L'autore di questa interessante tesi dottorale intende, con il presente studio, dare il suo contributo a quella tendenza scientifica oggi presente in Ispagna, che desidera recuperare quella ricca eredità proveniente dal giudaismo medievale spagnolo.
Tale tendenza è legittima e promette dei frutti, molti dei quali già da tempo sono maturati. Tra l'altro, poi, questa operazione contribuisce ad una resa di giustizia ad un'antica e complessa tradizione, che va fatta conoscere come parte integrante del patrimonio culturale europeo e, non ultimo, come parte interlocutrice in una conoscenza reciproca ebraico-cristiana di sapore ecumenico.
Il T. ha svolto il seguente piano di lavoro. Ha scelto una pericope importante dal punto di vista teologico sia ebraico che cristiano, qual'è Gn 49,1-28, rilevante nel corso della tradizione biblica e postbiblica per l'interpretazione messianica ricevuta, e l'ha presentata nell'esegesi di tre studiosi ebrei del medioevo, dislocati nel tempo e rappresentativi dell'evoluzione scientifico-culturale e religiosa del giudaismo medievale.
Il primo di questi personaggi notevoli è Abraham Ibn Ezra (1089-1164), un navarro di Tudela, il quale rappresenta un punto d'arrivo nella storia della ricerca di un'esegesi biblica originale e soprattutto nella storia della creazione autorevole di un approccio scientifico ad una lingua ebraica solida e, quindi, in certo qual modo di una ricreazione della lingua stessa. È per questo che Ibn Ezra, ancor più del suo grande contemporaneo, Rashì, predilige il commento peshat, cioè letterale, filologico, rispetto a quello derash, cioè edificante.
Il secondo personaggio, il Nahmanide (1195-1270), di Gerona, ha invece tutta un'altra impostazione del commentario biblico. Egli lascia ancora posto all'esegesi filologica, ma si apre contemporaneamente, per disposizione personale, all'interpretazione mistica influenzata dalla tradizione cabbalistica.
Infine, il terzo studioso, Abrabanel (1437-1508), nato a Lisbona da famiglia andalusa, offre un'esegesi ancor più personale e diversa, un commento prolisso a tendenza pastorale, nel quale vengono chiamati in causa i problemi sociali e morali a lui contemporanei.
Una linea storico-culturale ricca ed eterogenea, quindi, che si fa gustare nei tre diversi commenti alla pericope suddetta.
Il T. fa precedere i tre apporti da una traduzione spagnola del testo massore-tico, senza pretese di esaustività scientifica, ma con la finalità di mettere piuttosto a confronto quella traduzione «media» che doveva essere presente ai tre studiosi in epoche nelle quali il lavoro filologico andava assestandosi (diffuse erano le «bibbie romanzate», versioni del TM di natura popolare) ed il testo non aveva ancora quella sicurezza di dettaglio oggi acquisita dal «textus receptus» ufficialmente studiato dal pubblico accademico.
Per quanto riguarda la traduzione dei tre commenti, il T. conduce un lavoro puntuale e accurato, anche nella grafia. Per i testi ebraici di Ibn Ezra e del Nahmanide, egli si serve delle edizioni annotate, rispettivamente, di A. Weizer e di C.B. Chavel; per Abrabanel, non esistendo un testo annotato, si è basato sull'edizione pubblicata a Gerusalemme nel 1964.
Gli apparati di note e una sufficiente bibliografia fanno di questa dissertazione un apporto utile al lavoro scientifico e completano un lavoro che si legge anche con gradevolezza.