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Informazione sulla pubblicazione:
Recensione: Paul Ellingworth, The Epistle to the Hebrews. A Commentary on the Greek Text

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Paul Ellingworth, The Epistle to the Hebrews. A Commentary on the Greek Text , in Antonianum, 71/1 (1996) p. 119-121 .

Un commento monumentale all'importante testo neotestamentario, ma anche arrivato a proposito. Infatti, questo commentario della NIGTC si situa nella più classica tradizione filologica anglosassone, della quale riproduce l'efficacia, non di­sgiunta dall'attenta considerazione del più ampio ventaglio di proposte della lette­ratura esegetica contemporanea, con la quale l'H. entra in fruttuoso dialogo. Co­munque, l'a. afferma di essere particolarmenee in debito con il commentario di F.F. Bruce (1964; nuova ed. 1990).

Riassumiamo i dati riguardanti la Lettera agli Ebrei, ricavati dall'ampia intro­duzione (98 pagine).

Benché anonima, alla Lettera sono stati di volta in volta attribuiti i più dispa­rati autori, sui quali spicca l'apostolo Paolo: fin dall'antichità, è stata la convinzione più diffusa, e, forse per questo, l'opera ha trovato, posto nel canone. In realtà, que­sta bellissima composizione, unica e originale del suo autore, è destinata a rimanere anonima, anche se una delle figure neotestamentarie tirate in ballo, il predicatore Apollo, rivale involontario di Paolo, è per H. « perhaps the least unlikely of the conjectures which have been put forward ».

Riguardo ai destinatari della Lettera, H., scartando l'affascinante ipotesi, rap­presentata soprattutto da C. Spicq, secondo cui dietro « agli Ebrei » sarebbe da ve­dervi ex- sacerdoti di Gerusalemme, forse qumraniti, convertiti, non va oltre l'am­missione di un gruppo particolare, a prevalenza giudeo-cristiana, inserito in una più ampia comunità cristiana non direttamente coinvolta. Il luogo di destinazione po­trebbe, invece, essere Roma, dato che Clemente Romano cita Ebrei e che, inoltre, proprio a Roma e nella Chiesa occidentale, si è fin dall'inizio contestata la sua pa­ternità paolina (Tertulliano, il presbitero Gaio; problematicità mostrata da Agosti­no e Gerolamo). La data infine, di redazione, sarebbe da collocare tra il 64 e il 70 d.C, tenendo conto dei fatti di persecuzione, cui la Lettera allude.

Un capitolo interessante è quello circa le fonti e il loro uso. Ebrei mostra, com'è risaputo una grande familiarità con l'AT, tanto da far pensare che i destina­tari fossero appunto degli ebrei. Il testo che l'autore deve aver avuto davanti, è, pe­rò, la LXX, non l'ebraico, anche se gli attuali problemi posti dalla traduzione greca, lasciano aperta la questione. L'opera più citata dalla Lettera è il salterio: ben quat­tordici delle trentacinque citazioni, sono prese dai Salmi; l'altra area testuale più frequentata è il pentateuco: tredici citazioni. È interessante notare come Ebrei, in modo tutto peculiare, sappia salvaguardare la continuità tra l'antica e la nuova economia, pur nella evidente novità rappresentata dall'evento cristiano. Riguardo a contatti, poi, con lo gnosticismo, da un lato, e con Filone, dall'altro, i tratti comuni hanno un peso inferiore a quello delle differenze, e, in ogni caso, più che di con­tatti, si deve parlare dello spirito del tempo e di tradizioni giudaiche, ormai diffuse nel mondo d'allora, senza dover necessariamente con questo ricavarne un'influen­za di tipo gnostico o di tipo filosofico. Infine, a Qumran si è già accennato più sopra, a proposito dei destinatari della Lettera. L'ipotesi dello Spicq non può es­sere totalmente scartata, se H. sapientemente fa menzione della pubblicazione di HQMelchizedek, il cui soggetto è al cuore di alcune delle più importanti argo­mentazioni di Ebrei.

Altra trattazione stimolante è quella attorno alla strutturazione della Lettera e al suo genere letterario. Riguardo alla prima, l'H. discute due metodologie estreme, quella del Bruce, che lavora sul « contenuto » del testo, e quello di L. Dussaut, che, al contrario, si muove sulla superficie testuale, denominata dall'H. in modo lingui­sticamente corretto, ma esegeticamente ambiguo, di « forma » (il metodo storico-critico usa tale termine in un altro senso e in modo altrettanto tecnico). H. sceglie una metodologia che si situi a metà tra questi due estremi: una strutturazione ade­guata della Lettera si puà ricavare solo coinvolgendo contemporaneamente sia il contenuto che la forma. Stesso atteggiamento mediativo e sintetico per il genere letterario. Ebrei può essere considerato un sermone con una sua origine orale, tut­tavia ben levigata nella messa per iscritto in forma di epistola.

Un ampio paragrafo è dedicato alla teologia della Lettera. In particolare, è la cristologia che prevale, anche se sulla solida base di una dottrina su Dio e, nel con­tempo, in una fase dalla quale non si può ancora pretendere di ritrovare le future precisazioni dogmatiche circa la persona divina di Cristo. II tema ecclesiologico ha pure la sua importanza, nonostante che la comunità venga trattata in termini « uninstitutional ». Vi è poi una serie di tematiche che si possono riassumere così: non tutto è scritto nella Lettera agli Ebrei (lapalissiano, ma lo si deve riafferma­re...); quindi, non vi si può riscontrare una teologia dello Spirito Santo né un'esca­tologia sviluppata (ma l'uno e l'altra, specialmente la seconda, trovano il loro po­sto) e nemmeno si può contestare anacronisticamente all'autore il suo linguaggio forense nella discussione attorno al tema soteriologico. La resurrezione di Cristo è anch'essa presente, ma sotto il concetto di « esaltazione ». Infine, è lasciato spazio al tema del cosiddetto « rigorismo » di Ebrei. Un passo come 6, 4-6 sembra dare ra­gione a quell'antica polemica dei primi secoli circa l'irredemibilità dei lapsi dopo il battesimo: ciò però atterrebbe più alla storia dell'interpretazione che al senso ori­ginario che potrebbe avere il testo in questione.

Il grandioso tentativo fatto dall'autore di Ebrei aveva come scopo, generica­mente espresso, d'incoraggiare compagni di fede, di cultura giudaica, di fronte a pericoli intemi (stanchezza, paura, tentazione di tornare alla fede giudaica) e a pericoli esterni (la persecuzione), di esortarli a mantenersi nella realtà acquisita e sulla base di verità ormai incontrovertibili: Cristo ha fatto una volta per tutte ed efficamente quello che gli antichi sacerdoti dovevano fare ogni giorno in modo inefficace.

L'introduzione si chiude con un elenco ragionato dei manoscritti del testo di Ebrei, suddivisi, a seconda della natura in cinque categorie.

II commentario si struttura lungo una divisione del testo, che si rifa agli studi di A. Vanhoye:

Prologo: Dio ha parlato ultimamente nel Figlio (1,1-4)

  1. Il Figlio è superiore agli angeli (1,5-2,18)
  2. Il sommo sacerdote fedele e misericordioso (3,1-5,10)
  3. Aspetti del sacerdozio di Cristo (5,11-10,39)
  4. La fede (11, 1-12,13)
  5. Esortazioni finali (12,14-13,25).

Il commentario è corredato da una serie di indici e da una vasta bibliografia, che completano degnamente questo lavoro magistrale, da considerare come un punto fermo nell'attuale panorama esegetico.



 
 
 
 
 
 
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