusione volontaria e una forma di vita religiosa antica e consolidata. Il fenomeno, che ha le sue radici già nel VI sec., si estende nei secoli XI e XII grazie ai Certosini e ai Camaldolesi, e raggiunge il suo massimo sviluppo nei secoli XIII-XIV. Gli elementi portanti erano l’abbandono totale del mondo per vivere in solitudine con Cristo, ricercato tuttavia nella città, in una cella le cui mura sono il confine. Fenomeno soprattutto femminile e non legato a un Ordine specifico, la reclusione urbana fu via particolarmente adatta per le donne, che non potevano vivere in luoghi isolati e deserti. Questo fenomeno si incrocia con la riscoperta dei valori dei fondatori tipica dei movimenti di Osservanza, in particolare con quella francescana femminile che ha lo scopo di riattualizzare i valori fondanti e identitari della Regola di Chiara: altissima povertà, santa unita e clausura. Ci si e chiesto se Chiara abbia mutuato la clausura dall’esperienza della reclusione o l’abbia tollerata per seguire l’orientamento delle autorità ecclesiastiche, e il dibattito e attualmente ancora in corso. Si può verificare che il linguaggio della reclusione non e estraneo alle fonti francescane: e presente ad esempio nel Celano, che definisce la scelta di Chiara un “ergastolo”, usando termini che rinviano consapevolmente al lessico della reclusione. In Francesco e indubbia una tensione eremitica che Chiara ha sicuramente assunto, e la reclusione urbana era l’unica forma di eremitismo vivibile per una donna. Tante altre francescane hanno vissuto questa esperienza di reclusione. La clausura in Chiara risulta essere dunque una sintesi originale di tre elementi: reclusione, eremitismo e orientamenti istituzionali. Se l’Osservanza vuole ripristinare la forma di vita originaria, e evidente che la clausura e un punto di forza del rinnovamento. La vicenda di Rosa da Viterbo e alquanto significativa in tale contesto. La Santa viterbese e presentata dai documenti coevi come una penitente di orientamento francescano che non era stata accolta nel monastero di Viterbo perche il numero delle sorelle era “completus”. Il primo articolo della postulazione del processo di canonizzazione parla della vita ascetica da lei condotta in una piccola cella simile a quella di un carcere. Il culto di Rosa fu fortemente sostenuto dagli Osservanti Francescani, addirittura dal Capestrano. L’Osservanza francescana non guardava dunque con sospetto alla reclusione volontaria. Anche Colette da Corbie fu inizialmente una beghina reclusa e una certa esperienza di reclusione urbana sembra essere stata vissuta anche da Paoluccio Trinci, l’iniziatore dell’Osservanza, come riportano Caterina da Osimo nelle Ricordanze di S. Lucia e Mariano da Firenze.

A seguito dei due interventi si e sviluppato un dibattito fra i relatori e i convenuti. Le conclusioni dell’incontro sono state tratte dal Prof. Pietro Messa, che ha ringraziato tutti gli intervenuti.



 
 
 
 
 
 
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