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Informazione sulla pubblicazione:
La custodia frnacescana di Terra Santa. Storia, architettura e diritto delle origini. “Lezioni Pubbliche” – 23-26 febbraio 2004 Pontificio Ateneo Antonianum, Roma

 
 
 
Foto Casella Elena , La custodia frnacescana di Terra Santa. Storia, architettura e diritto delle origini. “Lezioni Pubbliche” – 23-26 febbraio 2004 Pontificio Ateneo Antonianum, Roma, in Antonianum, 79/3 (2004) p. 597-600 .

Dal 23 al 26 febbraio 2004, si è svolto a Roma, presso il Pontificio Ateneo Antonianum, il ciclo di “Lezioni Pubbliche” sul tema: La Custodia francescana di Terra Santa. Storia, architettura e diritto delle origini. L’iniziativa – ormai alla sua IV edizione – è stata organizzata dalla Facoltà di Diritto Canonico, dalla Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia e dalla Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani dello stesso Ateneo Antonianum, nell’ambito delle attività di studio complementari ai corsi universitari annuali. Un folto pubblico interessato ha seguito con attenzione le giornate di studio coordinate dai proff. Claudio Bottini, Nikolaus Schöch e Alvaro Cacciotti.

Il prof. Franco Cardini dell’Università di Firenze ha assolto l’arduo compito di tenere la lezione inaugurale (Da Francesco alla Custodia. Il contesto storico), che ha trovato il punto di inizio nella Toledo riconquistata da Alfonso VI nella seconda metà dell’XI secolo e l’epilogo nella caduta di Granada alla fine del XV, scartando l’ipotesi di delineare l’argomento sotto il profilo politico-diplomatico – secondo l’impostazione storiografica, vale a dire, cara a Giovanni Soranzo, che avrebbe potuto consentirgli di offrire in bell’ordine la successione degli eventi e il manifestarsi dei fenomeni dell’epoca –, anche a costo di comprometterne l’immediata comprensione. Ciò per la buona ragione che lo studioso misuratosi con il tema delle Crociate e con gli studi francescani, nonché il conoscitore di diari di viaggio toscani in Terra Santa tra il XIV e il XVI secolo (come egli stesso ha riconosciuto, rifiutando nel contempo una definita competenza specialistica con riguardo ai problemi posti dall’incontro di studio) si è mostrato convinto dell’impossibilità di compiere, nel breve spazio di una relazione, la sintesi organica di un’epoca che, proprio in ragione della portata e della densità di eventi in scala europea e asiatica dai quali è caratterizzata, si configura, a suo parere, come tra le più complesse della storia universale e, nel contempo, tra le più feconde, dal momento che portò alla caduta degli steccati tra le civiltà, segnando l’inizio del fenomeno allora sconosciuto e oggi, forse, fin troppo pervasivo della globalizzazione. Di conseguenza, il professor Cardini ha scelto l’unica strada in grado di preservare lo storico di professione dall’errore di commettere, magari per zelo espositivo, la frode di una ricostruzione che celi le dinamiche sfuggenti alla logica consequenziale di un tranquillo alveo narrativo, semplificandole.

Spenta ogni speranza in una sintesi affatto problematica in cui, complice la scaltrita esperienza del relatore, le questioni più spinose e le connessioni più audaci tra i personaggi o tra i fatti sarebbero state accolte dai presenti in maniera rassicurante, il prof. Cardini ha tuttavia indicato il filo conduttore del lungo arco temporale preso in esame nei momenti a suo giudizio decisivi ai fini dell’incontro tra le due culture cristiana e islamica; al punto che ha ricordato il fenomeno inatteso del piegarsi della bilancia commerciale a favore dell’Occidente nel secolo XIII – da cui sarebbe derivato il “ritorno dell’oro in Occidente”, come dopo lo studio con quel titolo di Roberto Sabatino Lopez si è soliti identificare il fenomeno della coniazione e della circolazione dei genoini, dei tornesi, dei fiorini, dei ducati – e il ristagno imprevedibile dell’Oriente mediterraneo nella seconda metà del secolo successivo, solamente per sottolinearne l’incidenza sui tempi lunghi in negativo (rispetto alla chiusura dell’orizzonte economico dell’Est) e in positivo (rispetto al sopraggiungere della consapevolezza collettiva del fatto che la perdita definitiva di Gerusalemme rendeva necessaria la ricerca di nuovi spazi a Ovest). In tal modo, il relatore, guardando, dapprima, al cenacolo toledano di Pietro il Venerabile, in cui maturò la prima traduzione in latino del Corano (per mano di Roberto di Kennet), poi, al trattato sull’abaco di Leonardo Fibonacci nel quale vennero adottate per la prima volta le cifre arabe, zero compreso, ancora, alla circolazione del Libro della scala – che Dante conobbe nella riproduzione dal castigliano in francese o in latino, come ha dimostrato Enrico Cerulli –, per finire con l’opera di mediazione tra civiltà diverse del catalano Raimondo Lullo, francescano, e del fiorentino Ricordo di Monte Croce, domenicano, senza tralasciare, comprensibilmente, il percorso di conoscenza della filosofia da Abelardo ad Averroè, ha offerto un quadro a forti tinte della temperie carica di curiosità di cui san Francesco colse a pieno lo spessore e che seppe valorizzare, attuando il suo progetto pragmatico di predicazione cittadina in Italia e in Terra Santa.

