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Recensione: Esther Fintz Menasce (a cura), L'Ebreo Errante. Metamorfosi di un mito

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Esther Fintz Menasce (a cura), L'Ebreo Errante. Metamorfosi di un mito , in Antonianum, 70/2 (1995) p. 305-306 .

Vogliamo segnalare questo libro dalla tematica affascinante, perché si presta all'attenzione convergente di letterati, filosofi ed ebraisti. Il mito dell'Ebreo errante. Il soggetto monografico di quest'opera, ben curata e arricchita del contributo di più studiosi, aleggia negl'interessi di coloro che scrivono, come qualcosa di vivente, che non appartiene solo al passato di una « favola » nata in un monastero medievale d'Inghilterra, bensì come un archetipo che ha attraversato le plaghe dell'Europa, per spostarsi su altri continenti e divenire a tutt'oggi l'emblema del vivere umano. Particolarmente interessante è l'ebraicità del personaggio (non sempre e innanzi tutto tale), che, come la rivelazione biblica, si pone a idea archetipica e privilegiata del mistero dell'esistenza.

Come si diceva, la « favola » appare compiuta per la prima volta nel monaste­ro inglese di Sant'Albano nel basso medioevo, ad opera di due monaci: Ruggero di Wendover e Matteo di Parigi. Forme precedenti di questo motivo mitico, che narra del destino al quale è condannato l'ebreo che non ha riconosciuto il Cristo durante la sua passione e che dovrà aspettarlo, senza mai morire, fino al suo ritorno, dove­vano già circolare, ma è a partire dal momento suddetto che si sviluppa ufficialmen­te il mito. Esso si diffonde in tutta l'Europa neolatina, Francia, Italia, Germania e nella penisola iberica, per trovare poi un momento di arresto verso il 1400, rischian­do l'estinzione. Il mito resuscita nel seicento in Germania (Kurtze Beschreibung), con una componente semantica che prima non aveva, quella dell'antigiudaismo. Di­fatti, se nelle prime forme la favola non implicava necessariamente la giudaicità del protagonista e la storia veniva solo riferita come testimonium fidei, ora l'incredulità e la conseguente punizione prende il volto di un ebreo.

Ma il mito, nel quale il personaggio muta periodicamente nome, Cartafilo, Buttadeo, Ahasvero, non è né rimane così lineare; in realtà, si ramifica in molteplici emrgenze ed espressioni, condividendo l'evoluzione culturale e spirituale dell'Euro­pa. L'Ebreo errante diverrà nel settecento uomo dell'illuminismo, mentre nel suc­cessivo periodo romantico, si trasformerà nell'uomo vittima del destino, fino ad ar­rivare ad oggi, dove egli è Yevery man, l'uomo qualunque nella sua dimensione uni­versale.

Tutto questo è espresso molto bene dalla curatrice. L'abbrivo da lei dato, vie­ne svolto dai colleghi che seguono, in modo articolato e settoriale. Comincia Vir­ginia Bessola, giovane valente studiosa, prematuramente scomparsa, alla quale è dedicata l'opera. Il quadro d'indagine è innanzi tutto 1' Europa neolatina, ove nasce e si sviluppa il tema, poi viene la Germania del seicento.

Alla giovane studiosa seguono trattazioni ancor più settoriali, che esaminano dapprima la diffusione geografica del mito, rispettivamente in Francia (G. Deon)e nelle Isole Britanniche (M.C. Sirchia). Indi, si affronta l'esame del motivo nella let­teratura (S. Daneluzzi, N. Menasce, F. Ferrari, P. Loreto, M.C. Fumagalli) e nel più vasto mondo della cultura (D. Tinelli, E. Pasquali, F. Spagnolo Acht, M.G. Am-brosioni).

Un indice dei nomi e delle opere, oltre ad una presentazione di Attilio Agno-letto, corredano questa felice iniziativa accademica.

 


 



 
 
 
 
 
 
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