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Informazione sulla pubblicazione:
Recensione: Giovanni Garbini, Note di lessicografia ebraica

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Giovanni Garbini, Note di lessicografia ebraica , in Antonianum, 74/2 (1999) p. 343 .

Garbini ci offre ancora un frutto delle sue annose fatiche di semitista, molto utile e vivace. Il libro raccoglie circa quaranta lemmi ebraici, in parte già pubblicati altrove, che danno il quadro del metodo di lavoro dell'autore e offrono degli spunti oltremodo stimolanti. Il G. si avvale contemporanemente dell'analisi linguistica (sincronia) e di quella filologica (diacronia) per venire a capo del significato di vocaboli ancora in discussione. Alcuni termini danno luogo a delle vere e proprie piccole monografie.

Ad esempio, notevole è lo studio del tormentato termine molek, interpretato spesso come nome di un dio fenicio al quale si offrivano sacrifici umani; così sono stati spiegati passi come Lv 18,21 e 20,5, a partire dal Brown-Driver-Briggs, 574, fino a studi recenti come quello di J. Day: Molech. A God of Human Sacrifice in the Old Testament, (Cambridge 1989). Eppure già l'Eissfeldt aveva ipotizzato la possibilità che si trattasse di un tipo di sacrificio di origine fenicio-cananea. È anche il parere del G.: il mlk (ebraizzato in molek) sarebbe stato all'origine un sacrificio indirizzato a Baal Hammon, il re (mlk: la radice è la stessa per la regalità e il sacrificio) dell'aldilà; inoltre, una specie di re (mlk) avrebbe rappresentato la vittima prescelta per il sacrificio. Solo che nei passi biblici citati, ai quali si può aggiungere 1 Re 11,5.7, si registra già uno scivolamento semantico dall'indicazione del sacrificio a quella di una divinità. Un dato suffragato dalla traduzione greca, la quale offre il termine di a)/rxwn = "principe". L'analisi di questo lemma è importante, perché è un campione di quel che il G. persegue, cioè mostrare come nella massima parte dei testi biblici, risalenti al periodo esilico-postesilico, sia stata all'opera una vera e propria operazione di manipolazione (egli dice) ideologica. In altri termini, egli fa riferimento a quella vasta e titanica impresa che va dal VI sec. a.C. in poi, che si configura come la costituzione di una religione e una cultura quasi nuove: il giudaismo del secondo tempio.

Un altro esempio interessante è lo studio di tohu, che l'autore traduce con "desiderio", invece che con "vuoto" o "arido", come si traduce di solito l'endiadi genesiaca tohu wabohu (Gn 1,2); il vocabolo sarebbe anch'esso di origine fenicia.

Da leggersi anche la voce šošan = "giglio", "rosa", in cui viene descritta con acribia l'evoluzione dalla parola egiziana sšn = "fiore di loto" a quella ebraica, passando per Canaan e la lingua greca.

Nonostante la forma compilatoria del libro, non vi manca lo spirito sapido e vivace dell'autore, che sa rendere gradevole anche l'arida filologia. Si legga, ad es., la voce lah = "natica". Senza parlare della vena polemica, specialmente nei riguardi dei biblisti-teologi, che il G. non può mai esimersi dal rimbrottare, talora a ragione. Ma questi sono dati temperamentali che non pregiudicano il valore e la necessità di studi del genere.



 
 
 
 
 
 
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