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Dalla Scuola Superiore di studi medievali e francescani: 2) L'Eucologio Barberini Gr. 336: il più antico testo liturgico delle Chiese bizantine

 
 
 
Foto Cacciotti Alvaro , Dalla Scuola Superiore di studi medievali e francescani: 2) L'Eucologio Barberini Gr. 336: il più antico testo liturgico delle Chiese bizantine , in Antonianum, 71/3 (1996) p. 590-604 .

 

 Il 19 Aprile 1996, alle ore 17.00, per iniziativa della «Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani» del PAA, si è svolta la presentazione del volume: L'Euco-logio Barberini gr. 336 (edizione critica a cura di Stefano Parenti ed Elena Velkovska, Bibliotheca Ephemerides Liturgicae, Subsidia 80, C.L.V. Edizioni liturgiche, Roma 1995, pp. xliv + 383). È la prima edizione critica di uno tra i codici più importanti di tutta la storia bizantina. A recensire l'edizione critica del testo liturgico sono interve­nute personalità di rilievo nel campo degli studi bizantini. Il Prof. Robert F. Taft s.i., del Pontificio Istituto Orientale di Roma, ha parlato dell'importanza del codice per la storia della liturgia bizantina. La Dott.sa Silvia Ronchey, dell'Università di Siena e filologa bizantinista, ha trattato dell'edizione critica del codice come fonte necessaria per la storia bizantina. Infine, Mons. Eleuterio F. Fortino, Sottosegretario del Ponti­ficio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, è intervenuto riflettendo sull'incidenza ecu­menica dell'edizione presentata. Il Preside della «Scuola Superiore di Studi Medie­vali e Francescani», Prof. P. Alvaro Cacciotti, introducendo i lavori ha voluto sottoli­neare, tra l'altro, l'impegno che la stessa «Scuola» si assume con l'attivare un indiriz­zo di studi bizantini a cominciare dal prossimo anno accademico 1996-'97. Si tratta di cinque insegnamenti: - Liturgia bizantina, Paleografia e Codicologia greca, Iconologia ed iconografia bizantina, Bisanzio e gli Slavi, Letteratura bizantina, - che intendono preparare studiosi e studenti ad editare criticamente i testi della tradizione bizantina. Per la gentile collaborazione dei relatori dell'importante assise siamo in grado di co­municare il loro intervento per intero. L'incontro, poi, si è concluso con una breve re­plica dei curatori dcll'Eucologio Barberini gr. 336.

Primo intervento Bisanzio in Italia di Robert F. Taft

Nell'ultimo numero della rivista «Qui Touring» (aprile 1996) un artico­lo intitolato «Pitagora turista impenitente» parla del mezzogiorno italico in questi termini: «Fra le più rigogliose colonie che fiorirono in quegli anni dal­l'ottavo al sesto secolo avanti Cristo, ci furono quelle della Magna Grecia sulle coste dell'Italia meridionale. I greci vi giunsero per mare... e fondarono parecchie città, fra le quali Sibari e Crotone furono presto le più popolose e progredite. La prima... è rimasta talmente celebre per i suoi lussi che dal suo nome è stato coniato un aggettivo, sibarita, sinonimo di «raffinato». Vi lavo­ravano soltanto gli schiavi, ma anche a essi erano interdette tutte quelle atti­vità... che potevano, coi loro rumori, disturbare le «pennichelle» pomeridia­ne dei cittadini. Costoro si occupavano solo di cucina, di moda e di sport».

Ma per noi oggi, come, credo, per molti se non addirittura per la mag­gioranza degli studiosi contemporanei dell'Italia meridionale, il punto di partenza per una visita guidata nella Magna Grecia comincia non sei secoli avanti Cristo, ma altrettanti secoli dopo, nell'epoca giustinianea. E il punto focale del nostro interesse non è tanto la vita sibaritica intrisa di moda, cu­cina e ozio pomeridiano interrotto solo dall'esercitazione fisica dello sport. È invece uno stile di vita ben diverso che attira la nostra attenzione, dove la cucina cede il passo al digiuno, la moda al rude abito monacale, le pen­nichelle alle veglie, e lo sport all'esercitazione spirituale dell'ascesi e dell'e-sicasmo.

Si tratta dell'epoca dei Bizantini in Italia che cominciò nel 535 quando Belisario sbarcò in Sicilia, e venne riconfermata nell'ultimo quarto dello stesso secolo con la riconquista bizantina dell'Italia meridionale1.

Questa riconquista fu operata con grande consequenzialità su tutto l'orizzonte politico-sociale, compreso quello ecclesiastico. Gli aderenti del­l'odierno «Byzance après Byzance», pratici nel leggere la storia «a metà», si lamentano, nella loro rituale requisitoria anti-Latina, delle incursioni dei Crociati in Oriente, e della giurisdizione ecclesiastica a favore dei vescovi latini2. E stigmatizzano il fatto che l'aiuto militare contro i Turchi fornito dagli occidentali abbia sempre comportato una «fattura religiosa». Non bi­sogna pensare neanche per un secondo che l'aiuto militare dei Bizantini contro gli arabi in Italia sia stato più disinteressato, o che la politica eccle­siastica bizantina non abbia comportato l'imposizione della bizantinizzazio-ne religiosa del Mezzogiorno.

