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Recensione: B. BORSATO, L'alterità come Etica. Una lettura di Emmanuel Lévinas

 
 
 
Foto Faggioni Maurizio , Recensione: B. BORSATO, L'alterità come Etica. Una lettura di Emmanuel Lévinas, in Antonianum, 72/1 (1997) p. 163-165 .

Emmanuel Lévinas è morto il 25 dicembre 1995, pochi giorni prima del suo novantesimo compleanno, dopo aver attraversato, con una vicenda personale trava­gliata e un itinerario spirituale lineare e coerente, un secolo convulso e saturo di contraddizioni.

In questo studio, derivato da una tesi dottorale suggerita dal compianto prof. Vendrame e discussa presso l'Accademia Alfonsiana, don Battista Borsato si acco­sta con amore al pensiero levinasiano e lo presenta attraverso sette brevi capitoli, seguiti da una densa conclusione. La visuale dalla quale viene ripercorsa e presen­tata la filosofia di Lévinas è quella dell'alterità che, come dico il titolo, «non è un modo di vivere l'etica, e neppure una parte dell'etica, ma l'etica stessa. La modalità per vivere l'etica è rispettare, valorizzare, far crescere l'alterità. La persona vive l'e­tica quando vive l'alterità dell'altro» (p. 137).

L'originalità della proposta di Lévinas, che si distacca dalle grandi direttrici del pensiero occidentale sino a rovesciarle, esige di ricostruirne la genealogia, mostran­done le matrici ideali. L'Autore individua tre istanze che fungono da principi gene­ratori del pensare del filosofo lituano: l'istanza filosofica, «come conoscere l'altro senza che venga catturato dalla soggettività conoscente» (p. 16), l'istanza etica, co­me vincere la violenza e il totalitarismo onnipresenti in seno al mondo occidentale, l'istanza religiosa, come accogliere nel volto dell'altro la traccia (e non il simbolo) dell'Infinito totalmente altro e assente.

Nei primi tre capitoli, vengono esplicitate le coordinate su cui si muove il pen­siero di Lévinas. La filosofia occidentale, fondandosi sulla dottrina dell'essere, è co­me segnata da un peccato originale che la porta ineluttabilmente a eliminare ogni varietà e differenza della realtà e a sacrificare l'individuo all'anonimato della tota­lità. Ma se l'io della modernità, facendo sua la voracità propria dell'essere, preten­de di farsi in qualche modo tutto e travolge e fagocita l'altro, Lévinas, partendo da alcune intuizioni dei suoi maestri Husserl e Heidegger, si incammina per una via opposta a quella dell'egologia e procede sicuro attraverso due grandi tappe: «una prima (tappa), che egli chiama anche evasione, è la liberazione dell'io dalle maglie dell'essere; tappa ancora preparatoria, passo preliminare per quello che è il vero evento esodico, l'uscita dell'io da sé verso l'altro» (p. 34). Perciò - scrive Lévinas in un testo sfolgorante - «al mito di Ulisse che ritorna a Itaca vorremmo contrapporre la storia di Abramo che lascia per sempre la sua patria per una terra ancora scono­sciuta» (cf. p. 32). Mentre Ulisse è il simbolo dell'uomo che ricerca se stesso, che pone la sua fiducia solo nelle sue forze e che ritorna sempre a sé, nella sua patria, Abramo invece è il simbolo dell'uomo che esce da sé per un appello che gli viene da altrove e si depone per ascoltare e ubbidire a voci che lo fanno trascendere, lo fanno evadere da se stesso e lo conducono verso una terra altra.

L'esodo da se stessi verso la scoperta del volto dell'altro si profila come l'unica strada per scardinare il totalitarismo sopraffattore annidato nelle premesse ontolo­giche dell'etica occidentale: «se lo stare nell'essere comporta ... la ribellione e l'uc­cisione dell'altro, ossia la guerra, occorre un modo di vivere che sia altrimenti che essere ... Altrimenti che essere vuol dire che al posto della vita basata sul potenzia­mento di sé, compresa la riduzione dell'altro a sé, si deve vivere il radicale faccia a faccia con l'altro» (p. 139). L'etica dell'alterità è rifiuto di violare con le proprie ca­tegorie precomprensive e comprensive il mistero dell'altro, è accettare la priorità dell'altro, è riconoscere il primato dell'etica sull'ontologia: alterità significa pertan­to primato dell'eteronomia sull'autonomia (cap. 4), primato della responsabilità sulla libertà (cap. 5), primato della giustizia sull'amore (cap. 6).

Arrivato al termine della sua presentazione, nel settimo e ultimo capitolo, don Borsato deve onestamente riconoscere che non solo l'etica dell'alterità si pone in antitesi con le diverse declinazioni dell'etica filosofica occidentale, ma anche le so­miglianze fra l'etica della responsabilità di Lévinas e l'etica del servizio, propria del­la tradizione cattolica, sono più apparenti che reali. «Tra le due esiste una radicale differenza. Nell'etica del servizio, come fu intesa e vissuta dalla maggior parte dei cristiani, il centro era l'io che si poneva al servizio e quindi era l'io che scrutava i bisogni e cercava le risposte adeguate. Era ancora un'etica egologica, in Lévinas l'io è soggezione, è soggetto; si fa risposta, è passività. È l'altro il centro, il maestro da cui dipendere a cui porsi in ascolto» (p. 114).

Anche se può essere discutibile la perentorietà di questo giudizio, soprattutto nei riguardi dell'etica cristiana, resta come dubbio che fa pensare l'irriducibile dia­lettica che Lévinas scorge fra l'essere, con un'etica fondata su una teologia imma­nente all'essere, e l'alterità, che si svela nell'epifania di un volto implorante e appel­lante la mia responsabilità. Alle soglie del terzo millennio, sazi di ascoltare il canto seducente e vacuo delle sirene di un secolo decadente e i gemiti di un pensiero che, come Vheautontimoroumenos terenziano, si ritira impotente di fronte alla realtà, si avverte un urgente bisogno di eticità, si va in cerca di un'etica condivisa che possa guidare i rapporti fra gli uomini su un pianeta ormai affollato e^tanco di sostenere la nostra arroganza e la nostra aggressività. In questo tramontare delle antiche cer­tezze e delle ontologie forti, l'etica, se non vorrà annullarsi nella contraddittoria ba­bele del relativismo e ridursi a giustificare le follie generate dalla cieca volontà di potenza, dovrà forse imparare ad autofondarsi e, oltrepassata l'ontologia, riformu­larla e ritrovarla a partire dall'unica realtà trascendente a noi concessa, l'alterità.

Credo che Lévinas, si accettino o meno i percorsi della sua filosofia, abbia an­cora molto da dirci e che il suo messaggio possa contribuire a quella rifondazione dell'etica che è da tutti auspicata. L'agile volume di don Borsato, di taglio tenden­zialmente divulgativo, ma senza semplificazioni fuorvianti e ricco di stimoli, costituisce un valido contributo per introdurre anche fra i non specialisti i tesori di que­sto pensiero affascinante e profondamente originale.

 



 
 
 
 
 
 
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