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Recensione: F. Uribe, Il Francesco di Bonaventura

 
 
 
Foto Messa Pietro , Recensione: F. Uribe, Il Francesco di Bonaventura, in Antonianum, 79/2 (2004) p. 390-392 .

Fin dalla Prefazione (pp. 11-17),  il professor Fernando Uribe specifica che il testo è nato nell’ambito dell’insegnamento e che sua intenzione è quella di avvicinarsi «al modo e, soprattutto, allo spirito con cui il Dottore Serafico cercò di delineare e di esprimere la sua comprensione di Francesco d’Assisi» (p. 11). Dopo aver evidenziato che ha voluto tener conto non soltanto dell’opera agiografica, con tutto ciò che implica, ma anche della dimensione storica, l’A. passa alla lettura della Vita beati Francisci di Bonaventura, analizzando ogni sua parte.

Ne Il Prologo della LegM (pp. 19-47) egli coglie due parti nelle quali si evidenzia che l’intenzione di Bonaventura è quella di presentare una visione teologica della storia di san Francesco.

Successivamente, l’A. passa all’analisi dei singoli capitoli della Vita beati Francisci, non mancando di evidenziare come Bonaventura, nella sua trama narrativa, voglia rispondere a problemi a lui contemporanei, come quello inerente i maestri secolari di Parigi (es. p. 426) o gli elementi di decadenza dell’Ordine (es. p. 195).

Importantissimi gli abbondanti rimandi ad altri scritti nei quali Bonaventura parla di san Francesco: sarebbe auspicabile uno studio su queste citazioni extra-legenda per vedere se sono in continuità con quest’ultima oppure no, verificando se elementi ritenuti caduti nella “malavventura” siano invece presenti e valorizzati dallo stesso Bonaventura in altri contesti. Ugualmente ragguardevoli alcune constatazioni che costringono a ripensare una certa immagine di Bonaventura; valga per tutti l’esempio del capitolo VII, in cui si afferma che, per raggiungere il vertice della virtù, si deve rinunciare in un certo qual modo anche alla perizia delle lettere (pp. 252-253). 

Nella sua opera, l’A. evidenzia i debiti di Bonaventura nei confronti della precedente agiografia (es. pp.55,63,125,172-173,201,276,464-465) ma nel frattempo, in modo più o meno esplicito, ritiene che i dati nuovi abbiano una consistenza storica (es. 69,94,107,134-135,156,172,192,340,387,414,434,441, 484) e non sempre rifugge dalla tentazione di comporre, in forma concordista, dati che provengono dalle diverse fonti (es. p. 86). In ciò mi sembra di vedere la preoccupazione di Uribe di tenere unite, fino al limite del possibile, le due sfaccettature, quella di una agiografia teologica e quella della critica storica, come ben esprime la conclusione al commento dell’apparizione di san Francesco ad Arles mentre sant’Antonio sta predicando: «Siamo qui davanti ad un parallelo agiografico che non nega necessariamente la storicità del fatto» (p. 172; cfr. anche nota 35 a p. 340).

Rifguardo a Chiara e alla comunità di San Damiano (cfr. p. 101) credo che sia opportuno evitare di parlare di secondo Ordine francescano, così come è un’incongruenza cronologica vedere nelle fonti la finalità di «mettere l’accento sulla Porziuncola come luogo della misericordia [...] come santuario del perdono» (p. 103).

Quanto all’elemento profetico presente nel capitolo XI dell’opera di Bonaventura, Uribe richiama due dimensioni della profezia, ovvero la previsione delle cose future e la conoscenza delle coscienze (p. 401); tuttavia, è importante ricordare che, nello statuto epistemologico della profezia nel Medioevo, si davano due accezioni a tale termine, ovvero a volte era inteso come capacità di comprendere il significato nascosto della Scrittura, cioè l’esegesi, a volte come la capacità di vedere ciò che è celato, ovvero il futuro e le coscienze. Tenendo conto di ciò, si comprende la grande unità tematica del capitolo XI, che tratta de “la comprensione delle scritture e lo spirito di profezia”.

