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Recensione: M. Masson, Elia - L'appello del silenzio

 
 
 
Foto Cortese Enzo , Recensione: M. Masson, Elia - L'appello del silenzio , in Antonianum, 69/2-3 (1994) p. 389-390 .

Il libro ha quattro capitoli, i primi tre indicati col numero romano e il quarto, chissà perché, coll'aggettivo corrispondente.

All'inizio sembra un'opera di esegesi: di 1 Re 19,12 nel cap. 1 e di tutta la sto­ria di Elia nel cap. 2. Ma nel terzo si manifesta più apertamente l'intenzione e la mentalità dell'A. La collocazione dell'opera nella « Collana pastorale della Bib­bia » e il titolo stesso, sono infatti causa di equivoco.

Anche il cap. finale, che comincia con questioni esegetiche su autore e data­zione, questioni affrontate e risolte in maniera molto ingenua, alla fine manifesta chiaramente ciò che un lettore attento ha capito fin dagli inizi: che si vuol avvici­nare e raffrontare il Tao Te Ching alla storia di Elia.

Dunque il libro può considerarsi una delle opere della cosiddetta New Age, cioè di quel cocktail religioso nato in America, che tenta di dirigere le nuove istanze spirituali della gente verso il Taoismo e le altre religioni orientali.

Dal punto di vista esegetico scientifico, il discorso dunque si dovrebbe consi­derare chiuso. E basta un'occhiata alla bibliografia per rendersene conto. Non c'è alla fine un elenco bibliografico e quello analitico (115s.) è molto sommario: p. es. non ci sono i nomi importanti di Zakovitch (di p. 10) e della fantomatica edizione ebraica del Travitch (di p. 70) e c'è invece quello di Immendorfer, citato solo a p. 23. Le citazioni nelle poche note sono difficili da rintracciare e sono fatte in manie­ra discutibile: p. es. la misteriosa opera di De Vaux, citata a p. 82 (in corsivo) risulta essere semplicemente la traduzione dei Re nella Bible de Jerusalem (di p. 15, nota 12).

L'unica opera classica sulla storia di Elia, citata qualche volta, è quella di G. Fohrer, del 1957, e quella di O.H. Steck, del 1968. Entrambe le opere non sono af­fatto seguite dall'A. e la seconda è ridotta ad una citazione effimera, a p. 16, nota 15. Possiamo aggiungere la citazione di un articolo di Stamm, del 1966 (note 8 e 15 del cap. 1).

L'autore più citato è M. Eliade e, dopo di lui, G. van der Leeuw, dal che si può già dedurre che chi scrive è un cultore della fenomenologia della religione.

Il punto di arrivo è una religione privata, anticonformista: « Il libro (di Elia) si colloca sotto il segno di uno straordinario anticonformismo; lungi dall'essere un'e­popea che esalta la tradizione di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè, si pone infatti in una posizione di rottura, presentandosi come un'opera sostanzialmente antimosaica in cui lo JHWH dei patriarchi appare come una divinità di poco supe­riore a Baal. Eliminando l'alleanza, cancellando le nozioni di terra promessa e di popolo eletto, escludendo fin dall'inizio ogni messianismo, il testo rivela che la via interiore è aperta a tutti: attraverso un'intensa concentrazione che sfocia nell'an­nullamento dell'io, questa via conduce l'adepto a dissolversi in Dio. Non c'è spazio per il sentimento o per manifestazioni di amore e di gioia; c'è soltanto, al di là dei sensi, il « suono di un sottile silenzio ».

Qui la « rottura », per un lettore amante dell'AT è un'altra. Quanto al sottile silenzio è quello del punto di partenza. Ed è interpretato fin dall'inizio alla luce del­la religione buddista e in maniera discutibilissima (20ss.). Ma non vale la pena farci una lunga discussione, visto qual è il punto di arrivo.

Ciascuno è libero di scrivere e dire ciò che vuole. Stessa libertà va concessa agli editori. Ma perché gabellare per esegesi di A.T. ciò che non lo è?



 
 
 
 
 
 
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