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Recensione: C. Geffré, Le Christianisme au risque de l'interpretation

 
 
 
Foto Sileo Leonardo , Recensione: C. Geffré, Le Christianisme au risque de l'interpretation, in Antonianum, 60/4 (1985) p. 695-697 .

La teologìa contemporanea si avvale di un interessante chiave inter­pretativa di se stessa. Scorrendo l'opera di C. Geffré si è accompagnati dalla suggestiva impressione di incontrare, traccia su traccia, la materia, le vìe, i fermenti e gli obiettivi della teologia del dopo-Concilio, e non solo cattolica. Non siamo in presenza dell'analisi di ciò che funge da soggetto; un'analisi cioè intesa come capacità di distinzione, riconosci­mento e qualificazione. Meglio detto, l'opera è consistente di tutto questo, ma in quanto dà corso alla virtualità progettuale della riflessione stessa.

Se sotto la spinta della principialità pastorale la teologia di questo ventennio si era annunziata — e sembrava permanervi — impiantata su basi anti-metafisiche o, generalmente, anti-intellettualistiche, in realtà, la­sciandosi assorbire, in un coinvolgimento certamente dinamico, dalla cul­tura della nuova ermeneutica (di ambiente heideggeriano e protestante), ha riposizionato se stessa in ordine alle prerogative epistemologiche che ha ritenute ad essa congeniali, benché di volta in volta espressive di sistemi più o meno provvisori. In questa luce Le Christianisme au risque de l'interprétation ha il merito di dare prova della consistenza teo-logica della scienza cristiana; di individuare i punti di annodamento e di sno-damento interdisciplinare; di rappresentare, infine, un fattore di con­fronto utile ad illuminare il panorama delle « sperimentazioni » teoriche delle teologie attuali. Si tratta, dunque, di un'opera di natura essenzial­mente fondamentalista, capace di autolegittimazione: è di fatto frutto della novità del contesto teologico del nostro tempo, per autogenesi. Si tenga conto che nel 1972 lo stesso Geffré ne rivendicò il nuovo corso con Un nouvel Age de la théologie (Cerf, Paris).

L'opera assomma testi, più o meno rimaneggiati, già pubblicati come materiale di comunicazioni, conferenze e articoli. Proprio la più parte del­l'attività scientifica dell'A., a partire dal 1972, converge, per un totale di 15 capitoli, in tre parti di riepilogo tematico. Queste corrispondono al piano generale dell'opera: la teologia è ermeneutica (De la théologie comme herméneutique); la teologia è l'attività ermeneutica della fede (Le témoignage interprétatif de la foi); il cristianesimo dei cristiani rein­terpreta il Cristianesimo [La pratique des chretiéns réinterpréte le Chri­stianisme). Completa il quadro contemporaneista l'epilogo: Silence et promesses de la théologie francaise. Con questo ultimo colpo d'occhio l'A. non solo stila un rapporto sulla teologia francese del post-Concilio ma ridisegna,   perché   ve  lo   riconosce,   il   nuovo   orientamento   ermeneutico della teologia.

Lo sviluppo del tema unitario, il Cristianesimo al rischio dell'inter­pretazione, appunto, consegue due esiti di rilievo. Da una parte, in con­siderazione della artificiosa e asincronica redazione del libro, suppone specifiche valutazioni pregiudiziali dell'A.; quelle stesse che sono all'ori­gine delle coordinate teoriche, e già ideologiche, dello sfondo del « nuovo tempo della teologia ». Dall'altra si vincola a due assi portanti sui quali lascia scivolare una varietà abbondante di riflessioni filosofiche e teolo­giche, ossia: la relatività della comprensione storica, la competenza della metodologia. Senza dubbio, l'esame di tanta articolata architettura, sia evidente che implicita, è impossibile in questa sede; praticabile è solo il richiamo alle implicazioni della posta in gioco della teoria avanzata.

Concretamente detto, e per grande sintesi, l'A. riconosce all'esercizio teologico una funzione per se stessa « ermeneutica », equivalente ad una specie di « comprensione esplicativa » (nella linea del superamento ricoeu-riano della distinzione diltheyana), generatrice della «coscienza storica» presenziale (di ispirazione gadameriana) della « pertinence » contempora­nea del Mistero cristiano. Ciò che l'A. ha già affermato in altra sede e qui ribadisce, come « proprium » della teologia fondamentale, per attribuzio­ne diretta si vede riferito all'esercizio medesimo della teologia in quanto continua « hermeneutique de la Parole de Dìeu e de l'existence humaine » (Jntroduction, p. 8). Significativamente Geffré è ben consapevole di affi­dare i semi speculativi della sua opera allo stesso grembo del solco sca­vato da E. Schillebeeckx e D. Tracy e di promettere al lettore lo stesso frutto, quello di una « théologie comme une corrélation critique et mutuel-le entre l'interprétation de la tradition chretienne et l'interprétation de notre expérience humaine contemporaine » (ibid., 9).

Ma qual è precisamente il rischio che attende il Cristiano? Per rispon­dere vale anzitutto considerare quanto l'A. con decisione ravvisa nella espressione: « le bon risque de la foi ». Ora, la « bontà » del rischio qui supposta è quella che salva la fede da una trasmissione di un passato morto, e garantisce una sua proprietà « créatrice », pur coscienti che di per sé il rischio è « le risque du gauchissement, de la distorsion et méme de l'erreur » (ibid., 8). Ci si rende conto che la via scelta dall'A. innova pro­babilmente la metodologia teologica cattolica, tanto rispetto alla sua con­suetudine storica quanto riuardo alla critergiologia dogmatica che pre­siede e ammaestra la funzione che il Cristianesimo' confida alla teologia. Per  quel  che  mi  attiene,  ritengo  opportuno  un  approfondimento  della questione in maniera più specifica. In ogni caso, il pensiero di Geffré espo­sto e raccolto in questo libro merita un'attenzione non superficiale.

Il testo è attraversato da intuizioni e provocazioni capaci di imporre un'utile occasione dì riordino mentale sul « caso teologia », una sorta di processo epistemologico necessario e salutare per il mondo cattolico come per il suo dialogo ecumenico, interreligioso e con il mondo delle culture.



 
 
 
 
 
 
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