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Recensione: G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo

 
 
 
Foto Messa Pietro , Recensione: G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, in Antonianum, 79/2 (2004) p. 392-397 .

Nella Prefazione (pp.XIII-XX) Giovanni Miccoli riepiloga la storia degli studi francescani dall’Ottocento ai nostri giorni, mettendo soprattutto in evidenza la collaborazione stretta ed efficace tra centri di cultura francescani e luoghi di cultura che hanno principalmente sede nei centri di ricerca universitaria. Per Miccoli, il volume si conclude giustamente a metà del Cinquecento, essendo quello il momento in cui, con la divisione in Minori e Conventuali e con la nascita dei Cappuccini, trova sistemazione istituzionale il mondo magmatico della memoria del fondatore e della fraternitas iniziale.

Nella Premessa (pp. 1-5) Merlo affronta Il valore del passato e del presente, in un intreccio di considerazioni storiche e filosofiche che rimandano al radicale problema ermeneutico della storia e delle sue fonti inerenti «uomini e donne che hanno professato la loro fede nel Dio cristiano» (p. 4).

Fin dal primo capitolo, Dalla prima fraternità all’Ordine (pp. 7-56), l’A. si trova a confrontarsi con il problema delle fonti e del loro carattere non soltanto agiografico, ma anche funzionale a legittimare scelte del presente spesso conflittuali. La conversione evangelica di Francesco, narrata dallo stesso nel Testamento senza alcuna preoccupazione cronologica ma con una prospettiva antropologica e teologica, nelle agiografie, mediante un «meccanismo ad incastro», si arricchisce di particolari, alcuni dei quali, «di valenza simbolica tanto elevata da far diminuire la loro corrispondenza fattuale» (p. 15). Secondo l’A. il formarsi di una fraternità minoritica, in base alle fonti, è una realtà non prevista da Francesco, ma che ebbe un momento «fondamentale e ripieno di possibilità future» nel riconoscimento pontificio del 1209. Tuttavia l’A., nel presentare l’esperienza di frate Francesco, si distanzia da diffuse posizioni storiografiche, come quando rimarca che «dalla fraternitas alla religio non c’è scarto nell’ispirazione di fondo» (p. 30) o che «dal punto di vista storico le stimmate rappresentano il punto più alto di tutta la sua esperienza religiosa» (p. 44). In tutt’altra posizione si presenta Merlo allorquando, in linea con una diffusissima visione, indica la novità di frate Francesco come «forse troppo nuova e persino estranea alle consolidate dimensioni del monachesimo e della tradizione canonicale regolare, che d’un balzo venivano superate e annullate» (p. 50). Tale giudizio, pur corrispondente alla realtà, in molti punti è fuorviante: basti pensare che il lavoro, elemento non secondario della fraternità minoritica, è presentato da Francesco sempre con le motivazioni ascetiche – ovvero come antidoto a vincere l’ozio – peculiari dell’esperienza monastica benedettina.

Dopo che l’identità di frate Francesco, mediante la canonizzazione, è diventata quella di un santo, l’attenzione dell’A. nel capitolo secondo si concentra su Espansione dell’Ordine e metamorfosi del francescanesimo (pp. 57-134). Un passaggio determinante è quello dalla precarietà, «condizione strutturale dei frati Minori» (p. 64), alla stabilità, rappresentata dalle concessioni relative all’altare portatile, date già da Onorio III il 3 dicembre 1224 su richiesta della dirigenza dell’Ordine minoritico, e dalla promozione di frati al sacerdozio «per soddisfare alle necessità delle pratiche liturgiche e sacramentali» (p. 71.80). Altro passaggio fondamentale è certamente quello delle missioni oltre le Alpi, supportate da lettere papali come la Dilecti filii di Onorio III, e organizzate mediante una divisione di ruoli inerenti le cose temporali e spirituali «assai simili a quelli previsti per la permanenza negli eremi, ad attestare come l’ispirazione di fondo rimanesse, e dovesse rimanere immutata pur nel variare delle situazioni e delle condizioni nelle quali i frati di volta in volta si trovavano» (pp. 79). Elemento ulteriore che contribuì allo sviluppo dell’Ordine minoritico è il nesso assai stretto tra predicazione e confessione che immise, «tra gli altri “mendi-canti”, i frati Minori nella cura d’anime» (p. 93), rimanendo tuttavia esenti dalla giurisdizione dei vescovi locali, essendo dipendenti direttamente dalla sede apostolica, come riaffermò Gregorio IX con la lettera Cum ordinem fratrum del 28 giugno 1233. Tale scelta, sostenuta e divulgata soprattutto dal «minoritismo padano e internazionale», «avrà la sua luce più intensa nella “santità antiereticale” di frate Antonio di Padova» (p. 99), che si muove nel binomio «studere et praedicare» (p. 113). Merlo termina il secondo capitolo dando uno spazio considerevole a Madonna Chiara d’Assisi, San Damiano e l’Ordine di San Damiano; tale attenzione non è assolutamente fuorviante, poiché l’iniziativa di Chiara e della comunità di San Damiano ha avuto un esito istituzionale – grazie anche a diversi apporti e ad interventi pontifici – dando vita «all’unico Ordine religioso femminile giuridicamente autonomo della cristianità latina duecentesca» (p. 121). L’A. riassume, sintetizza ed espone in maniera mirabile le acquisizioni degli ultimi decenni inerenti Chiara e l’Ordine di San Damiano, e in ciò un ulteriore passo avanti è certamente rappresentato dal Convengo internazionale Clara claris praeclara svoltosi ad Assisi il 20-22 novembre 2003, ovvero proprio nei giorni in cui usciva nelle librerie il presente volume.  

