Inizio > Pubblicazioni > Modric Giovedì 21 novembre 2024

Informazione sulla pubblicazione:
Inaugurazione dell'Anno Accademico 1987-1988. C) Rapporto tra la « Lectura 77» e la « METAPHYSICA » di G. Duns Scoto

 
 
 
Foto Modric P. Luka , Inaugurazione dell'Anno Accademico 1987-1988. C) Rapporto tra la « Lectura 77» e la « METAPHYSICA » di G. Duns Scoto , in Antonianum, 62/4 (1987) p. 504-509 .

Negli ultimi dieci anni, in questa occasione della festa di Gio­vanni Duns Scoto, eravamo soliti esporre una sintesi dei vasti lavori in corso per l'edizione critica dei singoli volumi delle Opere di Duns

Scoto. Cercavamo di chiarire i punti più salienti degli studi com­piuti dalla Commissione Scotista nel corso del precedente anno.

Questa volta invece ci limiteremo a toccare solo un punto del nostro studio che assume particolare importanza non soltanto per le nostre ricerche, ma anche per la migliore conoscenza della rela­zione tra le diverse opere di Scoto.

Si tratta del rapporto esistente tra la Lectura libro II e la Metaphysica, come risulta dalle dd. 12 e 18. In questi due luoghi Scoto ha molti brani che concordano verbalmente con il testo delle Quaestiones in Metaphysicam 1. Noi esaminiamo questo caso soltanto sotto l'aspetto della critica testuale.

Nella d. 12 della Lectura Scoto si pone la domanda: « Utrum in substantia generabili et corruptibili sit aliqua entitas positiva, di-stincta a forma, quae dicatur esse materia »2. A questa domanda Scoto risponde dapprima adducendo gli argomenti contrari degli altri: « Quod non, videtur ». Si tratta di sei ragioni, cinque delle quali si leggono — spesso letteralmente — nella Metaphysica, e pre­cisamente nella q. 5 del libro VII: « Utrum materia sit ens »3.

Nella soluzione della questione. Scoto espone il suo pensiero in tre articoli. Nel primo dimostra l'esistenza della materia: « Pro-batur quod materia est », e vi introduce la prima parte della risposta alla q. 5 del libro VII della Metaphysica: i due testi concordano spesso letteralmente4.

Nel secondo articolo Scoto indaga sull'entità della materia: « Qualem entitatem habeat materia et quale ens sit », e vi intro­duce la seconda parte della sua risposta alla predetta q. 5 della Metaphysica5. In entrambi questi due articoli, dopo i testi ripresi dalla Metaphysica, Duns Scoto aggiunge l'esposizione della opinione contraria e la sua confutazione.

Nel terzo articolo si parla della materia come realtà distinta dalla forma. Però qui l'esposizione di Scoto è nuova. Di essa non c'è traccia della sua Metaphysica.  Ritornano ancora i passi  della Metaphysica nella parte conclusiva della questione. Era costume degli scolastici confutare, al termine della questione, gli argomenti con­trari addotti all'inizio e introdotti con le parole « videtur quod sic », « videtur quod non » o con altre simili espressioni. Così anche Scoto risponde agli argomenti iniziali, ma per ciò usa i testi della Metaphysica integrando e ampliando qua e là il suo ragionamento6. Passiamo alla d. 18. Questa distinzione tratta il noto problema delle « rationes seminales », ed è divisa in due questioni: nella prima si pone la domanda se la « ratio seminalis » nella materia naturale è parte della forma da introdurre. « Utrum ratio in materia naturali sit pars formae introducendae »7.

Nella seconda questione Scoto si chiede se la « ratio seminalis » nella materia naturale sia una potenza attiva: « Utrum ratio semi­nalis in materia naturali sit aliqua potentia activa »8. Nel solito tratto iniziale della questione riporta dalle sue « Quaestìones in Meta-physicam » (libro VII q. 12) otto prove di Aristotele9.

Nella soluzione delle due questioni Scoto si serve ampiamente della sua Metaphysica, trascrivendone letteralmente e elaborandone molti passi; ma, nello stesso tempo, egli sviluppa molto più ampia­mente e organicamente il suo pensiero, tanto che ne risulta un'espo­sizione quasi del tutto nuova e più articolata10.

Nella risposta agli argomenti contrari, posti all'inizio delle due questioni, Scoto confuta i primi indipendentemente dalla sua Meta­physica, salvo un passo abbastanza ampio11; mentre nella risposta ai secondi trascrive semplicemente ciò che aveva detto nella sua Metaphysica12.

Si hanno così decine di testi della Metaphysica trasferiti da Scoto nella sua Lectura, non senza la necessaria rielaborazione e fre­quenti ampliamenti.

