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Informazione sulla pubblicazione:
Recensione: PIERINI F., Gramsci e la storiologia della rivoluzione. Studio storico-semantico

 
 
 
Foto Mariani Eliodoro , Recensione: PIERINI F., Gramsci e la storiologia della rivoluzione. Studio storico-semantico, in Antonianum, 54/1 (1979) p. 146-148 .

La prima domanda che il lettore di questo nuovo studio che la cul­tura cattolica dedica ad Antonio Gramsci, l'ideologo del comunismo ita­liano del primo dopoguerra (ricordiamo quello di A. Festa uscito presso la « Cittadella », Assisi, nel  1976), è se l'interesse prevalente nell'Autore sia quello semantico-strutturale ovvero quello storico-culturale; e anche ammesso come ovvio che siano l'uno e l'altro insieme, come suggerisce lo stesso titolo, si tratti di una giustapposizione artificiosa e meccanica, quale può essere un telaio di tubi per una mostra, dove levata la mostra i tubi possono servire per un'altra, ovvero che sia la stessa saggistica gramsciana a imporre quella certa lettura strutturalista che ha impe­gnato il genio analitico del Pierini. Personalmente riteniamo che l'Autore abbia voluto tentare un tipo d'ermeneutica strutturalista limitatamente all'aspetto metodologico, e quindi formale e semantico quasi modellando sperimentalmente, nella sua esercitazione di lettura, uno strumento che potrà essergli utile in altri campi meno uniformi e meno poveri di linguaggio.

Un vantaggio innegabile della lettura gramsciana condotta avanti con tale frazionamento diacronico e sincronico di connotazioni di vario segno del dizionario ideologico  del pensatore  sardo  trapiantato  a  Torino,  è quello d'aver ridotto all'osso il suo bagaglio di idee;  le quali appunto danno il titolo ai capitoli della seconda parte del volume:  spirito, storia, rivoluzione, massa, fatto ed atto. Tali concetti e parole a livello filosofico derivano ovviamente a Gramsci dalla cultura hegeliano-marxista ripen­sata con le categorie dello storicismo crociano e gentiliano (Gramsci fece per il marxismo della II Internazionale quello che Gobetti fece per l'ere­dità del liberalismo ottocentesco); a livello semantico servono per indica­re, nell'analisi dei fatti sociali, politici, culturali, il verificarsi delle con­dizioni operative e dialettiche, libere e necessarie, individuali e collettive, della rivoluzione comunista:  il che avvenne nella rivoluzione sovietica e sarebbe dovuto avvenire — senza i malinconici pentimenti della storia — anche in Italia per cosciente movimento delle  « masse » lavoratrici. A questa composizione tematica che resterebbe identica anche se l'analisi si fosse riferita alla produzione gramsciana dopo il '20 (il Pierini limita infatti il suo studio accuratissimo al periodo 1914-1920) vengono applicati i cosiddetti « esponenti » semantici che sono un po' le chiavi che aprono tutte le porte. Si tratta di ingabbiare le frasi e le loro derivazioni a seconda di un casellario  di  connotazioni,  sette per l'esattezza,  di  cui alcune rispondono a un fatto di partecipazione, altre di estrazione, altre infine di mera constatazione. La partecipazione connotata con P indica un giudizio « positivo » (es. « Il Congresso ha tracciato i quadri; bisogna ancora continuare il lavoro di elaborazione individuale delle coscienze »). Seguono la connotazione N, cioè della negatività assoluta (es.:  « Illusione colossale. La scelta dei leaders sindacali non avvenne mai etc. »), della dialettica (connotazione NN), della negatività relativa (connotazione PN); dell'ironia positiva e negativa (connotazioni IP e IN) e infine della situa­zione o constatazione che è insieme positiva e negativa connotata con P/N. Dobbiamo con questo dire che il frasario gramsciano rientra tutto in queste gabbie grammaticali e sintattiche? Che non esprima emozioni o dubbi, incoerenze, contraddizioni o non sia che un linguaggio « storiciz­zato »? Il metodo  adottato  dal  Pierini può appunto  dare l'impressione, ed è fatale, che l'archivio delle parole e delle loro derivazioni o del fra­sario   distribuito   nelle   connotazioni  sia   fine   a   se   stesso,  e   che  certi « sensi » connessi  a  quelle parole  siano  come  strutture  permanenti at­torno  alle  quali  il  muoversi  della  storia  viva  sia un  fatto  apparente. E' probabile che questa sensazione sia la stessa che si prova ormai verso le letture cibernetiche ed elettroniche che vanno dilagando e che vanno ben  oltre  delle  tradizionali   « concordantiae  biblicae »  che  aiutavano la memoria:   « fanno paura », come ci confessava un collega recentemente. Il problema qui toccato è comunque più ampio, se pure non estraneo, alla  valutazione  del  lavoro  del  Pierini  che  è  uscito  un  po'  malconcio dalla riduzione forzata a cui è stato sottoposto (cfr. Prefazione, p. 6), ma rimane  pur   sempre  molto   serio,  accurato,   e,   sul  piano  metodologico, anche se non convincente a nostro modesto parere, originale. Il metodo comunque ci ha consentito se non altro di comprendere meglio i limiti del pensiero di Gramsci che i comunisti sono riusciti a mitizzare com'è loro consuetudine; ci ha consentito di precisare il suo orizzonte storico, la sua dipendenza linguistica e culturale, il modulo  angusto e settario della sua conclamata analisi della prassi.



 
 
 
 
 
 
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