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Miscellanea: Un inno « responsoriale » attribuito a S. Simeone Bar Sabba'e, Catholicòs di Seleucia-Ctesifonte, martire (341 d.C.)

 
 
 
Foto Mian Franca , Miscellanea: Un inno « responsoriale » attribuito a S. Simeone Bar Sabba'e, Catholicòs di Seleucia-Ctesifonte, martire (341 d.C.) , in Antonianum, 58/2-3 (1983) p. 474-478 .

Penso non inutile la pubblicazione della versione italiana di un canto ('unito) attribuito al santo catholicòs di Seleucia-Ctesifonte, Simeone Bar Sabba'è (341 d. C. (1), morto martire durante il regno di Sapore II di Persia. Il testo siriaco, con traduzione in buon latino, ma piuttosto libera, a opera dell'editore M. Kmosko, si trova in « Pa­trologia syriaca », II, coli. 1048-1051.

La versione italiana che qui segue è fatta secondo un modulo alquanto letterale, che ritengo particolarmente adatto per traduzioni da lingue orientali, tanto più nel caso che si tratti di poesia.

L'Oriente cristiano, per tanti motivi, ma principalmente perché fu la culla del cristianesimo e della nostra più profonda cultura oc­cidentale, è sempre stato oggetto di grande interesse, dai primordi dello sviluppo della sua Chiesa al Medioevo, all'Età moderna e con­temporanea.

Di esso, delle sue memorie, della sua storia, ci restano docu­menti scritti in diverse lingue, non solo semitiche. Molti testi sono in latino, classico e medioevale, oltre che in greco, classico e bizantino, in arabo e in lingue slave, poiché i popoli orientali slavi ricevettero il cristianesimo con la sua vitale civiltà principalmente dall'oriente bi­zantino. Ben volentieri quindi mi sono applicata allo studio di testi, quando riguardavano l'Oriente cristiano e i suoi sviluppi (intesi nel senso dell'Ortodossia, quindi anche dell'Ortodossia slava), sia che fossero in latino sia in altre linue, come ad es. il russo e il siriaco oc­cidentale (giacobita; maronita).

La presente versione non intende offrire proposte di natura lin­guistica, ma solo qualche osservazione sulla struttura liturgico-lette-raria del testo preso in esame, finora mai rilevata dagli studiosi di Oriente cristiano.

Il titolo dato dall'editore è Hymnus (siriaco: 'unito). Ma qualche lessicografo fa notare che la connessione etimologica del termine siriaco col verbo, che significa « rispondere » ('nò'), fa pensare anche a « responsorio », come se ne trovano nei riti d'Oriente e d'Occidente: nella forma più semplice, un intercalare del popolo, o di un coro, tra le « strofe », o versetti, proferiti, o cantati da un « solo », o un coro ristretto (sacerdoti?). Nella liturgia romana (Vaticano II; in lingue volgari) questo metodo di canto è stato introdotto con l'Alleluia («Lodate il Signore, o frasi analoghe, variamente sviluppate) dopo la prima lettura (Antico Testamento o Epistola). L'intercalare è come un'acclamazione — sempre la stessa o leggermente variata — facile da ritenere e ripetere. Credo che nel nostro caso il ritornello, come si osserva talvolta in « cantici » greco-bizantini (canoni e forme ana­loghe) sia da riconoscere nelle prime (nel nostro caso tre) parole dei versetti, che vengono eseguiti dall'a solo, o coro ristretto. Quanto ai versetti, che qui hanno la funzione di piccole strofe, si corrispondono in gruppi di tre, per vicendevole richiamo nella struttura e nella po­sizione di una sillaba tonica {-tari) alle volte interna (come « rima al mezzo »), alle volte alla fine del « versetto-strofa ». Nella presente traduzione sono in corsivo le parole che hanno la rima, o assonanza.

A parte stanno gli ultimi quattro versetti, che nell'insieme for­mano una grandiosa dossologia. Sono fatti, questi, che si riconoscono in forma più o meno simile in altri formulari rituali, affidati per l'e­secuzione ad alternanza di « a solo » (sacerdote, o i sacerdoti) e massa di popolo.

Tutti i versetti, ad eccezione degli ultimi quattro, che hanno struttura propria, iniziano con Gloria a te, a cui segue il vocativo. Ma l'intenzione di dare al componimento una struttura, applicando sche­mi in vicendevole richiamo, è ovvia dal primo sguardo.

Il primo intercalare che si rileva è Gloria a te, Signore; si potreb­be anche tradurre Lode ecc. Ma ritengo preferibile Gloria, che è il senso primario della parola del testo. La frase richiama fortemente quella bizantina all'Evangelo: Aò^a croi, Kupis, 8ó%a eroi; in latino (sen­za la ripetizione):  Gloria Ubi, Domine.