Il capitolo terzo è dedicato a L’istituzionalizzazione delle metamorfosi (pp. 135-200), ossia all’emergere delle diverse anime dell’Ordine minoritico, con le conseguenti divergenze e contrasti. A tale situazione si diede una risposta parziale nel 1239 mediante una «maxima multitudo constitutionum», la quale avrebbe dovuto regolare una serie di problematiche, come nel caso dell’acquisto e possesso dei libri, derivanti dalla crescente importanza nell’Ordine dello studio e della predicazione. La fine del governo di frate Elia nel 1239, con la conseguente elezione di frate Alberto da Pisa prima e Aimone da Faversham poi, come anche la nomina di frate Leone da Perego nel 1241 a metropolita ambrosiano in Milano, ben rappresentano il passaggio  al «minoritismo non umbro, non strettamente “francescano”: un minoritismo che era cresciuto in diretto collegamento con la curia romana e con i disegni egemonici del papato, con gli ambienti di studio e con le Chiese e società locali e che si era assunto impegni pastorali di guida, insegnamento, educazione e formazione dei fedeli» (p. 153). In tutto ciò un ruolo importante ebbe Bonaventura, il quale cercò di «riportare l’ordine nell’Ordine» (p. 170), agendo a livello giuridico-istituzionale, mediante le costituzioni di Narbona, e a livello agiografico-teologico, con la sua Vita beati Francisci. Merlo, dinanzi all’opera bonaventuriana, giunge alla considerazione che «la teoria facilmente sconfina nell’ideo-logia, quando essa concorra a comporre l’incomponibile: incomponibile che, nel caso dei frati Minori, è ancora e sempre l’inevitabile scarto tra il modello ricevuto dal passato [...] e la realtà che si vive nel presente» (p. 177). Un presente che, soprattutto dai primi mesi del 1254, con un mandato di Innocenzo IV, comprendeva anche l’impegno antiereticale mediante un coinvolgimento diretto dei Minori nell’attività inquisitoriale. Anche nel terzo capitolo, come nel secondo, l’ultimo paragrafo è dedicato a madonna Chiara e all’inquadramento istituzionale dell’Ordine delle clarisse, frutto di un succedersi di regole, dalla forma vitae ugoliniana, alla “seconda” regola di Innocenzo IV del 6 agosto 1247, alla Regola di Chiara (probabilmente già scritta nel novembre 1251, ma certamente confermata nel settembre 1252 dal cardinale Rinaldo d’Ostia e il 9 agosto 1253 da Innocenzo IV), fino alla “regola” di Urbano IV che, con la lettera Beata Clara, fece confluire tutte le esperienze precedenti nell’Ordo sanctae Clarae.

