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Recensione: Wayne A. Meeks, The First Urban Christians. The Social World of the Apostle Paul

 
 
 
Foto Herman Z.I. , Recensione: Wayne A. Meeks, The First Urban Christians. The Social World of the Apostle Paul , in Antonianum, 63/1 (1988) p. 178-181 .

Questo interessante, il minimo che si possa dire, studio del profes­sore di NT della Yale University è uno dei più autorevoli segni della sensibilità dell'esegesi anglo-americana per la ricerca del sottofondo so­ciale delle origini cristiane, in particolare del dato paolino. L'applica­zione della metodologia delle scienze sociali ai testi neotestamentari si è rivelata proficua soprattutto nei recenti lavori di G. Theifien, R.F. Hock, E.A. Judge, AJ. Malherbe ecc., ai quali Meeks attinge a piene mani, come risulta dall'Indice degli autori moderni (pp. 287 ss).

Nell'Introduzione l'Autore giustifica con lucidità il perché di una indagine sociale del cristianesimo delle origini. Bisogna dargli ragione che la maggioranza degli studi sul NT respira un fatale « air of unreality » (p. 1), segno indiscutibile dell'isolamento dell'esegesi neotestamentaria dalle consimili discipline storico-sociali e anche dalla stessa storia della chiesa primitiva. Il risultato è una lettura puramente filosofico-letteraria dei testi canonici « that depict a strange world, one that seems composed exclusively of theological ideas or compact mythic complexes or purely individuai "self-understandings". Il we ask, "What was it like to become and be an ordinary Christian in the first century"? we receive only vague and stammering replies » (p. 2). Meeks è cosciente che non è facile ela­borare il profilo di un « cristiano medio », il quale in quanto individuo sfugge quasi sempre alla ricerca sociologica, per cui occorre rintracciarlo tramite collettività alle quali apparteneva, catturandone il vissuto «through typical occasions mirrored in the texts » (p. 2). Senza negare gli indubbi risultati della filologia, dell'analisi letteraria, della Formgeschichte ecc., Meeks sostiene tuttavia che al di fuori di un accentuato approccio socio-antropologico dei testi neotestamentari, sarà diffìcile trovare « an anti­dote to the abstractions of the history of ideas and to the subjective individualism of existentialist hermeneutics » (p. 2). Di conseguenza, Meeks si prefigge il doppio scopo: a) scorgere « the texture of life in particular times and particular places » per quanto le fonti lo permet­tano, e in base a questo, b) descrivere « the life of the ordinary Christian within that environment — not just the ideas or the self-understanding of the leaders and writers »  (p. 2).

Meeks non si butta nella ricerca ad occhi chiusi, egli conosce i limiti del metodo sociologico (cf. pp. 2-7) e il pericolo di un certo riduzionismo, quando inconsciamente « the sociologica! interpreter imposes his own belief system on his evidence, implicitly or explicitly claiming to know more about the meaning of religious behavior than did the participants » (p. 3), come infatti fu nel caso della Chicago school of NT studies, nella prima parte del secolo, e in particolar modo nell'ambito della rilettura sociologica delle origini cristiane in chiave marxista, da K. Kautsky in poi. Dall'altro lato è chiaro che senza interpretazione alcuna, i fatti non esistono: « Every observation entails a point of view, a set of connections. The pure empiricist would drown in meaningless impressions » (p. 5). Per la sua indagine Meeks non si schiera con nessuna scuola sociologica, ma adopera il metodo eclettico che gli sembra il più appropriato dato « the present state of social theory and the primitive state of its use by students of early Christianity » (p. 6), per cui definisce la propria posizione in chiave di un «moderate functionalist »  (p. 7).

Per tre ragioni Meeks sceglie proprio le comunità paoline come campo di ricerca: a) il loro fascino intrinseco (un fatto che, come argomento, può sembrare del tutto soggettivo); b) le comunità paoline sono il seg­mento meglio documentato del cristianesimo primitivo e e) interamente di indole urbana (questo non vuol dire « that Pauline Christianity was typical of ali urban Christianity of the first century », p. 8).

