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Recensione: Richard A. Horsley-John S. Hanson, Banditi, profeti e messia. Movimenti popolari al tempo di Gesù

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Richard A. Horsley-John S. Hanson, Banditi, profeti e messia. Movimenti popolari al tempo di Gesù , in Antonianum, 71/2 (1996) p. 359-361 .

Il saggio potrebbe essere situato in quell'ambito di ricerca biblica, che vuole rinnovare i criteri metodologici d'approccio alle Scritture, appoggiandosi ai para

metri di ricerca della sociologia e della socio-etnologia. Dico potrebbe, perché gli autori (in particolare l'Horsley, che è l'ideatore e l'autore principale dell'opera) non si pongono direttamente questa finalità: il loro intento e il modo di realizzarlo, sono di natura extra-biblica ed extra-esegetica, tanto più che l'Horsley non è pro­priamente un biblista. Tuttavia, i criteri sociologici da essi adoperati, vengono uti­lizzati per una lettura originale sia dell'Antico che del Nuovo Testamento. Ma bi­sogna chiarire in che modo.

Essi lo fanno, mettendo da parte, almeno in linea di principio, la letteratura biblica, da un lato, frutto di strati colti e, quindi minoritari, della società israelitica, e la letteratura secondaria dei «clerici» dell'esegesi, dall'altro, i quali hanno piutto­sto intenti teologici, che offuscano la realtà storica. In particolare, gli autori, come denota il titolo del libro, vogliono comprendere e interpretare la realtà sociale a ca­vallo tra l'era anticotestamentaria e quella neostamentaria, grosso modo l'epoca di Gesù, facendo parlare la maggioranza, coloro che la storiografia «alta» non lascia parlare, ma che sono la maggioranza della popolazione e che quindi convogliano e influenzano la storia reale: i contadini. Come si può notare, dietro tale concezione vi è tutta una serie di acquisizioni sociali, culturali e politiche, che fanno parte della nostra cultura contemporanea. La scuola francese delle «Annales» si contraddistin­gue per questa ricerca nella microstoria, che indaga nelle varie coordinate di un pic­colo spazio di un tempo determinato, manifestando quelle espressioni reali che nel­la storiografia tradizionale non trovano posto, perché vi si lasciano parlare i docu­menti scritti ufficiali e gli altrettanto ufficiali protagonisti della società. Dietro que­st'ordine d'idee vi è anche la lezione marxiana sulla voce e i diritti del proletariato, solo che gli autori del presente libro, alla classe degli operai sostituiscono quella dei contadini, più consona al tipo di società indagata, anche se ci sembra che, come per il marxismo il proletariato operaio è la chiave «passpartout» per l'interpretazione della realtà totale, così per H. e H., quella dei contadini sia una categoria sovrae-sposta e talora semplificatrice, quando non inesatta.

Gli autori compiono una seria indagine sui movimenti e sui capipopolo del tardo periodo del Secondo Tempio e la offrono in un dettato narrativo affascinan­te, che si legge come un racconto, ma, dato che si tratta di un lavoro scientifico , il lavoro va giudicato con i dovuti criteri corrispondenti. È sicuro che la nostra visuale tradizionale della storia del giudaismo del Secondo Tempio, ha bisogno di essere «declericalizzata» e sottoposta anche ad un'indagine extraletteraria ed extrateolo­gica; quindi, si avrà tutto da guadagnare nel leggere studi come quello in questione. Il rischio, però, di tali imprese, come di tutti i tentativi metodologici parziali, im­prontati ad una visuale monodimensionale, è che vogliano spiegare troppo, anzi tutto, nonostante la consapevole povertà di strumenti. Difatti H. e H. sanno che vi è scarsezza di fonti storiche e di studi in proposito e che non possono che ricorrere all'uopo a due fonti per eccellenza, che si sarebbero dovute pregiudizialmente met­tere in secondo piano, in quanto letteratura: la Bibbia e le opere storiche di Giu­seppe Flavio. Ma dove altro si sarebbe potuto reperire il materiale da indagare?... Così, gli autori, per poter spiegare la natura dei movimenti popolari e del ban­ditismo sociale dei tempi di Gesù, oltre a seguire con legittimo interesse le opere di Giuseppe Flavio circa le «quattro filosofie» (farisei, sadducei, esseni e zeloti), stu­diano due delle matrici bibliche tradizionali dalle quali sarebbero nati le idee e i ruoli dei capipopolo e dei gruppi sociali da essi rappresentati: i movimenti popolari messianici (si veda il terzo capitolo) e la tradizione dei profeti popolari (capitolo quarto). In realtà, vengono presi come pacifici punti di partenza per le loro argomen­tazioni, risultati tradizionali, ormai insufficienti e datati, circa la storia d'Israele, più problematica che mai, specialmente nelle fasi più antiche. Il bello è che tali dati o tale sistema strutturato di date, persone ed eventi, viene elasticizzato secondo l'oc­correnza ad uso delle proprie tesi, in modo che operazioni letterarie presenti nelle fonti bibliche, vengano interpretate con criteri ermeneutici semplicistici e ormai inadeguati per le attuali acquisizioni scientifiche dell'esegesi e della storia d'Israele. Si deve così leggere che la maggioranza della popolazione palestinese del tempo di Gesù, i contadini, non ha mai nutrito, né allora né in passato, quelle idee messia­niche e profetico-escatologiche che i biblisti si sarebbero solo sognate come presen­ti nelle traiettorie socioculturali delle vicende storiche d'Israele. La verità è che i contadini ebrei di H. e H. somigliano un po' troppo a orde rozze e violente di certi films western, anche se certo bisogna respingere edulcorate presentazioni della po­polazione giudaica, basate su anacronistiche ed oleografiche clonazioni di figure di devozione, quali quelle tratte dai racconti evangelici.

L'ultimo capitolo è dedicato ad un argomento molto caro agli autori: gli zeloti. Essi vorrebbero riscrivere la storia di questo movimento, su cui si è detto o troppo, contrapponendoli in blocco alle concezioni pacifiste di Gesù, o troppo poco. In realtà, la quarta filosofia di Giuseppe Flavio sarebbe stata costituita all'inizio da gente colta e per niente bellicosa, sicuramente non da identificare, come si sarebbe fatto sulla lettura fuorviante dello storico ebreo, con le bande di briganti sociali e politici che razziavano, per reazione anti-establishment e anti-romana, le contrade della Palestina. Gli zeloti veri e propri non sarebbero la causa, bensì la conseguenza dei sommovimenti sociali che hanno portato alla guerra del 66-70, e quindi, come movimento di lotta armata, uno dei tanti, essi sarebbero nati lì (sarebbe da sfatare, quindi, anche l'idealizzazione sionista dei «difensori strenui di Masada»).

Le nostre osservazioni critiche non sminuiscono il valore di stimolo che ha quest'opera, tanto più che in un tempo nel quale si cercano nuovi approcci meto­dologici che arricchiscano la comprensione dei testi biblici, si ha bisogno di saggi come quello presente, che hanno il coraggio di affrontare nuove vie, offrendosi ad un dibattito vivace.



 
 
 
 
 
 
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