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Recensione: G. ANGELINI — al., Fede, ragione, narrazione. La figura di Gesù e la forma del racconto

 
 
 
Foto Kopiec Maksym Adam , Recensione: G. ANGELINI — al., Fede, ragione, narrazione. La figura di Gesù e la forma del racconto, in Antonianum, 83/1 (2008) p. 134-138 .

E difficile pensare a una speranza cristiana che non sia realmente fonda­ta sull'esistenza e sull'opera storicamente accertabile di Gesù di Nazaret, per­ché altrimenti essa si ridurrebbe a una proiezione ideale o leggendaria delle attese dell'uomo, a un simbolo su cui ogni epoca riverbera arbitrariamente le proprie concezioni e anche le proprie alienazioni. Tale questione è stata formulata anche come problema del rapporto fra il «Gesù della storia» e il «Cristo della fede», oppure come problema dell'oggettività del fatto religioso cristiano.

Tuttavia, con la svolta razionalista la teologia ha dovuto far fronte alla sfida lanciata dalla ricerca critico-storica tendente a far relazionare i due poli: storico (con la figura di Gesù di Nazaret) e teologico (con il Cristo dei dog­mi). Tale svolta è caratterizzata dalle famose tre tappe: «Old Quest», «New Quest» e «Third Quest». Se nel primo momento si assume un atteggiamento scettico riguardo alla possibilità di accedere all'autentico «volto» storico di Gesù di Nazaret, evidenziando una inconciliabile discrepanza tra la figura storica e quella kerygmatica (teologica) confessata dai credenti, in seguito si giunge, sempre sulla base dello studio storico—critico, ad affermare una pro­fonda continuità tra le due figure. Oggi però il problema si sposta dal versan­te storico verso quello linguistico-ermeneutico, sul quale non mancano nuo­ve teorie che mirano ad esprimere la verità di Gesù. Anche in questo campo, dove la ricerca parte dal testo, alcuni studiosi vengono a utilizzare linguaggio e presupposti ermeneutici estremi, che assegnano un volto fuorviato e un significato a volte del tutto sviato dell'evento di Cristo ("esoterico", "laico", "esistenziale", "parabolico"). In tale contesto si impongono alla teologia gli interrogativi seguenti: i presupposti ermeneutici applicati all'indagine critica dei racconti evangelici possono far emergere il loro valore veritativo? Di che tipo di verità disponiamo nei racconti? In altre parole, è possibile giustificare, secondo l'istanza ermeneutica, il fatto che i Vangeli, attraverso la loro forma narrativa, manifestino e documentino la vera storia di Gesù? E ancora, la predicazione e l'annuncio della Chiesa sono fedeli all'autentico messaggio di Gesù e spiegano il vero senso del suo mistero?

È in riferimento a questa problematica che occorre collocare il conte­nuto e la finalità del libro. Il tentativo degli autori, dunque, sembra essere orientato a recuperare - senza tralasciare allo stesso tempo gli esiti del me­todo storico - l'istanza ermeneutica. «L'esigenza ermeneutica viene da una doppia distanza da sormontare, non solamente tra l'avvenimento passato della rivelazione e il presente della nostra cultura, ma anche la distanza tra le testimonianze scritturistiche e gli avvenimenti storici che esse riferiscono»1. Tale istanza ci fa entrare nella natura e struttura della narrazione, nella sua funzione di comunicazione e di servizio alla verità storico - salvifica, e quindi nel suo vero e pieno significato. In questa linea gli autori del nostro volume adoperano la categoria di racconto, come indispensabile «mediazione» lin-guistico-ermeneutica che rende possibile il nostro accesso alla vicenda di Gesù.

