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Recensione: RINALDO FABRIS, La tradizione paolina

 
 
 
Foto Buscemi A. Marcello , Recensione: RINALDO FABRIS, La tradizione paolina, in Antonianum, 72/2 (1997) p. 317-319 .

L'opera si presenta come una sintesi densa e articolata della problematica re­lativa alie sei lettere dell'epistolario paolino (2Tessalonicesi, Efesini, Colossesi, lTi-moteo, 2Timoteo, Tito), che alcuni critici ritengono «deuteropaoline» e «pseudepigrafe». Esse, anche se non sono state scritte direttamente da Paolo, sono state in-fluenzate dal suo pensiero e appartengono di conseguenza alia «scuola paolina», o al «circolo paolino» (Bruce), o meglio ancora alia «tradizione paolina». Tale precisazione é importante e nell'economia del pensiero di Fabris diviene l'oggetto principale del / Capitolo: La tradizione paolina (pp. 11-30), dove l'A. con buoni ar-gomenti dimostra che «é preferibile il termine "tradizione" piú che "scuola" o "cir­colo" (p. 20), in quanto rispetta il linguaggio degli scritti di Paolo ed esprime anche la coscienza del rapporto che lega l'apostolo ai suoi collaboratori o discepoli e alie sue giovani comunitá cristiane» (p. 9). Infatti, «Paolo nei rapporti con i suoi colla­boratori e con le comunitá cristiane tende a sostituire al modello "maestro-discepolo", quello di "fratello" e "padre-figlio"» (pp. 18-19). Tali collaboratori sonó stati numerosi (pp. 21-24) e dislocati in un'area geográfica che va dalla Siria alPAsia Mi­nore e alia Grecia, mentre per le «deuteropaoline» si nota «una concentrazione geografica dell'azione e della memoria di Paolo in Asia e in particolare ad Efeso» (p. 27). Anzi, «il ruolo centrale dell'ambiente efesino é attestato dall'intero episto­lario paolino con una progressione che va dalle prime lettere alie ultime lettere nel-l'ordine cronológico. Invece diminuisce e quasi scompare la centralita dell'Acaia e di Corinto» (p. 27). Ció é significativo, in quanto offre «uno spunto per ricostruire la genesi e lo sviluppo della "tradizione" di Paolo» (p. 27). Di piü: «la presenza, nelle varié regioni, dei suoi "discepoli" diretti, garantisce l'ortodossia dell'annuncio del vangelo e la stabilitá della Chiesa, ... assicura la trasmissione dello stesso Vangelo e coordina la vita dei credenti. In tale contesto le lettere, che si richiamano al nome e all' autoritá di Paolo, non solo sono espressione di questa tradizione, ma ne sono gli strumenti legittimi ed efficaci» (p. 30).

Stabilito il concetto di «tradizione paolina», l'A, nel 77 Capitolo: Le lettere deu­teropaoline, precisa prima il senso dell'espressione «deuteropaoline» (p. 31), offre poi un quadro della formazione del canone paolino (pp. 32-46), una panorámica sul dibattito odierno circa le lettere «deuteropaoline» (pp. 46-57) e una puntualizzazio-ne del concetto di «pseudepigrafia» (pp. 57-64). Essa é un fenómeno letterario, con cui un autore si colloca alPinterno di una tradizione vivente che fa capo a un per-sonaggio al quale si attribuisce un ruólo fondante e normativo. Essa non é un «giudizio di valore»: gli scritti pseudepigrafici all'interno del NT conservano sempre la loro «canonicitá» (p. 32). In tal senso, «la pseudepigrafia nel contesto della tradi­zione paolina ha lo scopo di assicurare la continuitá del ruólo fondante e normativo dell'apostolo Paolo anche dopo la sua morte». Anzi, si puó diré che «le sei lettere deuteropaoline grazie alia pseudepigrafia rendono attuale ed efficace il ruólo auto-revole di Paolo per far ritrovare le ragioni di una sicura identitá cristiana e rispon-dere, nella continuitá con il método e pensiero dell'apostolo, alia sfida rappresen-tata dalle diverse nuove situazioni storiche e culturali delle comunitá, alie quali esse sono indirizzate» (pp. 63-64).

Date queste premesse, l'A. nei ce. III-V1 stabilisce un'attenta analisi lingüisti­ca, storica e teologica delle sei «lettere deuteropaoline». Tale analisi é guidata da un «principio base»: «In una nuova valutazione dell'ipotesi della pseudepigrafia ap-plicata agli scritti paolini non é in gioco la contestazione o la difesa dell'autenticitá paolina, quanto la loro lettura e interpretazione» (p. 141). In altre parole, ció permette di notare nelle «deuteropaoline» da una parte le somiglianze con le «lettere protopaoline», quindi la loro continuitá con l'insegnamento fondante di Paolo, e dall'altra le differenze, cioé l'adattamento dello stesso insegnamento a situazioni culturali ed ecclesiali nuove (cfr. p. 63). In tal senso, ciascuna delle «lettere deute-paoline» ha il suo modo di esprimere la fedeltá al messaggio di Paolo e la sua carica di vitalitá nel renderlo attuale per la propria comunitá e per il proprio ambiente cultúrale e religioso.