Nel primo capitolo (pp. 9-50, le note pp. 198-213), Meeks presenta un interessante quadro dell'« urban environment of Pauline Christianity ». Con grande abilità l'attività paolina viene inserita nel suo reale contesto storico-sociale del mondo greco-romano. Da menzionare soprattutto le ottime pagine dedicate alla mobilità all'interno dell'impero, alla quale il cristianesimo in gran parte dovette la sua rapida espansione nei primi decenni; l'importanza del giudaismo urbano per l'attività missionaria di Paolo; la presentazione, con dovizia di particolari storico-archeologici, delle principali città paoline (pp. 40ss). In queste pagine l'Autore si rivela un compilatore intelligente e critico.

Il secondo capitolo (pp. 50-73, le note pp. 214-220) si occupa dello strato sociale del cristianesimo paolino, il quale soprattutto in base a 1 Cor 1,27 viene spesso definito un miscuglio di gente povera e insigni­ficante. Sembra invece, come risulta in modo particolare dall'esame mi» nuzioso di Meeks della prosopografia delle lettere paoline (una ottantina di persone) e delle evidenze indirette, nonostante la loro frammentarietà, che la comunità paolina « generally reflected a fair cross-section of urban society» (p. 73), che poteva andare dal semplice schiavo a persone pro­minenti, benestanti e altolocate. Il cristiano-tipo tuttavia, la cui presenza è più spesso segnalata nella corrispondenza paolina, « is a free artisan or small trader » (p. 73).

La strutturazione delle comunità paoline viene studiata nel terzo capìtolo (pp. 74-110, le note pp. 221-230) intitolato «The formation of the ekklésia ». Le « chiese » di Paolo sarebbero da catalogarsi nella categoria che i moderni sociologi, prevalentemente dell'area americana, chiamano « piccoli gruppi », o semplicemente « gruppi », secondo la definizione di G.C. Homans: « a number of persons, or members, each of whom, while the group is meeting, interaets with every other, or is able to do so, or can at least take personal cognizance of every other» (p. 74). In seguito Meeks esamina quattro modelli di gruppo che l'ambiente greco­romano offriva come paragone a quello cristiano-paolino: famiglia (house-hold), associazione volontaria  (clubs, collegia  tenuiorum  ecc.),  sinagoga,

scuole filosofico-retoriche. La conclusione: anche se alcuni modelli, spe­cialmente il casato-famiglia, rivelano notevoli analogie, nessuno « captu-res the whole of the Pauline ekklèsia» (p. 84). Interessanti pagine sono poi dedicate al linguaggio di appartenenza e di separazione usato nei gruppi paolini (pp. 85-96) e al problema di separazione-limitazione della comunità sia nei confronti dell'esterno sia rispetto ai propri membri (la questione della « libertà » interna, la relazione tra « forti » e « deboli », istituzioni interne socio-dottrinali), il che tuttavia non portò alla ghettiz­zazione delle comunità paoline: « They remained in the cities, and their members continued to go about their ordinary lives in the streets and neighborhoods,  the  shops  and  agora»   (p.   105).

Nel quarto capitolo (pp. 111-139, le note pp. 230-235), Meeks esamina l'organizzazione, « some patterns of leadership, some differentiation of roles among its members, some means of managing conflict, some ways of articulating shared values and norms, and some sanctions to assure acceptable levels of conformity to those norms» (p. Ili), senza le quali nessun gruppo può esistere a lungo. In questa parte del libro Meeks si sente debitore soprattutto delle recenti monografie sull'autorità nelle co­munità paoline di J.H. Schiitz e B. Holmberg. Nella prima parte del capitolo si discute sul modo in cui nell'epistolario paolino vengano affron­tate e risolte le situazioni conflittuali tramite lettere e visite personali dell'Apostolo o dei suoi emissari, mentre nella seconda parte, in base al materiale esaminato, si cerca di dare risposte concrete alla domanda: chi esercita l'autorità e con quali motivazioni essa viene rispettata? Paolo in quanto apostolo emerge ovviamente nella leadership; accanto a lui i principali collaboratori del suo staff missionario, i capi locali, nonché gli « apostoli » itineranti e i non meglio precisati apostoli ekklésian che rivaleggiavano fra di loro e ai quali, soprattutto a Corinto, le comunità spesso davano ascolto. Al perché dell'obbedienza a queste autorità, Meeks risponde abbastanza vagamente indicando soprattutto ragioni di indole socio-teologica (cf. pp. 136-139).

