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Recensione: Colette Sirat, La philosophie juive au Moyen Àge, selon les textes manuscrits et imprimés

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Colette Sirat, La philosophie juive au Moyen Àge, selon les textes manuscrits et imprimés , in Antonianum, 62/4 (1987) p. 470-471 .

Quello che si presenta, è un libro ricco di contenuto ed utile sia all'erudito curioso che all'addetto ai lavori. Difatti, è un manuale il cui pregio consiste nella sintesi, in parte nuova, della letteratura filosofica giudaica di un'epoca interessante  e  complessa  come  quella  medievale.

L'Autrice, una specialista di studi giudaici medievali, già segnalatasi con altre opere, vuole con questa sua nuova fatica, dare al lettore il gusto dell'approccio al pensiero giudaico del medioevo, che ha saputo creare, spesso in modo originale, un ricco tirocinio filosofico, ponendosi al cro­cevia di un intenso lavorio intellettuale internazionale e talvolta tran­sconfessionale.

Rinunciando alla disquisizione critica ed erudita ad oltranza, la S. sa coinvolgere il lettore nel vasto e poliedrico movimento di pensiero che ha dinamizzato il giudaismo medievale, ponendo le basi anche per la dottrina e il pensiero successivi.

L'epoca in questione si può suddividere in due grandi periodi, quello che eredita il pensiero biblico e mishnaico-talmudico e giunge fino a Maimonide (dal IX fino al XII sec), e quello che da Maimonide, spartiacque dei due momenti, si sviluppa fino al rinascimento europeo (dal XII al XV sec). La struttura del libro  segue questa suddivisione cronologica.

Per il primo periodo esistono già vari studi, per cui la sua presenta­zione non sorprenderà gli addetti ai lavori. La sintesi del secondo pe­riodo, invece, è una novità, dato che finora esso è stato poco studiato e, quindi, tantomeno si è preteso di farne una sintesi.

Comunque, la S. conduce il suo lavoro con scrupolo non solo al riguardo del secondo, bensì anche del primo periodo, compulsando testi originali o traduzioni valide, anch'esse però controllate.

Le due parti del libro provocano rispettivamente due tipi d'interesse. La seconda parte attira soprattutto lo studioso che vuole avere una presa sintetica su un periodo che abbisogna ancora di una illuminazione sufficiente. La prima parte, invece, suscita inevitabilmente l'attrazione dell'erudito che desidera un primo approccio sistematico al mondo giu­daico medievale e che non può non subire il fascino di personalità quali quelle di Saadia Gaon, Salomon Ibn Gabirol, oltre al resto sublime poeta, Juda ha-Levi e soprattutto di Maimonide, la cui More-ha-Nevukim (« Guida dei perplessi ») è stata studiata anche da Tommaso d'Aquino, sebbene nella traduzione non perfetta di Juda al-Harizi.

Il libro è corredato da una interessante serie di indici, tra i quali quello delle opere antiche ebraiche; inoltre vi è una tavola cronologica dei pensatori trattati.

Non si può che salutare con vivo plauso opere come queste, che aiutano a riscoprire la grande ricchezza intellettuale e spirituale di un'epoca bistrattata e fatta sinonimo di oscurantismo e di ipersacralità.

Ma se questa opera abbatte un pregiudizio che può affettare i « rudes », ne abbatte anche un altro più sottile: quello di un'epoca dominata da un'ideologia totalitaria e monolitica. In realtà, la S. è brava nel mostrare come ebrei, musulmani e cristiani dialogassero e alimentassero un clima intellettuale veramente universale, ove il primato dello spirito riceveva il supporto dell'illuminata ricerca della mente umana. Un'epoca... « mo­derna ».



 
 
 
 
 
 
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