Rodrìguez Carballo José ,
Inaugurazione dell'Anno Accademico 2002-2003. Messaggio del Gran Cancelliere,
in
Antonianum, 79/4 (2004) p. 767-772
.
A tutti voi presenti all’inaugurazione di questo nuovo anno accademico:
Il Signore vi dia pace!
Saluto con rispetto e stima il Rettore Magnifico, tutti i professori, il personale accademico e gli studenti. La comunità accademica costituisce la ragion d’essere stessa di questo nostro Ateneo, che al centro della sua realtà vuole mantenere “la persona che apprende”, sia docenti che studenti.
In quest’intervento all’inizio dell’anno accademico 2004-2005, desidero fermarmi su un tema che mi sta particolarmente a cuore e che ritengo sempre più urgente per la nostra vocazione e missione di frati minori in questo tempo: il dialogo fecondo con la cultura contemporanea.
Mi chiedo con voi: qual è il posto e il servizio che questo nostro Ateneo può rendere all’approfondimento nell’Ordine del dialogo con la cultura?
Mi rendo conto che dietro queste espressioni si nascondono questioni d’immensa portata. Non ho la pretesa di affrontare in modo critico un tale tema, quanto di offrire delle aperture prospettiche nella situazione attuale di cambiamento e di nuova identità che le università assumono, soprattutto in Europa.
1. Le istituzioni universitarie in un’epoca di cambiamento del paradigma culturale
Nel momento storico in cui viviamo il sapere e la conoscenza si ampliano a dismisura. Di conseguenza le università sono luoghi sempre più frequentati da un pubblico eterogeneo. Dobbiamo riconoscere, senza poterlo sufficientemente dimostrare in questa sede, che la formazione è compresa sempre di più in senso funzionale. Rendimento e concorrenza - principi ormai familiari alle università e all’economia - si definiscono sempre di più in senso economico e diventano criterio centrale di giudizio. Le università diventano in parte anche entità commerciali.
Le istituzioni accademiche portano in se stesse il segno dei profondi cambiamenti in atto nella cultura, nella visione dell’uomo, nel dominio della tecnologia, nell’eclisse della politica come arte del consenso e del dialogo. Il cambiamento dinamico della società e la trasformazione strutturale in atto nella scienza, nella ricerca e nello studio rappresentano per la Chiesa e anche per il nostro Ordine il compito di determinare di nuovo la loro presenza all’interno delle università e della cultura universitaria.
Questa sfida nell’ambito universitario è rappresentata soprattutto dall’affidabilità della testimonianza e dalla capacità di dialogo: a partire dal tardo Medioevo la legittima differenziazione tra fede e ragione si è sempre di più trasformata in una separazione che non di rado ha assunto forme di antagonismo. Papa Giovanni Paolo II ha con ragione definito questo sviluppo come “fatale” e come “dramma”. Si tratta di cercare con passione e rigore i mezzi per rispondere a questa sfida, senza pensare di poterla risolvere.
Il luogo in cui esercitarsi a saldare fede e cultura è il dialogo dell’università con la cultura in cambiamento permanente.
Del resto il nome stesso di università, dal latino universitas litterarum, contiene nella sua etimologia l’idea che l’essere umano è immerso nella totalità del corpo sociale e che tutto il suo universo è l’oggetto della conoscenza. Nella storia l’università occidentale è stata partecipe di una tensione dialettica tra la ricerca di indipendenza della comunità universitaria e la pressione delle forze sociali, private e pubbliche, per controllarla. L’autonomia è una necessità indispensabile per l’università. I modi di quest’autonomia cambiano: è certo che ogni università ha sempre un servizio pubblico da rendere nella ricerca. L’autonomia universitaria quindi deve essere subordinata alla risposta che per obbligo l’università deve dare alle necessità, richieste, caratteristiche e trasformazioni del sistema sociale di cui fa parte. Non c’è autentica autonomia senza una vera interdipendenza con la società.
A questo punto possiamo affermare che nell’attuale fase di cambiamento storico, il dialogo con la cultura rappresenta per un’istituzione accademica non soltanto il presupposto, ma il contenuto stesso della sua missione. Questo dialogo avviene nella misura in cui l’università è in relazione vitale d’interdipendenza con la società.