La bibliografia è aggiornata, anche se, ad esempio, per le fonti inerenti san Domenico, rimanda al datato Marie-Humbert Vicaire, per tanti aspetti ormai superato dagli studi di Luigi Canetti.

Certamente l’opera di Uribe vuole essere divulgativa, ma credo che anche in casi simili sarebbe meglio chiamare le singole opere inerenti Francesco d’Assisi con il loro titolo, ad esempio Vita beati Francisci o Memoriale invece della assai diffusa nomenclatura, adottata dallo stesso Uribe  (es. p. 28: Vita prima o Vita secunda), certamente d’immediata comprensione, ma anche fuorviante per una lettura più attenta del testo.

Nella ripartizione dei capitoli, egli afferma che i capitoli 5-12 sono la parte tematica, mentre i primi quattro e gli ultimi tre conservano un ordine cronologico (p. 46). Come ho affermato già nella recensione al libro dello stesso Uribe, Introduzione alle fonti agiografiche di san Francesco e santa Chiara d’Assisi (apparsa in Franciscana. Bollettino della Società internazionale di studi francescani, 4 (2002), pp. 375-386) credo che il capitolo 13 sia anch’esso da inserire nella parte tematica essendo il culmine della fase unitiva, ovvero le Stimmate.

Nella Conclusione, Uribe passa ad analizzare Il Francesco di Bonaventura (pp. 495-541). Come ampiamente sviluppato nell’analisi dei singoli capitoli, l’A. mostra che Bonaventura – nella sua narrazione – segue costantemente lo schema dei tre stadi della vita spirituale, ovvero la fase purgativa, illuminativa e unitiva. Nell’attribuzione dei vari capitoli ai singoli stadi la posizione di Uribe non risulta sempre chiara e coerente (es. 46,518-524).

Uribe, al termine, si pone la domanda: «come è l’uomo Francesco [...] come era il figlio di Pietro di Bernardone quale viene presentato nella LegM» (p. 524); personalmente ritengo che tale domanda sia in parte fuorviante, e più opportuno sarebbe chiedersi quale è il san Francesco presentato da Bonaventura. Infatti egli descrive la vicenda di san Francesco, un uomo canonizzato e quindi annoverato tra i santi riconosciuti canonicamente dall’autorità pontificia.

Nelle considerazioni finali, l’A sostiene che appare nell’opera di Bonaventura «l’interazione tra orazione contemplativa e attività apostolica» (p. 538), ma su questo, come ebbi a mostrare in un mio studio (Frate Francesco tra vita eremitica e predicazione, Assisi 2001) Bonaventura, al di là di alcune affermazioni che sembrano mostrare una vita “mista”, fa operare al Santo una scelta a favore della predicazione che sarà per tutto l’Ordine.

Molta perplessità lasciano le parole di chiusura, che indicano in Bonaventura colui che ci permette di «entrare nel cuore di Francesco» e ci ha «messo a contatto con un santo storico». Se è assodato che Bonaventura interpreta lo spirito di Francesco d’Assisi, non è così scontato che i criteri che egli adotta siano gli stessi usati da frate Francesco, ad esempio, per rileggere la sua storia nel Testamento. Credo anche che sia importante ricordarsi che l’autore della Vita beati Francisci è Bonaventura da Bagnoregio e non san Bonaventura, essendo costui stato canonizzato soltanto nel 1482 da Sisto IV.

La ricca bibliografia (pp. 543-561) testimonia il lungo impegno di ricerca di cui è frutto il lavoro qui presentato.

Certamente un libro non scontato quello che Fernando Uribe ha consegnato; egli tenta di fare della Vita beati Francisci di Bonaventura una lettura teologica, tenendo conto del genere agiografico e della dimensione storica. Tutti sappiamo come un qualsiasi lavoro interdisciplinare richieda preparazione e anche una certa audacia, qualità dimostrate da Fernando Uribe in questo volume.



 
 
 
 
 
 
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