L’argomento centrale messo a fuoco dal prof. Giuseppe Ligato dell’Università Cattolica di Milano, nella sua puntuale ricostruzione, dall’impianto storico-istituzionale, della fase precustodiale (Il primitivo insediamento dei francescani in Terra Santa: 1219-1292), è stato il complesso di fattori che concorsero a rendere duratura la presenza dei francescani in Terra Santa fin dall’anno dell’istituzione della Provincia e nonostante il massacro subito dai frati e dalle clarisse in occasione della riconquista islamica di Acri; prima, dunque, dell’istituzione trecentesca della Custodia.

Il relatore ha costruito il suo intervento sistematico basandosi sulla documentazione pontificia, tirando fuori dai privilegi che vanno dal 1230 al 1258 e che accordano il diritto di erigere conventi ed oratori in tutte le diocesi, l’indulgenza per i frati che si recassero in Terra Santa, e la protezione per coloro che tra di loro fossero impegnati nella predicazione tra gli infedeli, i dati certi sulla residenza e sulle attività di cura animarum, riscatto dei prigionieri, apostolato e diplomatiche, che Giordano da Giano, Salimbene da Parma e Pietro di Giovanni Olivi lasciano intravedere. Ha anche evidenziato, tuttavia, con altrettanta esemplare chiarezza, la mancanza di testimonianze documentarie e normative provenienti dalla realtà ambientale dell’Ordine in Terra Santa: non solo per lamentare la perdita degli archivi locali (dovuta probabilmente alla caduta di Acri), bensì anche per provare che i francescani, in assenza di una vera struttura custodiale, non provvidero a una registrazione sistematica delle loro attività, e che, d’altra parte, lo stesso san Francesco era contrario a qualsiasi provvedimento che prefigurasse un assetto rigido della Provincia a lui più cara.

Secondo il prof. Ligato, il fatto che san Francesco si fosse imposto come esempio di povertà fu il presupposto dell’effettiva rispondenza del suo modello morale alle aspettative di una comunità di cristiani, cristiani orientali e musulmani a contatto con i mercanti delle città comunali italiane, abituata a un clero locale custode geloso della propria indipendenza da Roma, stanziale ed estraneo alle tensioni spirituali e, per di più, logorata da un regime politico feudale allo sbando. Di conseguenza, il capitale di credibilità accumulato dall’Ordine dal 1217, che è l’anno in cui figura nella documentazione il primo ministro della Provincia ultramarina, in poi, lungi dall’andare perduto con la caduta di Acri, avrebbe continuato a dare i suoi frutti ovunque l’Ordine potesse agire in Oriente.

La storia, punteggiata da martìri, delle vicende successive al 1291, è stata ricordata dal prof. Michele Piccirillo della Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia di Gerusalemme nell’esordio della sua relazione (I primitivi luoghi abitati dai frati: 1333-1551), motivata dall’intento di verificare la possibilità di retrodatare, rispetto all’anno della fondazione del convento del Monte Sion, la presenza stabile dei francescani nella zona del Cenacolo.

