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Recensione: MOLONEY F.J., The Johannine Son of Man

 
 
 
Foto Herman Z.I. , Recensione: MOLONEY F.J., The Johannine Son of Man, in Antonianum, 55/1-2 (1980) p. 290-292 .

Moloney presenta  già  la  seconda edizione,  aggiornata  di un ampio Appendix (pp. 221-256), della sua tesi di dottorato, difesa all'università di Oxford, sotto la direzione della professoressa M.D. Hooker. La prima edi­zione è uscita, sempre presso LAS, nel 1976 e in questo breve spazio di tempo l'Autore non ha  ritenuto  opportuno portare  alcun  cambiamento essenziale   rispetto   alla   prima   edizione.   Tenendo   conto   però   « of  the reviews of the originai work and the never-ending flow of literature on the  Fourth Gospel »   (p.  IX),  viene  aggiunto  alla fine  il  già accennato Appendix intitolato The Johannine Son of Man 1976-1977 che si propone tre  scopi:   dare  a)   un'analisi  più  approfondita  del  background dell'uso giovanneo del titolo « Figlio dell'uomo »; b) alcune suggestioni riguardanti il posto e la funzione  di questo  titolo  cristologico  all'interno della co­munità  giovannea;   e)   uno  sguardo  possibilmente  completo  alla biblio­grafia apparsa dopo la prima edizione del libro.

Il contenuto e il metodo del libro è stato presentato già in molte recensioni della prima edizione (tra le italiane segnaliamo quella di G. Segaixa in StPat 44, 1977, 95-99 e di G. Menestrina in BibOr 19, 1977, 230) e, d'altro canto, Moloney stesso ha fatto il riassunto delle proprie con­clusioni in Bib TB 6 (1976) 177-189. Di conseguenza, noi ci accontentiamo solo di poche osservazioni riguardanti prevalentemente il materiale nuovo di questa seconda edizione contenuto neh" Appendix.

Come è noto, l'Autore ha scelto una metodologia propria per discu­tere la posizione  che  il  tema  del  Figlio   dell'uomo   occupa  nel  quarto vangelo. A differenza di S. Schulz, il quale nella sua famosa monografia, che risale ormai al 1957, ha cercato di rintracciare i vari elementi tradi­zionali sottostanti alla concezione giovannea del Figlio dell'uomo, Moloney da parte sua studia attentamente il contesto immediato di ogni pericope, tredici in tutto, in cui appare il tema del Figlio dell'uomo. E' stato sotto­lineato già il lato debole di questo metodo (cf. Segalla, ibid., p. 100) in quanto tiene conto solo  del  livello  redazionale  del  testo e lascia  com­pletamente a parte le fonti e la critica letteraria, lacuna che in questa seconda edizione  viene,  più  o  meno,  riempita  nella   prima  parte   del-YAppendix (The Background to John's Use of « the Son of Man », pp. 222-247), anche se in modo non del tutto soddisfacente:   nella prossima edi­zione questo materiale dovrà essere integrato e discusso più ampiamente nel testo stesso. Moloney ha portato nell'Appendix (cf. pp. 226 ss.) alcuni argomenti convincenti contro la critica, rivoltagli da più parti, di voler escludere « l'ascensione »  del  Figlio dell'uomo  e  di  insistere  solamente sulla « discesa » identificando in pratica il Figlio dell'uomo con l'Incarnato. Infatti i verbi  υψοω e δοξαζω   non  si  riferiscono mai all'ascensione  del Figlio dell'uomo, bensì alla crocifissione, come la glorificazione definitiva (cf. Gv 3,14; 8,28; 12,23.34). La doxa di Gesù va interpretata col tema del k'bód  Jahweh   dell'AT,   tradotta   dai   LXX   sempre   come  δοξα του θεου, e i testi veterotestamentari in questione mostrano « that the k"bód Jahweh is always  seen  and  experienced »   (p.   227).   Perciò   anche   l'espressione εθεασαμεθα την δοξαν αυτου di Gv 1,14 sarebbe stata adoperata nello stesso senso: non può quindi riferirsi alla gloria di Gesù nel cielo, ma « it must be a reference to the human experience of "seing" something in history, just as the people of old "saw" the k'bód Jahweh »  (p. 228). E' chiaro anche che in 2,11  e  11,4.40  l'attività miracolistica  di  Gesù  è  concepita come riflesso della doxa di Dio. Moloney può quindi a ragione ritenere le sue posizioni. D'altra parte, il termine che per eccellenza definisce la preesistenza di Gesù in Gv è il « logos »:  e dal momento in cui il Logos «si fece carne» (1,14) non appare più in tutto il vangelo. La preesistenza di Gesù è sottolineata anche col termine « Figlie »  (di Dio)   (cf.  17,1-5), mentre il « Figlio dell'uomo » si riferisce esclusivamente all'esistenza ter­rena dell'Incarnato: « only as the incarnate historical revealer... is he called "the Son of Man" » (p. 246). - Nella seconda parte dell'Appendix (pp. 247-256) sono discusse alcune tesi recenti riguardanti i problemi della comunità giovannea (J.L. Marty, G. Richter, R.E. Bkown). Contro Marty e Richter, che sostengono « an ascending-descending figure » del Figlio dell'uomo nel quarto vangelo (p. 253), Moloney ribadisce la propria posi­zione accennata sopra e sostiene che il termine « Figlio dell'uomo » fu usato da una comunità la quale voleva: a) correggere l'identificazione di Gesù con il tradizionale Messia giudaico; b) insistere sull'unica rivelazione di Dio nell'uomo Gesù e in modo speciale nell'evento della croce, e e) presentare Gesù con un linguaggio familiare al sincretismo del primo secolo, senza pertanto tradire la dottrina della chiesa primitiva (cf. p. 254). Con R.E. Brown, Moloney pensa a ragione di poter vedere dietro le mol­teplici tradizioni sottostanti il quarto vangelo, la mano redattrice di un « authoritative and highly-respected Evangelist » (p. 256) che, secondo ogni prabibilità, sia identico con il  « discepolo prediletto ».

Come si vede, in questa seconda edizione, l'Autore ritiene completa­mente le posizioni sviluppate nella prima, portandovi non pochi chiari­menti utili. Una bibliografia abbondante e diversi indici concludono il libro. Il lavoro di Moloney rimarrà sicuramente un tappa obbligatoria per ogni studioso del quarto vangelo. Non è da dimenticare infine che, dal punto di vista estetico, il volume si presenta in una veste che farà invidiare non pochi editori i quali, quando si tratta di produzione ese­getica,  dimostrano  una  preoccupante  mancanza  di  fantasia.


 



 
 
 
 
 
 
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