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Recensione: Jacques Vermeylen, Le Dieu de la promesse et le Dieu de l'Alliance

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Jacques Vermeylen, Le Dieu de la promesse et le Dieu de l'Alliance , in Antonianum, 62/2-3 (1987) p. 349-350 .

Ormai sembrava che fosse tramontata l'era delle teologie dell'AT. Dopo i classici, come la teologia del von Rad, vi sono stati dei tentativi isolati, senza, tuttavia, decisive innovazioni (Zimmerli, 1972; Me Kenzie, 1974; Westermann, 1978; Mattioli, 1981). In realtà, le odierne indagini veterotestamentarie scoraggiano dal tentare operazioni di tipo sistema­tico ed unitario, come si richiede ad una teologia.

Gli orientamenti di fede presenti nella letteratura dell'AT costitui­scono altrettante teologie non facilmente armonizzabili in un quadro unitario, pena il tradimento dei dati di fatto.

Nonostante ciò, arriva ora questa teologia del V. che si raccomanda per aver saputo rielaborare in un quadro teologico soddisfacente ed aggiornato la congerie di elementi offertici oggigiorno dalla scienza esegetica. Certo, il libro non è troppo voluminoso rispetto al complesso di problematiche storiche e letterarie, delle quali mostra solo i risultati finali fortemente sintetizzati. Ciò, se da un lato appesantisce la lettura ai non addetti ai lavori, dall'altro lascia perplessi o insoddisfatti i ri­cercatori.

Ma l'A. è conscio del limite del libro. Del resto, esso si presenta anche con una finalità catechetica, nel senso più alto del termine. Così, anche il lettore non perito nel campo, può ricevere alcune idee-guida illuminanti, nutrite di una giusta visuale dello « stato della questione ». Il V. suddivide il suo lavoro in quattro parti, corrispondenti ciascuna ad un'epoca storica: 1) il tempo che precede la catastrofe del 587 a.C; 2) il periodo dell'esilio, dopo il 587; 3) il periodo delle disillusioni, seguite al ritorno dall'esilio, e della frattura all'interno del popolo israelita (metà del V sec); 4) l'epoca, infine, dell'incontro-scontro con la cultura ellenistica (dalla fine del IV sec. in poi).

Per ogni fascia cronologica, l'A. considera due orientamenti teologici caratteristici, così che si hanno otto concezioni teologiche che, tuttavia, non sono statiche ed autonome, ma interrelate e in costante tensione feconda.

Prima dell'esilio babilonese, ad una teologia sacrale autogratifican-tesi, si oppone costruttivamente l'atteggiamento dei profeti della conver­sione; durante l'esilio, si controbilanciano le penitenziali teologie deutero-nomiste e le ottomistiche riletture teologiche delle tradizioni precedenti; nel periodo susseguente, quello della stasi e del silenzio di Dio, emergono due teologie, quella moderata del « piccolo resto » d'Israele e quella radicale dei « poveri di Jahvè »; infine, nel periodo ellenistico, al versante delle teologie « moraleggianti » fa da contrappeso quello delle teologie apocalittiche.

Il ventaglio delle otto teologie permette di avere davanti a sé il quadro storico e letterario completo di tutte le opere dell'AT, nella loro genesi e nel loro sviluppo.

Chiude il libro un capitolo stimolante sul rapporto tra l'AT e il Nuovo, incentrato su Gesù Cristo, e sulla relazione tra gli atteggiamenti teologici presentati e il nostro vivere attuale.

Come si vede, il respiro dell'opera è ampio e ricco di stimoli. Il pregio scientifico maggiore è quello di saper presentare in maniera organica i punti caldi e gli orientamenti più plausibili dell'esegesi contemporanea. Ciò, però, favorisce, nel contempo, l'avvio ad una salutare serie di que­stioni.

L'acribico sceveramento letterario delle fonti, delle tradizioni e dei versetti, dà un senso di esasperata precisione. Ad es., è proprio così evidente, e quindi necessaria, la distinzione tra Dtr 585 e Dtr 575 (pp. 114-115)?

Altra questione. Dato il rilevato persistere nelle varie epoche di una concezione mitico-sacrale (il tempio, centro del cosmo, ecc.), diviene pro­blematico il farne la caratteristica discriminante di un atteggiamento teologico (ad es. quello delle teologie ottimiste, come P). Del resto, pur dovendo ammettere in questo campo l'originalità mostrata da teologie quali le deuteronomistiche, non si possono pensare i circoli dtr come avulsi dalla loro epoca pregalileiana, anzi, proprio per questo sono originali.

Si potrebbero fare alcune altre osservazioni, che dimostrerebbero in ogni caso che l'opera del V. ha colto nel segno.

Uniformare nelle pp. 120 e 126 il nome dell'ultimo re di Giuda: Yoyakim (comunque da correggere) o Jojakin?