Certamente è diverso parlare di questa sfida in un’università laica o cattolica, e ce ne sono anche nel nostro Ordine in diverse parti del mondo, e in un ateneo pontificio che vive e opera a Roma. L’identità di un’istituzione simile è particolare e mi sembra che a essa s’imponga ancor di più la necessità di mantenersi aperta in modo coerente e ordinario al dialogo con la cultura, con la società, con la Chiesa e l’Ordine.
Un ateneo pontificio romano come 1’Antonianum potrebbe, infatti, correre il rischio di accentuare la tendenza della fede a chiudersi nella sua singolarità e a negarsi al costante confronto con l’ambiente che la circonda. Pertanto la teologia deve rendere la fede sempre di nuovo capace di dialogo con il presente. Poiché si tratta dell’annuncio cristiano nel contesto del mondo concreto, Chiesa e teologia devono cercare il dialogo con la cultura e con le scienze.
D’altronde, proprio la presenza a Roma può favorire in modo molto forte l’attuale sfida dell’incontro delle culture e dell’internazionalità. Nella dialettica tra locale e universale, un ateneo romano può assolvere una preziosa funzione culturale ed ecclesiale, come ci è stato suggerito nel colloquio di maggio sul PAA.
Mi sembra allora necessario che il PAA come tale assuma una chiara coscienza dell’urgenza del dialogo con la cultura nella situazione odierna come l’orizzonte usuale della ricerca, della docenza e delle pubblicazioni.
Fr. Giacomo Bini nel 2001, convocando il I Incontro dei Rettori e Direttori dei Centri di Studio OFM, così si esprimeva: «Siamo convinti che per fare questo, dobbiamo proporre nuovamente il patrimonio culturale, filosofico e teologico della scuola francescana, ascoltando le esigenze che provengono dalla società in generale e dal mondo della cultura in particolare, per renderlo attuale in tutti ciò che è necessario e recuperare, in questo modo, il dialogo con il nostro mondo. In questo compito, le nostre università e i centri di ricerca hanno una gran responsabilità. Siamo convinti che il nostro patrimonio culturale, filosofico e teologico è molto attuale; quello che è pero necessario in questo momento è compiere uno sforzo per attualizzarlo e per farlo conoscere».
Vorrei chiedere al PAA nelle sue diverse articolazioni di prendere in seria considerazione questo percorso, mentre è in un processo di rinnovamento per elaborare un progetto accademico che vuole essere seriamente educativo.
2. Il PAA e il dialogo con la cultura contemporanea: alcune priorità
Urgenza e importanza del dialogo con la cultura, quindi. A partire da che cosa e su quali punti? È impossibile riassumere una simile materia. Provo solo a proporvi alcuni nuclei, che mi sembrano particolarmente necessari.
Per dialogare è necessario aver acquisito e maturato una propria identità. Per il PAA questo significa continuare attivamente il processo di potenziamento che lo interessa da molti anni. Non si tratta solo di vedersi consegnare mezzi e personale in più. Anzitutto è necessario chiarire l’identità, la missione e la visione attuale dell’Antonianum nell’attuale ambiente dell’Ordine, della Chiesa e della società.
Tutta la comunità accademica deve condividere un simile orizzonte di valore. In questo modo è possibile realizzare e socializzare un progetto educativo complessivo e condiviso. È necessario chiedersi:
- Quale tipo di persona umana vogliamo formare?
- Quale modello di conoscenza e d’apprendimento scegliamo?
- In quale tipo di cultura e di società in cambiamento si realizza ciò?
- All’interno di quale orizzonte teologico ci muoviamo per perseguire quanto sopra?
- Quale peso assume il ricco patrimonio carismatico e intellettuale della nostra tradizione francescana?
Al fine di permettere al PAA, come a ogni istituzione accademica, di rispondere ai quesiti posti, è ineludibile potenziare le seguenti caratteristiche:
- Universalità: all’interno di questa l’Ateneo può offrire un luogo d’incontro e d’apertura alle differenti posizioni, uno spazio per l’esperienza del dialogo in una società pluralista, una dialettica incessante e feconda tra le identità eterogenee che lo popolano.
- Autonomia: va potenziata in vista della creatività del sapere, della sua capacità riflessiva d’indagine e del suo potere d’innovazione, che genera con responsabilità nuovi orizzonti etici e politici, che toccano tutto l’uomo.
