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Recensione: T. HOFFMANN, Die Univozität des Seienden. Texte zur Metaphysik

 
 
 
Foto Fiorentino Francesco , Recensione: T. HOFFMANN, Die Univozität des Seienden. Texte zur Metaphysik, in Antonianum, 78/1 (2003) p. 194-197 .

Preceduto da una sintetica e accurata introduzione di carattere biografico, metodologico, storico e contenutistico, Tobias Hoffmann propone il testo latino di Lectura e di Ordinatio I, dist. 3, pars I, q. 1-2, dist. 8, q. 3 di Giovanni Duns Scoto, secondo l’edizione vaticana e una traduzione tedesca, rispettosa della terminologia tecnica del Doctor Subtilis; tali famose questioni ineriscono alla conoscibilità di Dio e all’univocità dell’ente.

In seguito all’ambiguità aristotelica, Avicenna e Averroè avevano tentato di risolvere la problematica dell’oggetto della filosofia prima in quanto metafisica, rispettivamente a favore dell’ente in quanto ente o a vantaggio di Dio in quanto ente supremo, la cui esistenza è dimostrata per via fisico-cosmologica. In seguito ai progetti ontoteologici tomisti, Enrico di Gand, importante referente polemico di Scoto, aveva assunto come oggetto della metafisica l’ente in quanto tale come analogo comune al Creatore e al creato, due concetti realmente divergenti.

Il maestro francescano rigetta ogni criterio di anologia intrinseca o estrinseca che leghi l’indefinita universalità dei membri gerarchici in una fittizia unità secondo gradi di prossimità di perfezione rispetto all’unico criterio assoluto di comparazione, Dio come apice superiore, immanente d’una cascata ontognoseologica, necessitaristica. Concesso al Gandavense che il Creatore sia conoscibile negativamente o confusamente solo a partire dall’essenza astratta dalle cose sensibili alla maniera dell’Aquinate, l’accesso alla conoscibilità di Dio può essere garantito dal concetto di ente in quanto ente come primo scibile in ordine di adeguazione, come oggetto più adeguato alle facoltà cognitive dell’intelletto del viatore. L’ente semplicemente ente, l’ente a cui semplicemente non ripugna essere, riesce il più neutro, il più comune, il più indeterminato, il più proprio nell’intero dominio dell’essere come prima operazione dell’ente; esso si oppone solo al mero nulla come contraddittorio logico, non-ente.

Il principio logico di non-contraddizione sembra regolare dall’interno la struttura intimamente costitutiva e operativa dell’ente nella sua minimalità logica, per cui è semplicemente contraddittorio affermare che l’ente non è, e nella sua massimalità operativa, per cui l’ente fonda le condizioni logiche della positività ontologica intenzionale e trascendentale, ma comunque estrinseca al nulla logico-metafisico, secondo una colorazione geneticamente disposta all’univocità verso gli enti più svariati; cio accade senza che l’ente in quanto ente a livello preterintenzionale corrisponda ad alcuna proprietà o ente mentale o extramentale.

Come mero portato metafisico del principio logico di non-contraddizione l’ente si mostra irrelato, areferenziale, indifferente sia all’individualità in cui esso può trovarsi realizzato a livello fisico, che all’universalità in cui può trovarsi pensato a livello gnomico, riuscendo essenzialmente indeterminato, indifferenziato, inqualificato né in senso privativo o negativo né in senso positivo, ma in senso puramente logico come condizione e ragione fondativa di tutti gli enti; essi non corrispondono a gradi diminuiti d’essere, sono enti; sono costituiti d’ente, includono la ragione dell’ente nelle proprie essenze, di volta in volta differenziate secondo i propri modi d’essere, generi, specie e individui. Tutte queste differenziazioni sono trascese dall’ente non tanto come mere determinazioni restrittive, sempre più particolari dell’ente universale, quanto come singole flessioni modali, ciascuna unica nella propria ricchezza ontologica, dell’ente sempre identico e sempre diversamente denominato, colorato, qualificato in virtù delle sue proprietà trascendentali semplici o disgiuntive che sovrintendono ai generi, e delle differenze specifiche che sottintendono ai generi in direzione degli enti particolari, classificabili in generi, specie e individui.