Già verso la metà del secolo IX i Bizantini sottrassero le diocesi della Calabria, della Sicilia, dell'Illirico orientale e forse anche di Otranto all'ub­bidienza romana per sottoporle a quella del patriarca della Nuova Roma: un latrocinio mai accettato dal papa. La presa di Bari da parte dei Nor­manni nel 1071, sulle orme dello scisma del 1054 che inasprì le relazioni fra Roma e Costantinopoli, condusse ad una riconciliazione fra il papa e i Normanni, e al ripristino della giurisdizione del patriarcato di Roma sul suo territorio in tutta l'Italia.

Nonostante la sconfitta inflitta ai Bizantini dai Normanni e la riappro­priazione di Roma di ciò che era suo, la cultura ecclesiastica bizantino-or-todossa rimase ancora per secoli un fattore vitale nel mezzogiorno italiano. Questa vitalità fu resa possibile dal monachesimo bizantino, un monache­simo i cui resti fioriscono ancora oggi alle porte di Roma nella storica Ba­dia Greca di Grottaferrata.

La geografia monastico-bizantina dell'Italia meridionale rispecchiava grosso modo quella politico-ecclesiastica. Dalla conquista giustinianea in poi, si diffondeva man mano nel Mezzogiorno d'Italia il monachesimo gre­co-ortodosso. Fin dal tempo di Massimo Confessore, che si appellò ai mo­naci greci della Sicilia contro l'eresia monotelita, abbiamo per la Sicilia no­tizie sicure sulla presenza in Sicilia di monasteri ortodossi. In seguito si fan­no sempre più frequenti le notizie sulla presenza di comunità monastiche greche in Sicilia e in Calabria. Sappiamo dai testi letterari che fu un mona­chesimo colto e letterato: i monaci provenivano da famiglie agiate di origi­ne greca e di un livello socio-culturale che consentiva di assicurare una cul­tura religiosa libraria di alto livello3.

Così arriviamo al dunque. Perché è proprio da questo periodo, innan­zitutto a partire dall'VIII secolo, che risultano conservati manoscritti greci - sicuramente prodotti negli scrittoi monastici del Mezzogiorno d'Italia -atti ad ufficiature liturgiche di tipo monastico. Il più antico di questi scritti è un codice la cui prima edizione critica completa si festeggia oggi. La sua attribuzione ad un centro scrittorio italo-greco può considerarsi sicura. L'eucologio Vaticano Barberini greco 336 è un bel codice vergato in scrit­tura maiuscola, che nel mondo italo-greco fu di regola adoperata fino allo scorcio del IX secolo come unica scrittura, abbandonata invece a favore della minuscola nel resto del mondo greco-orientale, sin dall'inizio dello stesso secolo. Gli studiosi del codice Barberiniano, sia per i dati tecnico-li­brari del documento, sia per gli elementi contenutistici di particolarità li­turgica, puntano verso l'asse calabro-siculo come luogo di provenienza. In­fatti, come André Jacob ha potuto mettere in rilievo, il formulario della Li­turgia di S. Giovanni Crisostomo, contenuto nel codice, rivela infiltrazioni di formule liturgiche «orientali» - cioè provenienti da tradizioni liturgiche greco-ortodosso-melkite ma non-bizantine - introdotte evidentemente da monaci palestinesi o egiziani rifugiatisi nei monasteri greci dell'Italia meri­dionale in seguito alle varie ondate di invasioni, di persecuzioni e di eresie che turbavano l'esechia monastica ortodossa medio-orientale dell'epoca.

Questi ibridismi ci conducono in medias res del contenuto del codice, detto Euchologion ossia «prayerbook», «libro di preghiere». Per un libro di uso liturgico, non è tanto il criterio di distinzione grafica, né di struttura tecnico-materiale, né di connotazione decorativa o di ordine bibliotecario, quanto il carattere storico-testuale, che comporta l'inquadramento del te­sto nella storia dello sviluppo della tradizione rituale, che mi sembra essere il metodo più atto a collocare il documento nel milieu per cui fu creato. Così i nostri due editori hanno potuto precisare la data del documento tramite la menzione del patriarca costantinopolitano San Germano I, decedu­to nel 733 - ecco il terminus ante quem non - mentre una preghiera in lin­gua latina sul foglio 279 verso, datata da Wilmart attorno all'anno 800, for­nisce un terminus post quem non. È dunque possibile collocare la redazione dell'eucologio nella seconda metà dell'VIII secolo, durante la prima fase d'iconoclasmo (726-780).

Benché Wilmart e quasi tutti i suoi predecessori erano convinti che il manoscritto non poteva essere stato scritto che a Costantinopoli, gli studi di André Jacob hanno dimostrato al di fuori di ogni possibile dubbio che il formulario liturgico crisostomiano del codice rispecchia una tradizione ti­pica e peculiare dell'Italia meridionale bizantina fino a buona parte dell'Xl secolo.

Anche se fosse stato libro di culto prima di diventare libro di biblioteca o di studio, il manoscritto barberiniano non presenta segni di utilizzazione intensiva. Così dovrebbe essere stato sottratto assai presto all'uso liturgico. Comunque, già nel Trecento il manoscritto si trovava a Firenze, nella rac­colta di Niccolò Niccoli, per passare al Convento di San Marco, poi alla Bi­blioteca Barberini di Roma, eventualmente confluita nella Biblioteca Apo­stolica Vaticana.