Tutta l’opera di istituzionalizzazione precedente evidenziò gli Elementi di forza e debolezza di un Ordine religioso e della sua identità, analizzati da Merlo nel capitolo quarto (pp. 201-276). I Minori, ormai Ordine mendicante, hanno la peculiarità di attuare «una mediazione divulgativa e una circolazione formativa tra alta e bassa cultura» (p. 210) e la loro azione va oltre i confini della cristianità romana, interessando in modo particolare la Terra santa, un territorio che andava dalla Tunisia alla Siria. Un ruolo importante essi acquistano all’interno della società civile con l’istituzionalizzazione dei penitenti di area minoritica, avvenuta con la Supra montem di Nicolò IV, che istituì l’Ordine della penitenza del beato Francesco; giustamente Merlo fa notare che, poco prima, nel 1285, il maestro generale dei Predicatori fissò la Regola dei fratelli e delle sorelle della penitenza del beato Domenico. Tuttavia, proprio in quegli anni, si inasprirono le divergenze tra frati della “comunità” e frati “spirituali”, tanto che Celestino V, con la protezione accordata a quest’ultimi, «di diritto e di fatto, aveva spezzato l’Ordine e aveva sanzionato la liceità del vivere il francescanesimo rimanendo all’interno della Chiesa, ma non essendo inquadrati nell’Ordine dei frati Minori!» (p. 247). Tutto ciò mostrava quale ruolo poteva avere e avrà ogni singola decisione del papato.

Tali divergenze condussero alla constatazione de L’impossibile unità: pluralità di orientamenti e divisioni istituzionali, descritta da Merlo nel capitolo quinto (pp. 277-362). Ormai la dialettica è tra obbedienza e disobbedienza alle gerarchie della Chiesa, la quale vede tra i diversi gruppi di fraticelli una continuità «che rispecchia una tesi inquisitoriale, piuttosto che una realtà istituzionale» (p. 288). L’unità è ricercata mediante molteplici vie, non esclusa la compilazione di opere come il De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu di Bartolomeo da Pisa, nella quale si riconobbero i frati riuniti in capitolo ad Assisi alla fine del secolo XIV. Altra dialettica che coinvolge i frati, e nella quale Merlo si muove a suo agio, avendo pubblicato un libro in merito, è quella “tra eremo e città”, espressione delle molteplici “anime” dell’inizio dell’Osservanza. Secondo l’A. i frati di Brogliano, chiamati a Perugia dai frati “de conventu”, «trasportano ai margini della città l’esperienza esemplare dell’eremo, ricostituendo il fecondo legame tra eremo e città che riproponeva l’originaria alternanza dell’esperienza francescana tra deserto e folla» (p. 309). Ciò comportò una relazione con le realtà istituzionali quattrocentesche, così da sembrare quasi «che la Osservanza nel suo stesso essere si ponga in immediata relazione col potere» (p. 315), non escluse le nobildonne di varie parti d’Europa.

Il capitolo sesto, una sorta di epilogo non solo del volume, ma di una fase della storia dei Minori e del francescanesimo, dà uno sguardo Tra passato e futuro: persistenze, mutamenti e novità (pp. 363-438). Le tensioni tra Conventuali e Osservanti pervennero a una soluzione con la divisione del 1517 e il riconoscimento a questi ultimi da parte del papa Leone X di essere «i veri e certi frati dell’Ordine del beato Francesco» (p. 380); riguardo ad essi si sparse perfino l’accusa di simonia, avendo versato nelle casse della Chiesa romana proprio in quell’anno una cifra esorbitante. Ormai però gli Osservanti vivevano in mezzo alla folla, e così coloro che stavano nel deserto trovarono rifugio sotto la giurisdizione vescovile locale con il favore della duchessa Caterina Cybo di Camerino, dando così inizio ai Cappuccini, che vollero vivere l’evangelismo francescano in un tempo in cui Lutero diede inizio alla Riforma. Obbedienza ai vescovi locali, “vita mista”, ovvero orazione e predicazione, erano alcuni degli elementi che li caratterizzavano. Nel frattempo, con la scoperta del “Nuovo Mondo”, si aprono nuovi orizzonti e non è soltanto un caso che i primi Minori a imbarcarsi siano due Osservanti «già impegnati in una fallimentare missione presso i Mussulmani» (p. 413). Dopo aver accennato alle prime imprese missionarie, con i relativi risvolti politici, Merlo mette punto, non andando oltre nelle vicende della presenza dei Minori nel Nuovo Mondo, e riconosce che il suo compito è terminato. Ritornando ad alcune questioni “europee” constata che mancano studi approfonditi, come quelli inerenti le «relazioni dei Minori – della “regolare Osservanza” e Conventuali, oltre che, in misura minore, Cappuccini – con correnti e chiese protestanti» (p. 421). A questo riguardo, Merlo riporta la vicenda di frate Corrado Pellicano che, nel 1526, passò a Zurigo invitato da Ulrico Zwingli, ritrovandosi da «professor verae paupertatis» a «observator paupertatis cum pecunia» (p. 427); molto più eclatante sarà il passaggio alla riforma di Bernardino Ochino, considerato da Merlo come «uno dei segni che nei primi anni quaranta del Cinquecento si stava chiudendo, per ragioni esogene ed endogene, un lungo periodo della vicenda dei frati Minori e che il futuro sarebbe stato diversissimo dal passato» (p. 434). Erasmo da Rotterdam nel frattempo affermava che «i francescani adora[va]no le tradizionuncole del loro Francesco» mentre la Regola rientrava nelle «costituzionuncole degli uomini» (p. 434-435). Non meraviglia che questo capitolo sesto lasci molte domande aperte riconosciute dallo stesso Merlo, come quella inerente al nuovo scenario che dovettero affrontare i Minori con la fine dell’unità “religiosa” dell’Europa (p. 410).