Il libro contiene sei contributi. Nel primo, G. Angelini considera il racconto come istanza formale ed ermeneutica che rende accessibile a chi lo ascolta la notizia di Gesù (17). Il passaggio attraverso il racconto base è la via obbligata per re-stituire la vera vicenda di Gesù; tale racconto costituisce la risorsa decisiva a cui occorre fare ricorso per correggere gli approcci pre­giudiziali, che fraintendono l'autentico significato del volto di Gesù (19). Il racconto, tuttavia, «non può essere semplicisticamente identificato con un preteso discorso storiografico» (23) che, nel nome della scientificità e laicità della ricerca, pretenda di ricostruire il «vero volto di Gesù» il quale spesso diventa una rappresentazione o immaginazione post-moderna. Oggi il pen­siero ermeneutico tende piuttosto a mettere in rilievo lo stretto legame tra i fatti e il loro significato, perciò «il sapere a proposito di fatti umani è possi­bile sempre e solo a prezzo di porre la questione del loro senso, e dunque de­lla loro comprensione» (22). In tale contesto l'oggetto di indagine scientifica è costituito dai fatti significativi. In effetti, non rinunciando all'approccio analitico e metodico — proprio della storiografia — si evince la necessità di giustificare sul piano ermeneutico il dato originario nell'orizzonte della fede (11). In questa cornice l'accesso del credente alla figura storica di Gesù è possibile tramite il racconto base, in quanto articolazione ed espressione della memoria di Gesù, che, a sua volta, contiene e spiega anche il vero senso dell'accaduto. Tale racconto è indispensabile per un successivo an­nuncio. Spesso gli strati più importanti di tale racconto li troviamo appunto nell'annuncio kerygmatico finalizzato a interpellare l'uditore, per richiedere da lui una decisione nei confronti di Gesù. In effetti, il racconto base assu­me la qualità del nesso che lega storia effettiva di Gesù e fede in Lui (27). In continuità con tale problematica, F. G. Brambilla mette a tema la questio­ne del rapporto tra la pluralità delle narrazioni evangeliche e l'unicità della figura di Gesù. Egli si domanda, da una parte, se il vangelo quadriforme sia in grado di conservare l'unità dell'evento cristologico e, dall'altra, se la singolarità di Gesù non solo sopporti ma in qualche modo favorisca una pluralità di racconti. A tal punto FA. offre una risposta positiva afferman­do che il racconto pluriforme si presenta come «memoria interpretante» la storia di Gesù. In altri termini, i molti racconti rimandano all'unico Gesù e infatti la singolarità di Cristo si dà in una pluralità di narrazioni. In tal senso, ciò che diventa il principio di unità dell'evento di Gesù e diversità delle narra­zioni è la memoria Iesu (47-48). Paradossalmente, proprio la molteplicità delle narrazioni custodisce l'unità della memoria Iesu. La loro divergenza attesta l'unicità dell'evento di Gesù in quanto rende possibile l'accesso alla sua figura storica partendo da diversi punti di vista (92). I due successivi contribuiti, di Baugh e di Zambarbieri, evidenziano il contesto moderno in cui viene ripreso il racconto di Gesù, spesso esposto a vari fraintendi­menti. Il saggio di L. Baugh situa la tematica della narrazione evangelica entro la storia contemporanea dell'invenzione cinematografica, in cui essa assume la forma di un racconto «filmico» di Gesù. LA. tenta di evidenziare i momenti di convergenza e insieme di divergenza tra la narrazione antica, letteraria, canonica e quella recente, metaforico-cinematografica. A. Zam­barbieri presenta uno studio in cui mostra la varietà di narrazioni dedicate a Gesù dagli scrittori dell'Ottocento e del Novecento. In una serie di opere, classificabili come Vite di Gesù, l'evocazione della sua vicenda viene condo­tta molte volte mediante le esclusive risorse della razionalità, svincolata dalla fede della Chiesa (131). In esse emerge dunque un'immagine di Gesù sra­dicata dall'originale annuncio cristiano e inserita nella cornice del pensiero «laico», «secolare», «moderno» e perciò ricondotta «a proporzioni umane» (135). In effetti, la figura di Cristo viene prospettata secondo connotati del «predicatore di morale», dell'«esemplare di uomo», del «riformatore so­ciale o religioso», dell'«amico dei poveri», del «legislatore della tolleranza», deir«esemplare rivoluzionario», del «rivendicatore dei diritti umani» (129-135; 170). Gli ultimi due saggi si riferiscono al racconto narrato da Gesù stesso. P. R. Scalabrini, dopo aver dimostrato la possibilità di risalire alle parabole originarie di Gesù, mette in evidenza il principio ermeneutico se­condo cui esiste uno stretto nesso tra una parabola e il suo autore (il para-bolista). Su questa base le parabole di Gesù non si presentano come opere estetiche e letterarie, autonome rispetto a Lui in quanto autore (locutore), ma narrano simbolicamente la sua identità e raccontano metaforicamente la relazione tra Dio e gli uomini. Le parabole evangeliche svolgono quindi un ruolo di mediazione e di trasmissione della verità circa la persona di Gesù, del suo rapporto con Dio e della nostra relazione con Lui. Anzi, il racconto parabolico diventa un tramite intenzionale della autorivelazione di Gesù e del suo mistero, e, come tale, svolge nei confronti dell'ascoltatore una fun­zione dialogico-interpellativa (210). Il libro si conclude con l'intervento di R. Vignolo, il quale indaga il senso della formula «Figlio dell'Uomo». Essa è infatti la «figura preferita» (215) deh"autopresentazione di Gesù: la formula breve nella quale Gesù stesso «si racconta»; così si potrebbe anche dire di un «autoracconto» (autonarrazione). Nel suo studio l'A. si riferisce anche alla recente teoria «dell'identità narrativa» sviluppata da P. Ricoeur, il quale pos­tula di procedere dalla teoria del racconto a quella dell'azione, quindi dalla teoria dell'azione alla teoria dell'identità della persona (221-228). In effetti la forma del racconto, nella quale è articolato il senso dell'azione, consenti­rebbe di comprendere il nesso tra azione e identità del soggetto.