Tutto questo è noto. Di maggiore interesse per lo storico della liturgia bizantina è la storia dell'utilizzazione del codice nel campo degli studi litur­gici4, un saggio già tracciato dal benedettino americano Dom Anselm Strit-tmatter ndl'Ephemerìdes liturgicae del 1933. Strittmatter stesso fu uno dei primi a studiare la tradizione eucologica bizantina secondo criteri scienti­fici moderni. Monaco modesto i cui studi, scritti in uno stile scientifico di tipo tedesco (qualche riga di testo con il resto buttato in note interminabili a pie di pagina) e in un inglese scolastico non proprio accessibile, erano po­co apprezzati dalla Chiesa cattolica americana poco intellettuale di allora. Così lo Strittmatter è rimasto un uomo quasi completamente sconosciuto negli ambienti di studi liturgici americani.

Ma dallo studio dello Strittmatter e dalle nostre proprie ricerche sap­piamo che numerosi testi del manoscritto hanno visto la luce nelle opere del domenicano francese Jacques Goar nel 1647, poi nell'Ottocento, nei li­bri della scuola inglese (Swainson, Conybeare, Brightman) e della scuola russa (Orlov, Palmov), fino a quando ai nostri giorni Jacob, Arranz, ed altri hanno pubblicato intere serie di preghiere degli uffici del codice barberi­niano.

Ma sorprendentemente, vista l'importanza primordiale del testo per la storia della liturgia bizantina, la pubblicazione presentata oggi rappresenta la prima edizione completa del preziosissimo documento. Questo sembra spiegabile solo perché tutti aspettavano che un altro lo facesse. Già nel 1933 Strittmatter annunciò che la Biblioteca Vaticana era in procinto di realizzare una edizione facsimile. L'aspettiamo ancora. Vent'anni dopo, nel 1953, The Yearbook of the American Philosophical Society annunciò un sussidio di cinquecento dollari allo stesso Strittmatter per curare l'edizione critica del Barberini. Non riuscì a concludere l'impresa, che passò in altre mani. In una pubblicazione nel 1966 ed ancora - per quanto ne sappia -per l'ultima volta - nel 1974, l'edizione si dava in stato di preparazione per essere pubblicata nella collana «Studi e testi» della Biblioteca Vaticana.

Da quel tempo ci troviamo in uno stato di stallo. Il manoscritto è con­sultabile solo per chi vive o viene a Roma. I pezzi editi, alcuni male, sono sparpagliati qua e là fuori il loro contesto nell'eucologico. La descrizione dello Strittmatter, un vero lavoro pionieristico per il suo tempo, non è più in grado di soddisfare l'attuale quadro delle scienze liturgiche creato dal forte incremento che lo studio storico della liturgia bizantina ha conosciuto negli ultimi tre decenni, a partire dagli studi di Juan Mateos e la sua edi­zione del Typicon della Grande Chiesa nella collana «Orientalia Christiana Analecta»5.

Così l'attuale Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, il R. P. Léonard E. Boyle, O. P. ha considerato bene di concedere per iscritto ai nostri due autori la licenza per questa edizione, senza che loro volessero per questo ostacolare in alcun modo qualsiasi altro studio o edizione dello stesso codice.

Quale libro liturgico Yeuchologion bizantino ha una storia propria, la cui prima testimonianza comincia con il nostro manoscritto barberiniano. Come i primi Sacramentari latini erano costitituiti da vari «libelli» origina­riamente separati, la storia dell'eucologio bizantino è la storia dei tentativi di sintetizzare preghiere, formulari, rubriche, e diakonika una volta sparpa­gliati in rotoli o codici distinti destinati all'uso di differenti ministri sacri. Nel Barberini vediamo i primi tentativi, non ancora perfezionati, di questa integrazione di elementi liturgico-testuali.

Ma tutto questo verrà spiegato nel secondo volume di quest'opera, che speriamo apparirà ben presto. Perché la pubblicazione di un'edizione cri­tica richiede non solo il testo, ma anche gli strumenti per analizzarlo e per inquadrarlo nel suo contesto storico-liturgico. Essendo un lavoro essenzial­mente comparativo, della «Liturgie comparée» del Baumstark, questo stu­dio richiede non solo gli indici - fra l'altro molto ricchi e completi - dell'attuale edizione, ma l'inserzione del documento nella storia dei suoi cugini, altri manoscritti non solo della tradizione italico-meridionale antica, ma delle altre famiglie già identificate dagli studiosi. In Italia stessa sono pre­senti le tradizioni Siculo-calabrese ed Otrantense. I manoscritti liturgici d'Otranto, di un'epoca leggermente posteriore, dimostrano delle particola­rità liturgiche facilmente distinte dalle tradizioni siculo-calabre. Altrove ci sono manoscritti di tipo costantinopolitano in due redazioni; ancora abbia­mo manoscritti greci della periferia bizantina - Palestina, Sinai - ci sono le versioni orientali; più tardi i manoscritti dell'«Haghion Oros», Monte Athos.

Nel frattempo, mi congratulo con gli autori, come con le autorità della Biblioteca Vaticana e della casa editrice «Edizioni liturgiche», per il felice compimento di quest'opera.