Al termine, Merlo pone la ricca Bibliografia (pp. 439-478) che, dopo alcune opere generali riguardanti la storia del cristianesimo e della Chiesa, la storiografia e le storie dei Minori, pone le indicazioni  relative ai singoli capitoli in modo ragionato secondo i temi svolti.

L’Indice cronologico (pp. 479-501) e l’Indice dei nomi (pp. 503-521) rendono il volume facilmente consultabile, più esaustivo e ricco di un semplice manuale di storia dei primi secoli del francescanesimo.

Merlo ha la consapevolezza di non poter essere esaustivo nella sua opera, riconoscendo limiti, ma soprattutto aprendo campi di ulteriore indagine, come quello riguardante il ruolo di varie nobildonne nello sviluppo dell’Osservanza, argomento che «richiederebbe un’attenzione» (p. 321), oppure l’attività antiebraica svolta dagli Osservanti, «tema complesso e scottante» (p. 336), le ragioni che spinsero Sisto IV a canonizzare Bonaventura nel 1482 (p. 349-350), i motivi della «coincidenza spazio-temporale tra crescita dei frati Osservanti e crescita dei banchi di prestito ebraici» (p. 357). Altre volte lui stesso, aprendo una “breve” parentesi, approfondisce un determinato argomento precedentemente problematicizzato, come quello inerente la Pastoralis officii con la quale Nicolò V nel 1447 rispose positivamente allo stabilirsi del Terz’Ordine regolare in Italia (pp. 339-341). Anche al termine della amplia bibliografia riconosce i limiti e indica la pista di ricerca inerente «il più generale discorso su fonti (soprattutto agiografiche) e documenti – specialmente le lettere pontificie – con connessa necessità di un’esposizione e di un’analisi specifiche» (p. 478), prospettando un suo ritorno su tali fonti.

Leggendo il lavoro di Merlo si rimane ammirati per l’ampiezza della documentazione, ma soprattutto per la capacità di sintesi: l’opera è facilmente leggibile da tutti ed allo stesso tempo chi è addentro agli studi francescani sa riconoscere, dietro una frase o un assemblaggio di vocaboli, la lunga ricerca frutto di convegni e studi meticolosi. Soprattutto i primi capitoli beneficiano di questa ampiezza di studi inerenti i secoli iniziali della storia minoritica e francescana, mentre gli ultimi due fanno intravedere pagine frutto della ricerca personale dell’A. su fonti a volte difficilmente reperibili.

Nella sua complessità il volume appare, in un certo qual senso, sproporzionato: infatti, considerando le 438 pagine di testo in cui descrive la storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, la morte di Chiara avvenuta nel 1253 è collocata a pagina 197, ovvero quasi a metà libro. Di conseguenza, si deve constatare che il primo secolo, per non dire i primi cinquant’anni di storia, prendono il sopravvento, soprattutto sul secolo XV. Tuttavia ciò non stupisce, vista anche la molteplicità di ricerche che hanno dato attenzione ai primi decenni dell’avventura minoritica, rispetto al più esiguo numero di studi e testi dei secoli successivi.

Al termine della lettura di questo volume ci si augura di poter prossimamente leggere sia lo studio prospettato dallo stesso Merlo inerente a fonti e documenti, sia qualche altra pubblicazione inerente la storia dei Minori e del francescanesimo dei secoli successivi.



 
 
 
 
 
 
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