Riassumendo sinteticamente il contenuto del libro e il valore dei singoli saggi, si deve sottolineare il tentativo di proporre, a partire dall'ambito della parola, del linguaggio, ossia della comunicazione intra-umana, le categorie del racconto e della narrazione, quali strumenti elementari e necessari per la trasmissione della verità. L'ermeneutica odierna studia con tanta serietà queste categorie in quanto esse condizionano la ricerca scientifica orientata verso l'autentico sapere. In questa ottica il racconto diventa una mediazione indispensabile per accedere alla vera conoscenza di un evento, tenendo conto dei suoi due strati essenziali: storico (il fatto) ed ermeneutico (il senso). In tal modo al linguaggio umano e alle sue varie forme di espressione, come ad esempio la narrazione, viene restituito il carattere veritativo e cognitivo, che nel pensiero moderno non sempre trovava una giusta risonanza, in modo particolare quando si relativizzava o perfino negava ad esso la capacità di esprimere e comunicare la verità.

In effetti, questo libro è un'ulteriore esempio che manifesta il carattere interdisciplinare della teologia e la sua coraggiosa apertura a teorie proposte da altre scienze. Non poche volte il contributo proveniente da queste ultime può essere molto efficace nella ricerca teologica. In questo caso abbiamo visto quanto sia utile e raccomandabile, soprattutto per coloro che si occupano delle questioni cristologiche (sia degli aspetti storico-biblici, che di quelli teologico-fondamentali), l'assunzione di un serio riferimento a esiti recenti delle scienze ermeneutiche e della filosofia del linguaggio.

Potrebbe risultare utile, a nostro avviso, l'inserimento alla fine del libro di una conclusione, con la funzione di prospettare sinteticamente i risultati dei singoli contributi e il legame tra le varie tematiche, la cui scelta pare obbedire ad un determinato progetto metodologico. Tale conclusione potre­bbe esplicitare meglio la valenza e l'applicazione delle nuove e particolari im­postazioni analitiche dei saggi entro un ben determinato orizzonte teologico (cristologico, biblico, fondamentale, pastorale).

Il libro, tutto sommato, si presenta come un lavoro denso di contenuti, frutto di un'attenta ricerca scientifica.

 



 
 
 
 
 
 
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