Secondo intervento Il codice liturgico e la filologia bizantina

di Silvia Ronchey

Dell'Eucologio Barberiniano ha già parlato un esperto assoluto della li­turgia bizantina come il Padre Taft ed io comunque non potrei fare altro che limitarmi a dire poche parole, che non vogliono né possono aggiungere nulla sul piano scientifico a quanto lui ha detto.

Ringrazio i reverendi padri dell'Antonianum, in particolare il padre Cacciotti, di avermi invitato a questa presentazione, non in qualità di litur­gista, ma in qualità di bizantinista: in particolare di filologa, e cioè di esper­ta della tradizione manoscritta della letteratura di Bisanzio, dell'ecdotica dei testi bizantini e dei loro apparati critici.

Nei dieci minuti che ho a disposizione vorrei cercare di chiarire in che senso per i filologi bizantini la conoscenza dei testi liturgici è strumento in­dispensabile alla totale comprensione e dunque a un'edizione veramente critica della letteratura bizantina - che ancora per molta parte è incompre­sa e inedita, e dunque ha bisogno di tali strumenti.

È un discorso, a me pare, pertinente e anzi necessario nell'occasione in cui si presenta la prima edizione critica dell'Eucologio Barberiniano, che è in ogni senso il principe dei testi di liturgia bizantina. Abbiamo discusso in proposito diverse volte con i due editori, Elena Velkovska e Stefano Pa­renti. Ci siamo sempre trovati d'accordo sul fatto che la necessità di tenere il formulario liturgico presente e anche fisicamente a portata di mano quanto e forse più del dettato biblico è imprescindibile per ogni bizantini­sta, ed è quindi una delle ragioni che rendono necessaria e preziosa per l'intera comunità scientifica la loro nuova edizione dell'Eucologio.

Se si confronta l'edizione critica di un testo classico, di Platone o di Sofocle, con un'edizione critica di un testo bizantino, la prima caratteristica

che salta agli occhi è la maggiore complessità dell'apparato critico di que­sto secondo, e in particolare l'inevitabile presenza di una sezione dedicata ai testimonia e ai loci biblici. Vorrei fare due brevi esempi, in qualche modo antitetici e estremi: menzionare due edizioni che costituiscono, si può dire, l'estremo alto e l'estremo basso dell'ecdotica bizantina.

Cominciamo da quello che penso possa considerarsi l'estremo basso. Nell'edizione di uno dei testi agiografici più celebri, e cioè il romanzo di Barlaam e Ioasaf, curata da Woodward e Mattingly nella Loeb Classical Li­brary - che conosco bene perché ho basato sul suo testo, con qualche emendazione, la traduzione italiana del Barlaam e Ioasaf pubblicata sedici anni fa insieme a Paolo Cesaretti6 - sono continuamente annotati a mar­gine i riferimenti a passi evangelici o veterotestamentari. Si tratta di ciò che si diceva prima: un apparato biblico, sia pure rudimentale; c'è perfino, in fondo al libro, un «Bible Index», un repertorio «biblico».

Biblico o liturgico? Ritornando alì'Eucologio, di cui oggi stiamo par­lando, chi legge quest'edizione del Barlaam e Ioasaf può notare che le ci­tazioni di questo tipo enucleate da Woodward e Mattingly, ed anche talune non enucleate, si rifanno non alle formule della liturgia di Crisostomo, ma a quelle della liturgia di Basilio, la più anticamente usata, la prima infatti riprodotta neWEucologio Barberini. Sarebbe complicato qui discutere le im­plicazioni di questa constatazione, che sono varie e molto importanti per la comprensione del significato e dell'ambiente di provenienza di quel piccolo mistero letterario che è il Barlaam e Ioasaf, e anche per determinare la sua datazione, ancora oggi in sospeso: a mio avviso - è un'ipotesi ancora da di­mostrare definitivamente, che condivido tuttavia con Herbert Hunger - il testo può datarsi al secondo iconoclasmo e la versione cristianizzata della vita del Buddha, che vi è contenuta, può leggersi come una sorta di pam­phlet sugli avvenimenti della corte bizantina che si svolgono attorno al gio­vane basileus Teofilo. Questa è, anche, se non erro, l'età di cerniera nell'u­so delle due liturgie. Ma ciò che più conta è che una simile constatazione non potrebbe essere fatta senza tenere a mente e a portata di mano i for­mulari delYEucologio.

Il secondo esempio che vorrei addurre è quello di Eustazio di Tessa-lonica, un autore del XII secolo, che conosco essendomi per vent'anni mi­surata con l'edizione critica del suo commento al canone giambico pente­costale di Giovanni Damasceno - dello Pseudo-Damasceno dovremmo dire - 7, uno degli inni della raccolta di Cosma e Giovanni, che ha peraltro una notevole, credo, importanza liturgica.

Eustazio, professore presso la cosiddetta Scuola Patriarcale di Costan­tinopoli, poi arcivescovo di Tessalonica ma anche laggiù docente di giovani ecclesiastici, era un grande filologo classico. Compose opere esegetiche inestimabili. Di alcune ci restano pochi frammenti - il commento a Pindaro e quello ad Aristofane -, di altre solo tracce indirette (le ricerche che ho svolto mi hanno portato a ritenere che compose quasi certamente un com­mento a Teocrito). Soprattutto, sono stati tramandati per intero fino a noi i suoi commentari omerici, che costituiscono un caposaldo della critica omerica, un testo fondamentale per gli omeristi, e non solo.