- Corresponsabilità: dalle diverse posizioni e competenze nella comunità accademica occorre esercitarsi a lavorare per la visione istituzionale che si è scelta insieme nel progetto educativo. Non è possibile che solo alcuni servano l’Ateneo e molti di più se ne servano. Un principio d’autodistruzione inaccettabile.
- Scientificità: la scientificità non è un punto di partenza, quanto un cammino permanente d’indagine, ricerca, creazione e creatività.
- Flessibilità: una struttura flessibile è necessaria, anche nello spirito e nella lettera della Dichiarazione di Bologna 1998, perché l’università sia centrata sullo sviluppo di precise competenze, attraverso l’innovazione e l’investigazione.
- Reciprocità con l’Ordine e la famiglia francescana: da alimentare in particolare attraverso lo scambio con i centri affiliati e con gli altri centri della nostra famiglia.
Un’istituzione di tipo universitario non può mirare a questi obiettivi senza mantenersi in collegamento vitale e concreto con altre università e centri di ricerca. Quale dialogo con la cultura è possibile in un’istituzione chiusa in se stessa? Nessuno oggi è autosufficiente. Il sapere in una società plurale va ricercato insieme. Ecco allora l’opportunità di partecipare a congressi, a luoghi di ricerca e d’indagine scientifica con altri centri di studio, ecc. È urgente verificare questi nessi vitali, potenziarli se esistono, altrimenti investirci con decisione.
Una volta consolidata la propria identità, un’istituzione può mettere nella sua agenda ordinaria la questione del dialogo con la cultura e le sue diverse richieste. Ci sono molte possibilità per questo.
Come premessa si vorrebbe però evitare l’illusione che, nominando le vie e le possibilità, si facesse tutto l’essenziale per istituire il dialogo. Il dialogo tra università e cultura non è facile da fare e ancor meno da portare a una conclusione. Piuttosto, esso per sua natura è e rimane sempre in uno stato frammentario ed è sempre una sfida.
Il primo punto allora è quello di mantenere alta l’attenzione al dialogo, scelto come vero e proprio metodo non in modo episodico o strategico, ma come ispirazione permanente del pensare e del ricercare con rigore scientifico. Dialogare quindi significa mantenere inalterato il gusto della ricerca, del confronto di posizioni diverse, della tolleranza di fronte al pensiero altrui, della capacità di entrare in relazione con l’altro-da-sé per ritrovare veramente se stessi.
Per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso è necessario tracciare un vero e proprio profilo di intellettuale francescano. Capace di apprendere dagli altri e dall’esperienza. Aperto in modo sim-patico verso l’altro. Capace di confrontarsi con la differenza, attraverso l’ascolto e la valorizzazione del bene presente in ognuno. Qualsiasi dogmatismo spegnerebbe questa fondamentale attitudine, che non vogliamo tralasciare.
Una scelta simile non può che esprimersi innanzi tutto nella didattica e nella ricerca: un metodo d’insegnamento attivo, che coinvolga gli studenti e che sappia rivolgersi all’apprendimento in piccoli gruppi, quali sono le classi nell’Ateneo.
Un metodo di docenza dove professori e studenti apprendono insieme, nella passione per la ricerca e l’apertura di nuovi orizzonti. Ciò è particolarmente vero nel secondo e nel terzo ciclo, tuttavia non deve mancare neanche nei gradi accademici inferiori. Nell’attuale situazione culturale si afferma un pensiero unico e acritico. Per questo è quanto mai urgente formare al senso critico, alla ricerca di posizioni personali seriamente vagliate, all’incessante interrogare l’uomo e il mondo con curiosità e passione, al mettere in relazione vitale la Rivelazione e l’uomo, la creazione, la storia.
Mi sembra questo un punto irrinunciabile per aprire qualsivoglia dialogo con la cultura contemporanea: restare aperti al confronto critico con posizioni diverse, a partire dalla passione per l’uomo e per la sua inalienabile dignità. Come Giovanni Paolo II ha voluto affèrmare, già nella sua prima enciclica, Redemptor hominis: «L’uomo è il cammino della Chiesa». L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è il centro e il cuore d’ogni cultura, a tal punto che si può misurare il valore morale di una cultura e delle sue concrete espressioni dall’immagine dell’uomo che si traccia in essa. Non c’è cultura che non è dell’uomo e per l’uomo. Nello storico discorso tenuto a Parigi il 2 giugno 1980, presso l’UNESCO, il Papa affermava ancora con forza: «L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura».