L'opera di R. Fabris é esemplare per chiarezza, ricchezza di contenuti, coeren-za di esposizione, attenta e documentata, che mostra la mano di un vero esperto nei problemi biblici neotestamentari. Per questo spero che Topera abbia una buona dif-fusione e aiuti a leggere piú in profonditá gli scritti della «tradizione paolina». Espressione, questa, molto felice, in quanto presenta tali lettere in una luce piü adeguata: Paolo non é un maestro, ma un «padre» (ICor 4,15) o una «madre» che continua a generare i suoi figli finché Cristo sia formato in loro (Gal 4, 19). Egli non propone una sua dottrina, ma é Tapostolo del Vangelo di Cristo, ministro di Cristo, dispensatore dei misteri di Dio (ICor 4, 1), ambasciatore della sua riconci-liazione (2Cor 5, 20). Altrettanto convincente é la sua breve presentazione del fe­nomeno della «pseudepigrafia», dove il «problema» a mióo awiso non consiste tanto nell'accettare tale fenómeno, ma a quali scritti neotestamentari esso va applicato.

Su questo punto i miei dubbi sonó parecchi. Anzi, piú di una volta anche lo stesso Fabris rimane perplesso (cfr. ad esempio le pp. 85-86; 130-132). E tale perplessitá non credo che la si possa superare rilevando una certa confusione tra «autenticitá» e «canonicitá» (p. 10) o al limite affermando: «Una resistenza inconscia all'ipotesi della pseudepigrafia paolina di alcune lettere che fanno parte del canone cristiano deriva dal pregiudizio ideologico residuo della mentalitá controversistica, quando si stabiliva una graduatoria degli scritti ispirati in nome di un esame o test teologico: gli scritti di primo grado erano quelli che riproducevano la teologia di Paolo incentrata sulla giustificazione per la fede; gli scritti di secondo grado erano quelli che indulgevano alie tendenze istituzionali e moraleggianti del protocattolicesimo. Questi schemi ideologici si rivelano sempre piü antistorici e riduttivi in quanto impediscono di leggere e valutare uno scritto cristiano per quello che é e di­ce nel suo contesto storico e culturale» (p. 10). Queste sonó veré scappatoie che non hanno nulla a che fare con la valutazione critica dei testi e della conseguente applicabilitá del fenomeno della «pseudepigrafia». In altre parole, voglio diré che la «pseudepigrafia» non deve divenire una nuova «ideología»: se essa non risolve i problemi letterari o storici di un testo o non apporta nulla alia loro comprensione profonda (cfr il caso di Colossesi a p. 130-132), non credo che sia il caso di applicare l'ipotesi della «pseudepigrafia».

Cosí, tutto l'apparato di analisi letterarie su Efesini e Colossesi puó impressionare il lettore, ma non risolve il problema. Studiosi molti seri, pur essendo proclivi alia «pseudepigrafia», riconoscono apertamente che le analisi letterarie di Colossesi ed Efesini sonó molto lontane dal dimostrare la loro inautenticitá, dato che ogni lettera della «tradizione paolina» ha delle particolaritá a riguardo. Inoltre, afferma-re che lo stile di Colossesi ed Efesini sia difforme da quello delle «sette lettere autentiche» mi sembra una banalitá, in quanto lo stile delle «protopaoline» non é uni­forme, come dimostra il confronto della 2Corinti con Romani e ancor piu con Galati. Altrettanto vago mi sembra affermare che la teologia, la cristologia e l'ecclesiologia di queste lettere - quelle offerte dall'A. potrei sottoscriverle senza alcun timore, pur non ammettendo la «pseudepigrafia» - siano alquanto differenti da quel­le delle «protopaoline». Oltre al fatto che nessuna lettera paolina é mai una copia conforme di un'altra, credo che ammettere un certo sviluppo nel pensiero di Paolo sarebbe piu semplice e piü fruttuoso che volerle trattare, a qualunque costo e per una precomprensione ideológica, come «pseudepigrafe».

Altrettanto strano e poco credibile mi sembra attribuire a Timoteo o Silvano la redazione della 2Tessalonicesi, a Timoteo quella di Colossesi, ad Onesimo, Ti-chico, Timoteo o Luca quella di Efesini, solo per il fatto che essi vengono nominati nel prescritto o lungo il corso della Lettera. Se questo argomento é valido, allora perché non lo si applica ai Corinti, dove Paolo scrive questa lettera insieme a So-stene (ICor 1,1) o alia 2Corinti scritta insieme a Timoteo (2Cor 1, 1) o a Filippesi anch'essa scritta insieme a Timoteo? Credo che questo potrebbe essere non un segno di «pseudepigrafia», ma un segno di reale autenticitá. Scrivere: «I tratti agiografici di Paolo agli Efesini sonó un indizio della sua origine pseudepigrafica», ma perché ció é valido per Efesini e non é valido per Filippesi? Anche in questo caso, mi sembra che scatti nell'A. come un meccanismo inconscio che gli fa vedere «so-vraesaltazioni di Paolo» (cfr pp. 191-192), dove vi sonó delle semplici manifestazio-ni del carattere alquanto roboante di Paolo. Cosi, mi sembra ridicolo voler inter­pretare l'espressione «l'infimo degli apostoli» di ICor 15, 8-10 come avente «un certo realismo e il senso della discrezione», solo perché in Ef 3, 8 sta scritto: «il piu ínfimo» (in Sesto empirico si trova perfino il superlativo di ελαχιστος; cfr. Rocci). In veritá, Paolo con una evidente esagerazione afferma in ICor 15, 8-9: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come ad un aborto. lo infatti sonó l'infimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio». Non so quanta misura ci siano in queste parole, ma sta un fatto che i suoi avversari non avrebbero potuto mai affermare una cosa simile di lui, come testimonia la sua reazione in 2Cor 10, 12-11, 33 e Fil 3, 4-6, tanto da dover chiedere scusa per la «sua insipienza» (2Cor 11, 1.12). lo credo che molti di questi piccoli dettagli si spiegano meglio con un'esegesi piü attenta che non con la «pseudepigrafia».