L’ente in quanto puro non-contraddittorio sussisterebbe in sé nella sua semplice oggettività preterintenzionale, senza richiedere alcun intelletto che lo pensi e senza autoescludere intimamente la propria intelligibilità e conseguentemente la propria intellezione da parte di un intelletto adeguato. Una volta intelletto, concepito, partorito in anima come oggetto proprio dell’intelletto, l’ente esalta il potere della mente che riesce a pensarlo pienamente e acquista un nuovo modo d’essere non affatto diverso dal precedente, il modo intenzionale, mediano tra quello puramente logico e quello extramentale. L’ente in mente diviene il supremo intelligibile logico, comprendente nella sua assoluta semplicità tutto ciò che è logicamente pensabile secondo il criterio della compossibilità non contraddittoria, così da permettere l’entità di ogni ente nella speciale ricchezza ontologica della propria natura, a dispetto d’ogni presunto rischio di panteismo.

L’ente risale a monte dell’albero di Porfirio di cui può rappresentare il genere generalissimo, fungendo da principio d’unità per l’intera sfera metafisica degli enti attuali o possibili, compreso Dio. Ma, finchè si concepisce l’ente solo così alla maniera tradizionale, probabilmente non si tenta neppure di concepire l’immensa potenza ontologica dell’ente come metacategoria, classe delle classi, metacategoria, capace di fornire senso, di significare primitiva-mente l’intero dominio dell’essere nella propria entità, non tanto contenendo in sé ogni classe quanto fondando dall’interno la stessa condizione d’entità e di pensabilità d’ogni ente classificabile e trascendendo il campo del reale verso quello del possibile.

L’ente non include, ma è incluso nei generi, nelle specie, negli individui e in ogni ente creato e increato, perché esso non è il contenitore universale in cui l’universalità degli enti insieme o singolarmente si trovi in modo potenziale, ma la ragione-precondizione d’identità e di diversità d’ogni ente. Sebbene nell’univoca identità dell’ente non si possa pensare qualunque cosa nella sua compiuta definizione essenziale, sempre diversa l’una dall’altra senza residui ontologici, qualunque cosa si pensi è un ente. Non si può pensare il non-ente, contraddittorio a qualsiasi livello d’esistenza. Per affermare poi se tale non-contraddittorio che si può pensare esista o non esista realmente, se esso sia sostanza o accidente, necessario o contingente, materiale o spirituale, uomo o Dio, si può ricorrere alle proprie facoltà astrattive che elaborano i dati sensitivi, ricavando le proprietà trascendentali e le differenze specifiche, distinte solo formalmente dagli enti e dall’ente che si trova in esse non più essenzialmente, quiditivamente come ragione costitutiva, ma virtualmente, qualitativamente come denominabile o determinabile.

Un’intelletto intensivamente infinito, concepirebbe ogni possibile linea evolutiva dell’ente in quanto ente, tutta la sfera ontologica insieme e contemporaneamente in un’unità semplicemente particolare-universale. Tuttavia, tale intellezione non si addice all’intelletto umano, estensivamente finito, costretto a sezionare l’intellegibile, a conoscere separatamente l’uno dopo l’altro ogni possibile modo intrinseco dell’ente. Questa continua dissezione cognitiva rende necessaria la determinazione dell’univocità dell’ente secondo la predicazione quantitativa, e qualitativa, cioè rende necessario scoprire se in ogni atto cognitivo, operato dall’intelletto umano, l’ente sia incluso come sua condizione intimamente genetica d’identità e di diversità così da suscitare contraddizione, allorché esso sia affermato e negato dallo stesso soggetto.

Solo così può essere assicurata l’unità logica del concetto dell’ente, da un lato incluso essenzialmente in ogni ente come sua ragione intima, fondativa, costitutiva, genetica, sempre identica e, dall’altro, virtualmente determinato, denominato, differenziato, colorato, qualificato dalle sue proprietà trascendentali in sé, in ogni ente inferiore e dalle differenze specifiche solo nei concetti non semplicemente semplici degli enti inferiori.

Naturalmente, tutta questa complessa architettura ontognoseologica, dominata dall’ente semplicemente non-contraddittorio, va rapportata alle specifiche facoltà cognitive dell’intelletto del viatore e, come acutamente osserva Hoffmann, sfocia in una nuova impostazione della metafisica come scienza trascendentale che riceverà grande interesse nella posterità basso-medievale e moderna, a cominciare dal Tractatus de trascendentibus di Francesco di Meyronnes.

La metafisica è liberata dall’intreccio soffocante delle gerarchie ontognoseologiche di partecipazione, e ora è governata da un principio superiore d’intelligibilità e di possibilità, preliminarmente trascendente e fondativo della stessa relazione tra Creatore in quanto ente in-finito e creatura nella sua ecceità particolarissima.



 
 
 
 
 
 
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