Se dunque si esamina quello che credo possa ritenersi il più complesso e ammirevole esempio di edizione critica di un testo bizantino, l'edizione ad opera del compianto Padre Marchinus van der Valk delle Parekbolaì al­l'Iliade di Eustazio, si noterà che a fianco dell'apparato critico propriamen­te detto, quello delle varianti, compare un apparato dei testimonia e dei loci paralleli, e all'interno di questo è individuato un apparato dei luoghi «bibli­ci». Pongo di nuovo «biblici» tra virgolette perché di nuovo l'interrogativo ricorre: è giusto chiamarli luoghi biblici, o non dovrebbero dirsi più pro­priamente liturgici?

La distinzione potrebbe sembrare oziosa, dal momento che ovviamen­te la liturgia riproduce il testo biblico, anzi, trae il suo senso da esso. Ma è invece molto significativa per un filologo. Ad esempio, Eustazio cita sem­pre Daniele secondo Teodozione: lo stesso avviene nella liturgia di Criso­stomo - potete verificarlo nell'indice scritturistico di Elena Velkovska e Stefano Parenti.

Gli esempi sarebbero infiniti. Anche quando il dettato dei Septuaginta e quello della liturgia crisostomica coincidono, è l'ordine stesso delle cita­zioni, la preferenza accordata a certi salmi piuttosto che ad altri, a certi brani neotestamentari o profetici piuttosto che ad altri, a dirci con certezza che l'autore non sta citando la Bibbia, ma la liturgia.

Lo stesso vale per gli inni. Inoltre, il rimando all'uno o all'altro luogo biblico o brano innografico può servire a collocare il testo nel calendario e persino a datarlo: che Eustazio avesse in mente e citasse nelle sue lezioni un certo brano o un certo cantico piuttosto che un altro può fornirci un'in­dicazione del periodo dell'anno in cui stava tenendo quelle lezioni. Nel commento al canone pentecostale l'arcivescovo di Tessalonica cita ad esempio, a un certo punto, testi innografici legati alla settimana santa, e questo, unito ad altri dati testuali, ci dà la prova definitiva del fatto che la composizione delVExegesis in canonem iambicum avvenne nella primavera del 1186, perché il testo fosse «pubblicato», ossia probabilmente letto in pubblico dall'arcivescovo dinanzi ai fedeli di Tessalonica, proprio in occa­sione della Pentecoste, che in quell'anno ebbe luogo il 1° di giugno8.

La distinzione tra citazione biblica e citazione liturgica non è dunque affatto banale sul piano pratico. Un'enorme quantità di errori o di omissio­ni potrebbero evitarsi, se si tenessero presenti in sede critica quelle lievi difformità nel greco che ci consentono di distinguere il dettato liturgico. Molte citazioni scritturali verrebbero riconosciute come tali anche se non si trovano nelle concordanze bibliche. Se i filologi bizantini che si misurano con questi testi tenessero sempre sul tavolo, a portata di mano, l'edizione deWEucologio Barberiniano, verrebbero a capo di molte più citazioni nei te­sti che editano e soprattutto comprenderebbero una qualità fondamentale e distintiva del testo bizantino in sé: che esso è costituito, quasi sempre, da una fitta trama di allusioni, rimandi, riferimenti. A volte questi riferimenti sono classici - omerici, pindarici, comici, tragici, filosofici -, altre volte so­no cristiani - biblici o patristici -, ma hanno però sempre come filo condut­tore proprio la liturgia9.

Questo è un dato che potremmo definire antropologico e che nessun bizantinista dovrebbe ignorare. La liturgia era, per cosi dire, l'orologio e il calendario interiore dell'uomo bizantino, specie se membro del clero - co­me Eustazio -, ma non solo: un dettato interiore di citazioni scritturali, re­citate, o anche cantate, o mentalmente solfeggiate, «a mo' di filastrocche», come si diceva con Elena Velkovska stamattina. La liturgia costituiva la guida mnemonica di ogni bizantino alle Sacre Scritture ed anche la sua quotidianità.

Ho parlato anche troppo. Cedo adesso la parola a chi sicuramente ha cose più importanti da dire: Monsignor Fortino. Grazie.

Terzo intervento Rilevanza ecumenica del Barberini gr.336

di Eleuterio F. Fortino

La pubblicazione àeWEucologio Barberini Gr. 336 offre un servizio prezioso agli studi della storia della liturgia bizantina. E non solo agli studi di liturgia, ma anche ad altre discipline. Il fatto poi che il codice provenga dall'Italia Meridionale dove è stato copiato apre anche altre dimensioni storico-sociologico-religiose, come le motivazioni della trasmigrazione, il contatto tra i popoli, la vitalità di una provincia culturale bizantina in Italia, la conservazione durante i secoli di una documentazione preziosa, ecc. Il testo è ora messo alla disposizione per la lettura e lo studio di chiunque vo­glia farlo senza le difficoltà che implica il recarsi in archivio oppure sempli­cemente quella dipendente dalla capacità di leggere un codice.

Per quanto riguarda il tema affidatomi questa sera, possiamo porre così l'interrogativo: Questo documento per quanto importante per la storia della liturgia bizantina ha qualche aspetto che possa interessare, in qualche modo, la ricerca della piena unità, almeno quella tra cattolici e ortodossi?