Il quinto capitolo tratta del rito, dell'attività cultuale (pp. 140-163, le note pp. 235-239) all'interno delle comunità paoline. Meeks rifiuta deci­samente l'opinione spesso ripetuta, ultimamente da E.A. Judge, che il cristianesimo primitivo non sarebbe da considerarsi una religione in quanto « without ritual » (p. 140). Meeks insiste invece sul carattere litur­gico anche della semplice « riunione », del « venire insieme » (cf. 1 Cor 11 ecc.) che poteva aver luogo sia per leggere e discutere una missiva del­l'apostolo, sia per reciproca istruzione e ammonizione, per la lettura delle Scritture, oppure per celebrare i riti maggiori, come la Cena del Signore, il battesimo ecc. Fra i riti sconosciuti e controversi (cf. pp. 162-163), Meeks rammenta le possibili cerimonie funebri, anche se in proposito non vi è alcun indizio nell'epistolario paolino, nemmeno nel contesto di 1 Ts 4. Sembra esagerato affermare che Paolo non menzioni i riti funebri perché « too well known to mention »  (p.  162). La fervente attesa  escatologica della fine imminente non lasciava molto spazio al rituale fisso di alcun tipo. Il fattore escatologico anche nel resto dello studio di Meeks non viene preso in debita considerazione (nel Subject Index, per molti versi lacunoso, appare solo la voce « Apocalittica » in senso molto vago), il che avrebbe potuto spiegare più adeguatamente la provvisorietà socio-dottri­nale delle strutture  paoline.

La discussione del lato dottrinale, ossia « Patterns of belief and pat-terns of life », Meeks l'ha riservata per l'ultimo capitolo (pp. 164-192, le note pp. 239-242), perché « the force of a belief-statement is determined by the whole matrix of social patterns within which it is uttered » (p. 164), tutte cose esaminate nei capitoli precedenti. Meeks non entra nell'espo­sizione teoretica, cerca di scoprire piuttosto le correlazioni « between stated beliefs and social forms » (p. 164), senza affermare con questo che uno sia la causa dell'altro e nemmeno che, quando un certo credo sembra logicamente esigere un dato comportamento, questo comporta­mento ne sia anche realmente scaturito, eccetto nei casi in cui i testi parlino con sicura evidenza dei fatti. Non si vede chiaramente perché Meeks escluda dalla discussione in gran parte la lettera ai Romani, che rimane pur sempre lo scritto dottrinale paolino per eccellenza. Così uno degli elementi esesnziali dell'annuncio paolino, la giustificazione gratuita, sembra — secondo Meeks — non abbia avuto la stessa importanza per il cristiano-tipo delle sue comunità (alla giustificazione Meeks dedica solo una pagina — cf. p. 185 — e il termine manca del tutto nel Subject Index). Meeks ha tuttavia ragione nel dire che bisogna guardarsi « of assuming that things really went the way the leaders hoped and argued » (p. 165) e, avendo tra le mani solo gli scritti dei leaders, « it is only by inference that we can guess some lineaments of the common beliefs » (p. 164). Bisognerebbe tuttavia vedere in che misura questo metodo basato sul-l'« inference » sia accettabile e credibile in una analisi sociologica che esige dati di fatto e non intuizioni.

Il libro chiude in maniera abbastanza brusca, senza una conclusione generale, per cui è difficile catturare i risultati concreti di questa inte­ressante ricerca. Alla fine troviamo ottime indicazioni bibliografiche (pp. 243-278), gli indici delle riferenze bibliche, degli autori moderni e delle materie. La lettura risente notevolmente del fatto che le note sono stam­pate dopo il testo e che i sottotitoli all'interno dei singoli capitoli risul­tano poco marcati. Meraviglia inoltre che i due ormai famosi libri di J.G. Dunn (Jesus and the Spirit, 1975 e Unity and diversity in the NT, 1977), che da vicino toccano il tema di Meeks, vengano completamente ignorati. Queste osservazioni tuttavia non diminuiscono affatto l'impor­tanza pionieristica di questo approccio sociologico che ha ridato vita a tanti episodi scarni della fatica paolina.



 
 
 
 
 
 
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