A tale scopo, la lezione è consistita – anche con l’aiuto di audiovisivi – in una rassegna della cospicua documentazione dei secoli XIV e XV, in larga parte inedita e passibile di ulteriore analisi, che lo studioso ha rintracciato sul convento di San Salvatore di Gerusalemme, su un convento nei pressi della chiesa della tomba del Getsemani, mai costruito, e sul convento del Monte Sion. Di sicuro, come si evince dall’ampio excursus di testimonianze, la costruzione del convento del Monte Sion fu solo il punto di arrivo di una presenza che andava oltre la contingenza del momento. L’ente divenne, del resto, la base operativa degli accordi di Firenze del 1439, con i quali fu sancita la riunificazione della Chiesa cattolica con quella ortodossa.

Il prof. Priamo Etzi della Facoltà di Diritto Canonico dell’Antonianum, ha esaminato nella sua relazione (La Custodia di Terra Santa: aspetti giuridici della missione in Medio Oriente dell’Ordine francescano nei secoli XIII-XIV) i ben noti privilegi Gratias agimus e Nuper carissime, che Clemente VI emanò ad Avignone il 21 novembre del 1342 e con i quali fu istituita la Custodia di Terra Santa.

Con il contributo, che è stato di taglio storico-giuridico, lo studioso ha confermato, alla luce della giurisprudenza contemporanea, le conclusioni a cui pervennero, a proposito dei due documenti solenni, Luca Wadding e Girolamo Golubovich, a distanza di tre secoli l’uno dall’altro, ossia che essi costituiscono i titoli di possesso legittimo e riconoscibile del Santo Cenacolo, da parte dei francescani della Custodia. La ricostruzione storico-giuridica si è mossa dall’individuazione della Terra Santa come appartenente alle 11 Province-Madri dell’Ordine. Nei documenti essa è designata con nomi diversi: Siria, Romania e Ultramarina e comprendeva Costantinopoli e il suo impero, la Grecia e le sue isole, l’Asia Minore, Antiochia, la Siria, la Palestina, Cipro, l’Egitto e tutto il resto del Levante. Il relatore ha analizzato i provvedimenti presi dai Capitoli generali di Narbona (1260), Pisa (1263), Montpellier (1287), Parigi (1292) e Assisi (1295) a favore della Provincia di Terra Santa. Ha illustrato i principali documenti pontifici del Bullarium Terrae Sanctae del XIII sec. (da Gregorio IX a Bonifacio VIII), concernenti perlopiù la predicazione della Crociata, la raccolta di elemosine per i Luoghi Santi, concessioni di facoltà, nomine di frati per missioni diplomatiche presso Sovrani musulmani o bizantini. Ha in seguito presentato i primi Statuti pro bono regimine Terrae Sanctae, redatti nel 1377 da frate Bartolomeo della Verna. Si è particolarmente soffermato sull’opera dei Reali di Napoli Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca, i quali, approfittando dei buoni rapporti che intrattenevano con i mamelucchi, nel 1333 conclusero un trattato con il sultano al-Naser Mohammad, in virtù del quale fu ufficializzata la presenza francescana in Terra Santa. Infatti Roberto d’Angiò, “magnis sumptibus et laboribus gravibus”, acquistò la proprietà dell’area del Monte Sion dove sorgeva il S. Cenacolo. Qui, sempre a sue spese, fece costruire un convento, trasferendone l’intera proprietà ai Francescani. Inoltre, egli ottenne il diritto, per i medesimi frati, di stabilirsi definitivamente nella basilica del Santo Sepolcro, in quella di Betlemme e nella tomba della Vergine. In particolare, la Gratias agimus e la Nuper carissime testimoniano l’esistenza delle convenzioni stipulate tra i sovrani angioini e il sultano: atti ufficiali che rendono legittimo per i Francescani, sul piano del diritto internazionale, il possesso del Cenacolo e di altri importanti Luoghi Santi. In queste bolle, dunque, si può individuare la fonte della personalità giuridica della Custodia di Terra Santa. Col passare del tempo, anche le varie autorità musulmane riconobbero come legale la presenza permanente di religiosi occidentali (Frati Minori) nei Luoghi Santi, soprattutto perché raccomandati dalle più ricche e importanti potenze occidentali (Venezia, Spagna, Francia ecc.). La protezione esterna divenne allora uno degli aspetti più importanti del problema dei Luoghi Santi in favore dei quali, nel XIV sec., soprattutto la Serenissima Repubblica di Venezia ottenne numerosi “firmani”.



 
 
 
 
 
 
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