  1. curatori dell'edizione ci avvisano sin dalle prime righe dell'introdu­zione che si tratta del «più antico e senza dubbio del più celebre manoscrit­to dell'eucologio bizantino». È questo il primo elemento da tenere presen­te: il tempo (seconda metà del secolo Vili) ed il luogo (Italia Meridionale) in cui il manoscritto è stato copiato.
  2. secondo aspetto da considerare, se vogliamo trarre qualche implica­zione ecumenica, è il contenuto stesso dell'eucologio. Questo contiene i formulari eucaristici, i riti sacramentali, le preghiere presidenziali delle ore, preghiere per varie circostanze. Seguendo l'antico adagio della «Lex orandi lex credendi» siamo portati a rilevare che in questo documento si trova espressa la fede di quella Chiesa che lo usa per la sua preghiera nella sua liturgia. Questi formulari, in particolare quelli della celebrazione eucaristi­ca e quelli dei sacramenti, sono in realtà elementi qualificanti la preghiera e la liturgia di una Chiesa. In essi si trova quindi espressa la fede di quella Chiesa.

La fede comune tra oriente e occidente

L'eucologio è stato trascritto nell'Italia Meridionale nella seconda metà del sec.VIII. Quindi dopo i primi 7 concili ecumenici, o almeno dopo i primi 6.1 Concili avevano già definito i dogmi fondamentali della fede cri­stiana: i dogmi sulla cristologia (il Verbo come Homoousios to Patri, della stessa sostanza del Padre; Gesù Cristo come una persona in due nature e con due volontà); i dogmi sulla pneumatologia (lo Spirito Santo adorato e glorificato con il Padre ed il Figlio), sulla Trinità (una divinità in tre perso­ne), sulla mariologia (Maria come Theotòkos e non soltanto Christotòkos).

Questa fede si trova in realtà espressa nei riti contenuti e nelle pre­ghiere dell'eucologio. Essa era e rimane comune a quelli che oggi si dicono ortodossi e cattolici. L'eucologio contiene cosi la fede cristiana comune.

In più, se si analizzano i riti delle ordinazioni si ritrova la struttura tri­partita del ministero ordinato: Episcopato, presbiterato, diaconato. Anche, questo elemento permanente della struttura della Chiesa è comune a cat­tolici ed ortodossi. La comune concezione dell'ordine è stata infatti affer­mata dalla Commissione mista internazionale del dialogo cattolico-orto­dosso nel documento detto di Vaiamo (Finlandia, giugno 1988) che ha trattato, come si dichiara nel testo «del ministero ordinato nella struttura sacramentale della Chiesa... (e cioè)..del sacramento dell'ordine e dell'ordinazio­ne a ciascuno dei tre livelli dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato»(n. 1).

L'eucologio precede quindi la divisione e contiene quella fede che esi­steva prima della divisione tra oriente e occidente e che, nella specificità della tradizione liturgica bizantina e della tradizione occidentale, permane comune anche oggi.

Mi sembra questo - la fede comune - il dato fondamentale della di­mensione ecumenica di questo venerando testo della tradizione bizantina. In più, l'eucologio oltre a contenere la fede comune, la conserva in forme ed espressioni proprie, diverse da quelle che la Chiesa ha assunto in Occi­dente. Si può rilevare qui uno dei principi fondamentali dell'ecumenismo moderno: l'unità va ricercata nella legittima diversità.

L'indagine storica nel primo millennio, come luogo teologico di possi­bile ricerca di un modello di unità da ristabilire tra oriente e occidente, vie­ne esplicitamente proposta nell'enciclica sull'impegno ecumenico della Chiesa cattolica «.Ut Unum Sint» (nn. 55, 57, 95). Riferendosi all'unità, e al­le sue strutture, vissuta nel primo millennio, l'Enciclica afferma: «Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comu­nione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci» (UUS, n. 55). L'Eucologio Barberini 336 non esprime la sola tradizione costantino­politana. In recensioni diverse, ma analoghe, la gran parte dei testi conte­nuti in questo eucologio sono anche ed ancora in uso nelle varie Chiese or­todosse. Tra le Chiese ortodosse vi è piena comunione di fede, quindi la fe­de contenuta nell'eucologio è comune a tutte le Chiese ortodosse. Inoltre, i cattolici di tradizione bizantina usano libri liturgici comuni agli ortodossi, a parte quelle poche e secondarie modifiche introdotte in quei libri che han­no avuto una edizione romana. Questo fatto costituisce una conferma ag­giuntiva che nell'eucologio si trova espressa la fede «cattolica» o «ortodos­sa» che dir si voglia. Questa connessione nel culto e la comunione nella fe­de espressa nel culto ha di conseguenza una rilevanza ecumenica maggiore.

La preghiera per l'unità delle Chiese

NelPEucologio vi è presente specificatamente la preghiera per la ri­composizione dell'unità della comunità cristiana.

Nella grande preghiera di intercessione dell'anafora della Liturgia di S.Basilio dopo aver pregato per la Chiesa e l'episcopato ortodosso che «predica rettamente la parola di Verità», si domanda:

«Poni fine agli scismi delle Chiese; spegni l'arroganza delle nazioni, ac­quieta presto l'insorgenza delle eresie mediante la potenza del tuo Santo Spi­rito. Ricevici tutti nel tuo Regno e fa di noi dei figli della luce e del giorno. Do­naci la tua pace e il tuo amore, Signore Dio nostro, tu che ci hai dato tutto.

