Nobile Marco ,
Recensione: Doron Mendels, The Land of Israel as a Politicai Concepė in Hasmonean Literature ,
in
Antonianum, 65/2-3 (1990) p. 384-386
.
Argomento della presente monografìa è la variabilità o l'adeguamento del concetto di Terra d'Israele alle reali condizioni storiche, così come si evince dalla letteratura intertestamentaria del periodo asmoneo, nel II sec. a.C. La ricerca si presenta come una rapida, ma interessante rassegna di opere riflettenti il rapporto alterno e significativo che la fede giudaica di tale periodo ha intrattenuto con quelli che noi oggi chiameremmo « i segni dei tempi ». La ricerca vuole soffermarsi solo sul concetto politico di Eretz Israel, ma tale concetto è indisgiungibile dal sostrato religioso che lo ha sempre nutrito.
E' quanto mostra l'indagine dell'A. Egli comincia con il buttare uno sguardo sugli anni 90 del II sec, prima del sollevamento maccabaico, e prende come campione d'indagine Ben Sira. Qui abbiamo, specialmente nella sezione della « Lode dei padri », lo sguardo nostalgico di chi guarda al passato nella sequenza continua e ininterrotta di personaggi che hanno fatto la storia della salvezza. Il passato è l'ideale, ma non lo s'invoca perché incida politicamente sul presente (cosa impossibile sotto la dominazione seleucide), bensì piuttosto perché appaia come un « freddo » e consacrato deposito, anche per ciò che riguarda l'insediamento del popolo eletto nella sua terra.
Ben diverso è ciò che appare nella letteratura degli anni 60: 1 Enoch 85-90 e Dan 7-12. Si è ormai nei giorni dell'insurrezione maccabaica. L'idea di Eretz L si materializza nella concentrazione di tutta la propria attenzione su Gerusalemme e il Tempio. In altre parole, ci si preoccupa del centro della ricostituzione della sovranità sul paese. Negli anni 50, invece, dopo il forte impatto del periodo precedente, vi è un Eupolemo che comincia a vedere le cose differentemente: è il momento in cui si sta ricostruendo la nuova realtà politica, ad opera dei Maccabei. L'attenzione si amplia ora su un orizzonte territoriale più vasto; la storia va riscritta con questa nuova forte coscienza. Intanto, l'evoluzione procede e, dalla concezione visionaria del territorio, proposta da Eupolemo, si giunge alla letteratura degli anni 40 e 30: 1 Maccabei e Giuditta, che propongono stavolta una concezione più pragmatica e politica del territorio e della sovranità. Gerusalemme è il cuore pulsante e la Giudea la realtà politica agente, anche se i confini sono fluttuanti. I popoli stranieri sono visti negativamente e come oggetto di annientamento. E' questo, a detta del M., un periodo di transizione che lascerà spazio a una diversa possibilità per gli stranieri, quella di lasciarsi « giudaizzare ». E si arriva agli anni 20, con la testimonianza del Libro dei Giubilei. Il Tempio e Gerusalemme qui rimangono indietro, sullo sfondo; lo sguardo si dilata sul confronto con il mondo culturale ellenistico, al quale si oppone la propria storia, che non è più semplicemente quella dell'Esodo, ma quella che va ai tempi primordiali, a quelle epoche, cioè, di confronto « internazionale ». Le disposizioni d'animo nei riguardi degli stranieri sono meno bellicose, specialmente nei riguardi di Esaù-Edom, figura di patriarca e parente che doveva ammorbidire l'accettazione del piano di conquista della Transgior-dania da parte degli Asmonei.
La dilatazione dei confini territoriali è dietro le preoccupazioni anche dei Testamenti dei Dodici Patriarchi, per il M. da porsi negli anni 10, contro una nutrita schiera di studiosi che li vedrebbero bene nel periodo premaccabaico. L'analisi dell'A. è acuta e puntuale. Con essa, cerca di dimostrare che dietro la storia dei rapporti di Giuseppe con gli altri fratelli, vi è il desiderio dell'autore di mostrare al nord, a Efraim-Manasse, tribù di Giuseppe, che il popolo dev'essere uno sul territorio: un discorso rivolto, in particolare ai Samaritani, in perenne conflitto con i Giudei. Al tema interessante di tali rapporti problematici nel II sec, è dedicato nel libro tutto un capitolo, il quale si sofferma soprattutto sull'opera di Teodoto e di quella dello Pseudo-Eupolemo.
Si giunge, alfine, al periodo della perdita dell'indipendenza territoriale e politica, sotto il dominio di Roma. Le reazioni sono le più varie, ma la concezione realistica del territorio perde terreno. Come mostrano alcune opere esseniche, si va da un'attesa realistica ad una soluzione mitico-escatologica, che sembra chiudere quel cerchio, apertosi all'inizio.
L'opera del M. si fa leggere con interesse; ma, al di là dei suoi meriti tecnici, è da sottolineare il fatto che essa, proprio per la sua scientificità, può divenire anche la base di un dialogo fruttuoso e di un atteggiamento più pensoso e meno dogmatico in questi difficili anni, nei quali non si riesce a comporre il conflitto israeliano-palestinese. Se da un punto di vista squisitamente politico, le cose si potrebbero trattare con più realismo e giustizia, la situazione si complica, invece, quando si considera il sostrato ideologico o di fede. E' qui che interviene il nostro Autore, con la sua autorevolezza, per dirci che le ideologie sono opera dell'uomo. Se invece si vuole partire da una base di fede eticamente pura, e di fede ebraica (e noi aggiungiamo cristiana), per affrontare a fondo il problema della pace, le argomentazioni devono cambiar parecchio: in compenso, cam-bieranno anche i risultati.
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