Nel paragonare i testi delle due opere, ci eravamo posti dap­prima la domanda se la Lectura era debitrice alla Metaphysica o viceversa. Ma dopo ampio studio, siamo giunti alla conclusione che i predetti testi della Lectura provengono dalle Quaestiones in Meta-physicam e che quindi è valida la tesi tradizionale secondo cui Scoto aveva composto prima la Metaphysica e poi la Lectura13. Natural­mente il problema sarà ulteriormente approfondito e i risultati saranno pubblicati nella introduzione del prossimo volume XIX. Comunque per adesso possiamo essere contenti di questo dato, poiché è implicito che una completa conoscenza dei rapporti tra tutte le opere di Scoto potrà essere acquisita soltanto con la edizione completa delle sue opere.

Quando diciamo che Duns Scoto riporta nelle predette due di­stinzioni parecchi testi della Metaphysica, è necessario rilevare che egli non indica il luogo da dove aveva preso i testi. Ciò invece è fatto ad esempio nella Or dinatio, libro IV d. 11 : « Sicut dictum est in Quaestionibus IX Metaph. ad ultimarti »14. Non dobbiamo meravi­gliarci della mancata indicazione della fonte da parte di Scoto, perché questa era la mentalità degli autori medioevali: non giudi­cavano necessario menzionare ovunque le opere o gli autori citati.

Mentre parliamo dei testi della Metaphysica riportati nella Lectura, è d'obbligo menzionare un altro caso, che a prima vista crea difficoltà: Scoto nella Metaphysica cita tre volte, espressamente e con esattezza, il suo commento alle Sentenze: La prima nel libro V q. 7, dove, parlando del « lumen », dice: « Quia d. 13 secundi ponitur lumen esse speciem lucis »15. La seconda volta nello stesso luogo, trattando della « cognitio », così si esprime: « Ad tertium d. 17 q. 4, an agens aequivocum intendit ultra gradum quem causaret univocum agens»16. Infine, la terza volta nel libro VII q. 13, dove tratta «de intellectione singularium ». Ma, in questo luogo, invece di dare la soluzione del problema, invita il lettore a reperirla nel libro I d. 3: « Responsionem ad hoc quaere scilicet17 d. 3 primi »18.

Ebbene, come si potrebbe spiegare questo caso di citazioni as­sunte da un'opera scritta posteriormente?

Se esaminiamo il libro della Metaphysica nei manoscritti, ve­dremo che molti testi sono segnati con le note critiche « Extra », « Vacat » e « Additio » o con altre simili espressioniw. Questo è un segno evidente che Scoto non aveva ancora ultimato la compo­sizione dell'opera, ma la stava perfezionando20. Per la soluzione poc'anzi citata ha rimandato il lettore ad altra sua opera, avendo forse in mente di completare il luogo in una occasione futura.

Passiamo adesso ad un altro argomento che viene suggerito dagli stessi testi riportati nelle dd. 12 e 18. Forse si potrebbe dire qualche cosa riguardo al tempo di composizione di queste due opere.

Sappiamo che la Lectura è stata letta da Scoto nell'Università di Oxford. Si sa inoltre che Scoto nel 1302 era stato mandato da Oxford a Parigi21. Ne segue che la Lectura era composta prima di quella data. Risulta pure che Scoto nel prologo della Lectura cita il Quodlibet XIII di Godefridus de Fontibus22; sappiamo che la com­posizione di questa opera era già terminata nel 12962S; se ne deduce che la Lectura fu composta tra gli anni 1296 e 1302.

Da questo possiamo soltanto dedurre che la Metaphysica fu composta certamente prima dell'anno 1302, ma niente si può dire del tempo « ante quod non ». Di fatto, riguardo alla Metaphysica non possiamo procedere come con la Lectura; poiché mentre questa era trascritta senza alterazioni dal « quaderno » di Scoto2i, la Meta­physica veniva letta da Scoto in un'altra forma rispetto all'attuale, la quale ha subito cambiamenti nel periodo di perfezionamento25. Per esempio, Scoto nella Metaphysica libro VI q. 12 cita il Quodlibet XIII di Godefridus de Fontibus x: dal che non possiamo dedurre che l'opera fosse stata composta dopo questo quodlibet (anno 1296), ma soltanto concedere che la citazione era inclusa dopo questa data.

Si dirà che è poco. Al che noi rispondiamo che le opere me­dioevali in genere scarseggiano di indicazioni cronologiche. E sic­come finora non si è riusciti a stabilire con esattezza il « curriculum » degli studi di Scoto, non possiamo neppure stabilire con esattezza l'anno di composizione di queste due opere27.

Questo che abbiamo esposto finora, riguarda solo un problema del nostro vasto lavoro, compiuto nell'anno accademico trascorso. In questa occasione possiamo dire che il materiale per il prossimo volume XIX è definitivamente preparato per una buona metà. Il ma­teriale restante è stato già studiato, ed ora è sottoposto a revisione e perfezionamento. In ogni caso la Commissione ha deciso di non incominciare la stampa del volume prima che tutto il materiale sia pronto per la tipografia.

 

 

 

 

 


 



 
 
 
 
 
 
Martín Carbajo Núñez - via Merulana, 124 - 00185 Roma - Italia
Questa pagina è anche attiva qui
Webmaster