Do ai versetti la numerazione romana perché siano facilmente rilevabili la identità e varietà. Sono in corsivo le parole in assonanza:

A)   I. II. Ili

I. Gloria a te, Signore, che ci creasti, senza intercessione (*), dal principio.

[Rit. Gloria a te, Signore] II. Gloria a te, Signore, che ci chiamasti tua immagine viva e tua somiglianza.

[Rit. Gloria a te, come sopra, e così di seguito} III. Gloria a te, Signore, che ci facesti grandi con la libertà e con la ragione.

B)   IV. V. VI

I versetti IV-VI si rivolgono distintamente alle tre persone divine, ricordando il benefico particolare attribuito a ognuna nell'economia soteriologica cristiana. La rima è alla fine dei versetti. IV. Gloria a te, Padre giusto, che volesti per il tuo amore crearci (3). V. Gloria a te, Figlio santo, che rivestisti la nostra carne e ci redi­mesti. VI:  Gloria a te, Spirito vivo, che di doni ci arricchisti.

C)     VII. Vili. IX

Nei versetti VII-IX ritorna l'invocazione al Signore, come nei primi tre.

VII. Gloria a te, Signore, che ci radunasti (liberi) dall'errore degli idoli.

VIII. Gloria a te, Signore, che ci conducesti alla conoscenza della tua divinità

IX.  Gloria a te, Signore, che ci facesti strumenti  (4)  ragionevoli per il tuo servizio (5).

D) X. XI. XII

Nel gruppo X-XII gli inizi dei versetti sono come in I-III e VI-IX. L'assonanza è di nuovo retrocessa prima della fine dei versetti.

X.     Gloria a te, Signore, che ci invitasti all'abitazione splendida del cielo.

XI. Gloria a te, Signore, che ci insegnasti gli ordini dei celestiali (6).

XII. Gloria a te, Signore, che ci facesti degni di glorificarti con gli angeli.

E) XIII. XIV - XV. XVI

Gli ultimi quattro versetti hanno una struttura particolare, dila­tati come in una immensa dossologia: sia gloria dall'universalità degli uomini (« bocche ») alle tre persone divine, menzionate con i rispet­tivi nomi (v. XIII). Questa universalità è ora vista negli « Esseri » (v. XIV) del mondo superno e del mondo inferiore, quelli del cielo e quelli di questa terra.

Sono dunque due i mondi e nel versetto XV essi sono invitati a dare gloria a Dio, come in una universalità di creature, spirituali e corporee, gli Angeli e gli uomini. Alla fine (v. XVI) l'universalità è vista nello scorrere di tutti i secoli: con l'universalità delle creature si associ quella, per così dire, cronologica, dello scorrere fuori del tempo, fino all'eternità:

XIII. Da tutte le bocche gloria a te, Padre e Figlio e Spirito di santità.

XIV. Dai Superiori a (quelli) inferiori gloria alla tua Trinità.

XV. In ambedue i mondi gloria a te, dagli esseri spirituali e (quelli) corporali.

XVI. Da un secolo fino all'altro secolo e al secolo dei secoli. Amen.

Questo componimento, a prima vista tanto semplice, è in realtà una celebrazione ordinata, potremmo quasi dire una teologia poetiz-zata. L'autore parte dall'osservazione del primo atto della divina bontà, quando in principio (come nella Bibbia) crea l'universo, non da altro mosso che dal suo amore crea l'uomo a sua immagine e somi­glianza e lo colloca in una posizione di privilegio, per il dono della libertà e dell'intelligenza (I. II. III.).

Il Padre, giusto, per amore ha creato, il Figlio ha redento, fa­cendosi uomo, lo Spirito Santo ha arricchito l'uomo con i suoi doni, le sue grazie (IV. V. VI).

La storia dell'umanità si sviluppa: l'uomo inciampa nell'idola­tria, che è anzitutto errore, ignoranza. Il riscatto divino fa dell'uomo l'essere che nell'universo può onorare Dio nel culto: un «servizio» che fa di lui un signore (VII. VIII. IX).

Infine Dio ha preparato per l'uomo lo splendore dell'abitazione del cielo, dove gli ordini angelici, a cui egli si associerà, danno gloria a Dio (X. XI. XII).

Nella menzione della glorificazione universale, da parte di tutti gli uomini, dei cori angelici, dei mondi, dei secoli, il pensiero scon­fina nell'eternità (XIII. XIV. XV. XVI).

Viene spontaneo alla mente il Cantico delle creature di S. Fran­cesco: Laudato sii, mi Signore. Non che vi sia un diretto rapporto: ma certo tra questo antico « inno » dell'Oriente cristiano e la celebra­zione di Frate Francesco, che tanto amò l'Oriente, si avverte una con­vergenza di spirito mistico, per cui la glorificazione della divina po­tenza, sapienza e bontà si ritrova nelle parole dell'uomo, il quale per tutte le creature rappresenta colui che è fatto degno di tributare a Dio la lode e riconoscerne la gloria.



 
 
 
 
 
 
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