E concedici di glorificare e di lodare con una sola voce ed un sol cuore l'onorabilissimo e magnifico tuo nome» (Cfr. n. 16, p. 18).

Tutti sanno quanto S. Basilio si sia adoperato per la soluzione delle di­visioni tra i cristiani esistenti al suo tempo. E non c'è quindi meraviglia per questa domanda esplicita nel cuore della Liturgia. Magari a noi impegnati nel movimento ecumenico, il fatto fa constatare che in una forma o nell'al­tra il sentimento di mantenere l'unità o quello di ricomporla in caso di di­visioni è sempre stato presente nella Chiesa.

Valore del battesimo

L'eucologio contiene anche il rito dell'abiura degli eretici e dell'am­missione alla comunione ecclesiale. Vi si trova una varietà di modi (almeno tre modi) di ammissione, in dipendenza dalla considerazione che la Chiesa ha della qualità cristiana di coloro che ne chiedono l'adesione.

a) Vi è un gruppo (quello dei Eunomiani, dei montanisti, dei manichei e dei sabelliani), che viene accolto come se fossero greci, (os hellinas dechò-metha),cioè come pagani (cfr. n.147/5, p.155), vale a dire con l'ammissione
al catecumenato e all'iniziazione cristiana.

b)   Vi è un altro gruppo (Ariani, Macedoniani o Pneumatomachi, Quattuordecimani, gli Apollinaristi... ) che viene accolto secondo quest'al­ tra procedura: coloro che chiedono l'ammissione abiurano con documento
scritto agli errori; vengono quindi portati di fronte alla kolymvitra (fonte battesimale); hanno luogo delle preghiere e quindi il sacerdote fa la crismazione, cioè li unge con il myron, con l'olio. Circa questa crismazione l'eu­
cologio ha la seguente annotazione: «E lo unge con il myron come i neobat­tezzati dicendo su di lui la stessa formula». La formula che noi diciamo for­ma della cresima.

Questa procedura per questi due gruppi era stata stabilita dal can. 7 del 11° Concilio Ecumenico, Costantinopolitano 1° (381).

e) Il terzo gruppo riguarda i nestorìani e gli eutichiani (seguaci di Eu-tiche, scomunicato per monofisismo dal patriarca di Costantinopoli Flavia-no) l'Eucologio ha questa rubrica:

«I nestorìani e gli eutichiani bisogna che facciano abiura e che anatema­tizzino l'eresia, e Nestorìo, e Eutiche, e Dioscuro, e Severo, e coloro che pen­sano come loro, e tutte le summenzionate eresie, e che partecipino alla santa comunione/eucaristia ».

Mentre per il primo gruppo occorre amministrare il battesimo, per il secondo si procede a una unzione di fronte al fonte battesimale, per il ter­zo gruppo (nestorìani e monofisiti), al fine di aderire all'ortodossia si chie­de la sola abiura dell'eresia. È certamente implicita l'accettazione della fe­de della Chiesa. Ma il fatto che per i nestorìani e gli eutichiani per stabilire la comunione si richieda esplicitamente la sola partecipazione all'Eucari­stia, significa che viene riconosciuta la validità del battesimo.

La norma dell'Eucologio che regola l'accettazione nella Chiesa dei ne-storiani e degli eutichiani, ha delle analogie con l'attuale norma della Chie­sa cattolica neh" accogliere nella piena comunione eventuali altri cristiani che lo domandino. È sufficiente la professione di fede per mezzo del sim­bolo niceno-costantinopolitano, con l'aggiunta di credere ed osservare tut­to ciò che insegna la Chiesa cattolica. Con la debita preparazione si viene ammessi all'Eucaristia. Nella norma attuale della Chiesa cattolica si do­manda l'adesione alla fede della Chiesa cattolica. Nella norma dell'Eucolo­gio si esige l'abiura delle eresie e degli errori. Naturalmente nella norma dell'eucologio è presupposta la volontà di aderire alla fede della Chiesa. Così come nell'attuale norma della Chiesa cattolica è implicito l'abbando­no di quanto la Chiesa cattolica non accetta della fede o della prassi della Chiesa da cui il nuovo membro proviene.

La norma dell'eucologio era comunque una norma rispettosa della realtà cristiana tanto dei nestoriani quanto degli eutichiani.

Soltanto in seguito si sono assunte posizioni rigide che hanno esigito perfino il ribattesimo tra i cristiani. La polemica ha annebbiato gli occhi dello spirito.

La chirotonia delle diaconesse

Nel nostro tempo si discute molto sul ruolo della donna nella società. Una discussione analoga avviene sul ruolo delle donne nella Chiesa. Si è posto anche il problema dell'ordinazione della donna al sacerdozio. Nelle Comunità anglicane e protestanti - con cui però cattolici ed ortodossi ab­biamo ugualmente aperto il problema del ministero ordinato - ha luogo l'ammissione delle donne al ministero ordinato. La discussione si è estesa anche tra cattolici. Il Papa è più volte intervenuto per confermare la inin­terrotta prassi della Chiesa cattolica di ordinare al sacerdozio soli uomini e di non avere l'autorità di cambiare questa prassi. Sì conosce anche la rispo­sta affermativa della Congregazione per la Dottrina della Fede al dubbio: «Se la dottrina secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l'or­dinazione sacerdotale alle donne, proposta nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis, come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi apparte­nente al deposito della fede». Dunque per la Chiesa cattolica fa parte del de­posito della fede la convinzione che la Chiesa non ha la facoltà di ordinare donne al sacerdozio.