Alcuni ambiti prioritari nei quali la dignità dell’uomo va approfondita in relazione con la cultura moderna, mi sembrano essere la cultura della pace collegata con l’equità e la giustizia e l’integrità della creazione; la convivenza e la fraternità nella tensione tra particolare e universale e fra tradizioni culturali e religiose diverse; l’informazione, la scienza e la sapienza, la sfida della formazione integrale della persona, la dimensione estetica.
- La cultura della pace collegata con l’equità e la giustizia e l’integrità della creazione: dinanzi alla realtà odierna di conflitto e guerra diffusi, di presunto “scontro di civiltà”, d’incontro e di rifiuto tra popoli e culture, di dominio del mercato che impone scelte belliche e allarga il divario tra Nord e Sud del mondo, è urgente elaborare una cultura della pace e della giustizia. Lo stesso vale dinanzi alla grave emergenza ambientale. La nostra tradizione francescana è ricca al riguardo. La riflessione filosofica, teologica ed etica possono molto in questo campo.
- La convivenza e la fraternità nella tensione tra particolare e universale e fra tradizioni culturali e religiose diverse: nel tempo della globalizzazione, con tutte le sue luci e ombre, siamo di fronte alla sfida di costruire comunità, luoghi d’appartenenza in cui riconoscersi. In particolare mi sembra necessario che si sviluppi una riflessione solida intorno al dialogo interculturale e interreligioso.
- L’informazione, la scienza e la sapienza: la scienza, la tecnologia e l’in-formatica crescono a ritmo vertiginoso. Resta la domanda inquietante di Thomas Elliot: «Dov’è la scienza che abbiamo perso con l’informazione e dov’è la sapienza che abbiamo perduto con la scienza?». Siamo chiamati a conoscere questo mondo e a servircene con competenza per i fini accademici. Insieme con ciò va realizzato l’obiettivo di formare oltre che un’eccellenza accademica anche un’eccellenza umana.
- La sfida della formazione integrale della persona: si tratta di disporre non solo di contenuti formativi, ma che l’Ateneo diventi sempre più un ambiente formativo per l’eccellenza umana. Il dialogo con la cultura comincia al nostro interno, attraverso la capacità umana e cristiana di confronto leale, di dialogo aperto, di rispetto e stima anche quando si resta distanti nelle opinioni. In questo clima sarà possibile per il PAA aprirsi in modo ancora più profondo di quanto non si sia fatto sinora all’attenzione pedagogica integrale alla formazione.
- La dimensione estetica: la Chiesa e la spiritualità hanno inciso fortemente sulla cultura, specialmente sull’arte e, dall’altra, la cultura, nel concepire e produrre il bello, svolge un autentico servizio alla fede, come testimoniano tante opere artistiche. Nella nostra tradizione abbiamo un ricco patrimonio d’arte. Credo che questo non può essere dimenticato e perduto. La dimensione estetica va approfondita sul piano filosofico e teologico e letterario, per entrare in collegamento con ampi settori della cultura contemporanea.
Al termine di questo mio intervento desidero dire ancora che il nostro Ordine e tutta la nostra famiglia francescana non possono voltare le spalle alla sfida del dialogo con la cultura. Come frati minori, siamo chiamati a dare il nostro apporto perché tra fede e cultura s’instauri un dialogo fecondo, che permetta alla fede di ritrovare in ciò che è pienamente umano i tratti della nuova creazione di Cristo che lo Spirito conduce alla sua perfezione nella storia e nel mondo e alla cultura consenta di non aver paura della fede, che mai teme ciò che è veramente umano.
Così hanno fatto, al loro tempo, i grandi maestri di quella che è chiamata la “scuola francescana”.
Sarà possibile anche a noi in questo nostro tempo, tanto difficile e pur magnifico?
L’anno accademico che oggi inizia solennemente vi aiuti a porvi questa domanda, a crescere nella certezza che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
Buon anno accademico a tutti voi, carissimi.
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