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Recensione: J. Alberto Soggin, Introduzione all'Antico Testamento

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: J. Alberto Soggin, Introduzione all'Antico Testamento , in Antonianum, 63/1 (1988) p. 172-174 .

Il prof. Soggin consegna al pubblico internazionale e in particolare a quello italiano, questa ulteriore fatica, dopo la recente Storia d'Israele (Brescia, Paideia, 1984; recensione in Antonianum 60 [1985] 188-190). L'In­troduzione è alla sua quarta edizione italiana e terza inglese e si presenta completamente rifatta.

Allo stadio attuale delle ricerche veterotestamentarie, è oggi necessario e molto stimolante seguire la traiettoria di lavoro di studiosi come il S., perché costituiscono il polso dell'andamento problematico dell'odierna indagine. Un segno e una conferma di ciò si hanno già fin dalla pre­fazione:

« ... La struttura di fondo dell'opera è rimasta uguale a quella delle prime tre edizioni... Ma non ho più adottato questa struttura con piena convinzione: ero sempre più persuaso, infatti, e lo sono quasi del tutto adesso che il dattiloscritto è terminato, che avrei dovuto iniziare col Deuteronomio e la storiografia cosiddetta « deuteronomistica », alla quale ultima dobbiamo anche la prima edizione del Pentateuco e dei Profeti posteriori, e quella finale dei Profeti anteriori » (p. 9).

Tali affermazioni, promessa di una prossima nuova edizione (lo spe­riamo vivamente e lo auguriamo ali'A.), sono emblematiche.

Nell'opera del S. emergono due caratteristiche di fondo. Da un lato vi è la salvaguardia dello statuto « canonico » di ogni introduzione veterotestamentaria, intesa come « summa » sistematica dei frutti pre­ziosi delle ricerche ormai secolari di generazioni di studiosi: non si possono cambiare a cuor leggero quei dati che l'esperienza di decenni ha cano­nizzato e la cui sistemazione ha creato un territorio sicuro e ben protetto entro il quale sviluppare e approfondire le proprie investigazioni scien­tifiche. Del resto, l'A. è stato ed è protagonista di tale temperie culturale. D'altro lato, proprio l'esigenza deontologica di quella metodologia ormai consacrata, fa nascere nel libro del S. la necessità d'imbrigliare e governare l'ingente produzione contemporanea che dà voce a nuovi orientamenti che oserei chiamare copernicani.

La tensione tra l'antico (nel senso più nobile del termine) e il nuovo in questa Introduzione è evidente. Come per la Storia d'Israele, l'abbon­dante e aggiornata bibliografia, distribuita alla fine di ogni capitolo, dà le dimensioni e la qualità degli attuali orientamenti esegetici, di cui sono spia, all'interno del capitolo, la cautela e la variabilità delle proposte con le quali il S. fa la sua lezione. Ciò è fortemente sensibile nella prima, seconda e terza parte del libro, rispettivamente: « La Bibbia ebraica. Sua storia e suoi problemi generali », « Il Pentateuco e i Profeti anteriori », « I profeti preesilici ».

Ad es., i paragrafi 7-8 del settimo capitolo (pp. 138-142) affrontano la vivace discussione esegetica circa la compatibilità dell'ipotesi docu­mentaria con la storia della tradizione e la datazione proposta attual­mente per le fonti più antiche del Pentateuco, primo imputato lo Jahwista. E ancora, a p. 216, a proposito del problema deuteronomistico (= dtf), che riguarda in concreto tre quarti della letteratura veterotestamentaria, il S., dopo aver citato un'affermazione di C. Levin circa l'ampiezza cronologica e semantica del fenomeno dtr, così conclude: « E' un elemento da prendere in considerazione, per condurre innanzi questi studi ancora agli inizi ».

Anche il resto del libro, però, risente della problematicità della ricerca. Basti leggere il capitolo dedicato a Geremia (pp. 361-375). Tra l'altro, sia per questo profeta che per il seguente, Ezechiele, s'introduce con plausibilità l'idea che essi possano essere l'oggetto di « biografie esem­plari », tanto controverso è il loro rapporto con l'attuale libro rispettivo.

Vi è un punto dell'odierno panorama esegetico che il S. non ha ancora recepito. Non abbiamo letto l'osservazione critica del Ravasi, fatta all'A. (cf. p. 10), al riguardo dell'assenza nell'Introduzione dell'approccio stili­stico con il testo biblico. Tuttavia, anche da parte nostra, dobbiamo regi­strare un'esigenza simile, proprio per la completezza dell'aggiornamento di questo libro notevole.

Si potrebbe anche prendere atto di quanto il Nostro dice, che cioè egli non si senta dotato di capacità estetiche per affrontare i testi nella loro natura di opera letteraria, ma la deficienza sussiste. Difatti, a nostro parere, non è questione di sensibilità estetica, che certamente non man­cherà al S., ma di « Vorverstàndnis » metodologica. Per un libro quale quello in questione, non si pretende una « simpatia » estetizzante con la letterarietà dei testi biblici, ma che si prenda atto di una ormai diffusa letteratura esegetica, fondantesi su criteri « oggettivi », cioè scientifici, appartenenti all'ambito della linguistica e della semiotica. La rivista Sémiotique et Bible del C.A.D.I.R. di Lione, pubblicata dal 1976, è un esempio.

Ammettiamo che la ricezione di tale prospettiva possa disturbare il taglio prettamente storico di una Introduzione. E tuttavia, essa, nel re­gistrare l'attuale andamento delle ricerche esegetiche potrebbe presentare la prospettiva linguistica, almeno come un'alternativa metodologica (non assoluta!) al disagio che oggigiorno si prova di fronte ad un'esegesi tra­dizionale troppo   storicistica,   e   talvolta   ingenuamente   positivistica.   In realtà, la parola di Dio la si può, e la si deve, far esprimere in più modi, purché efficaci.

Questa osservazione critica non diminuisce affatto l'idoneità del­l'opera del S. ad essere vivamente raccomandata come manuale negli istituti di livello universitario, data la solidità d'impianto con cui egli ci sa offrire l'antico tronco robusto insieme ai tanti nuovi germogli che lo vivificano.

Correggere a p. 365 la data: 598, con 589, e a p. 366 la relazione di parentela di Mattania-Sedecia con Jojakin: il primo era zio, non fratello di quest'ultimo.

 


 



 
 
 
 
 
 
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