Il tema è stato toccato anche dalla Commissione mista internazionale tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel loro insieme. Nel Docu­mento di Vaiamo (Finlandia, 1988) sull'ordinazione e la successione apo­stolica si afferma: «I loro (cioè, delle donne) carismi sono importantissimi nell'edificazione del corpo di Cristo. Le nostre due Chiese restano tuttavia fedeli alla tradizione storica e teologica secondo la quale esse ordinano so­lamente gli uomini al ministero sacerdotale» (n.32).

Nell'Eucologio Barberini troviamo un elemento interessante. Non per l'ordinazione delle donne al Sacerdozio, ma per quella al diaconato. La chirotonia delle donne al diaconato avviene con le identiche caratteristiche liturgiche di quella del diacono-uomo.

  1. La chirotonia avviene nello stesso momento e nello stesso luogo, nel bema davanti all'altare, dove avviene l'ordinazione del diacono; viene fatta dal vescovo durante la liturgia; e viene fatta per l'imposizione delle mani.
  2. Sulla diaconessa viene recitata la preghiera allo Spirito Santo «E theia charis» (la divina grazia): la stessa che viene recitata per l'ordinazione del diacono, del presbitero e del vescovo;

e) In seguito viene fatta questa preghiera propria:

«Dio, Santo e onnipotente, tu che per mezzo della nascita nella carne dal­la Vergine del tuo Figlio unigenito e Dio nostro, hai santificato il femminile (to thely), e non solo agli uomini ma anche alle donne hai donato la grazia e l'in­fusione del tuo Santo Spirito, Tu, anche ora, Signore, effondi il tuo spirito su questa tua serva e chiamala all'opera del tuo servizio (diakonia) e concedile l'abbondante dono del tuo Spirito, conservala nella fede ortodossa, in una condotta irreprensibile, così come a te piace, compiendo sempre il suo servizio (leitourgia)»

d) Terminata un'altra preghiera, recitata a bassa voce, mentre il diaco­no fa la litania d'uso, in cui tra l'altro chiede alla comunità che preghi per la neo-ordinata diaconessa, il vescovo pone sulle spalle dell'ordianata Yora-rìon, la stola diaconale.

Al tempo di Giustiniano (527-565) una disposizione civile limitava a 40 il numero delle diaconesse per il servizio della sola Chiesa di S. Sofia a Co­stantinopoli.

Il canonista T.Balsamon attesta che al suo tempo (1140-1195) non si facevano più ordinazioni di diaconesse. Era rimasto come puro titolo ono­rifico per abbadesse. Senza alcuna abolizione questo ministero scomparve lentamente nella Chiesa bizantina. Sopravvisse in altre Chiese. Dieci anni fa il patriarca armeno di Costantinopoli, informava una delegazione catto­lica recatasi ad Istanbul, che nella sua Chiesa esisteva ancora una diacones­sa che svolgeva regolarmente il suo ministero.

L'eucologio Barberini 336 contiene integralmente questo rito di ordi­nazione diaconale per le donne.

Osservazione conclusiva

Queste poche annotazioni su alcuni aspetti ecumenici dell'eucologio Barberini 336 possono sollecitare una riflessione sulla dimensione ecumenica della tradizione liturgica antica e come nella varietà delle espressioni sia possibile lodare il comune Signore ed annunciare al mondo la sua Parola.

Per le diverse formulazioni teologiche il decreto sull'ecumenismo ave­va già lucidamente attirato l'attenzione sul fatto di non identificare la fede con le sue espressioni teologiche o liturgiche.

La stessa fede può avere espressioni diverse. Parlando dei metodi e dei cammini diversi usati, nel primo millennio, in oriente e in occidente nell'in-dagare la Verità rivelata, il Concilio Vaticano II dichiara: «Non fa meravi­glia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire allora, che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi» (U. R. 17).

Questa asserzione non solo afferma la possibilità delle varie espressioni ma ne aggiunge quella della complementarità, e di converso quella della in­sufficienza delle singole tradizioni ad esprimere integralmente il Mysterion.

Ancora una volta mi congratulo di cuore con i due giovani professori presso il Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo, il Dr. Stefano Parenti e la Dott.ssa Elena Velkovska, che hanno curato l'edizione del manoscrit­to. Ugualmente mi felicito con il Pontificio Istituto Orientale nel cui ambi­to di ricerca scientifica e di insegnamento è sorta l'iniziativa dello studio del manoscritto che poi ha dato origine all'edizione. Torna anche a lode della Scuola Superiore di Studi Medioevali e Francescani del Pont. Ateneo Antonianum aver organizzato la presentazione di questa sera. La divulga­zione delle acquisizioni scientifiche aiuta il progresso della conoscenza e sollecita nuove ed ulteriori indagini.


 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 



 
 
 
 
 
 
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