Nobile Marco ,
Recensione: MARIO CIMOSA, Proverbi,
in
Antonianum, 82/4 (2007) p. 783-784
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La collana che le edizioni Paoline di Milano, nella persona di Sr. Olimpia Cavallo, stanno curando e pubblicando da tempo, “I libri biblici”, una serie di commenti ai singoli libri della Bibbia, si arricchisce di un nuovo volume per la serie del “Primo Testamento” (come si è voluto denominare l’Antico Testamento in omaggio al dialogo ebraico-cristiano). L’autore del presente commentario al libro dei Proverbi è uno dei più noti studiosi italiani nel campo veterotestamentario, particolarmente per quanto riguarda problematiche testuali legate alla traduzione greca dei LXX.
I Proverbi sono un libro importante dell’AT, la parte più rappresentativa, anche se non l’unica, della cosiddetta letteratura sapienziale. Nella loro composizione attuale costituiscono una raccolta di collezioni minori nel numero di sette (Pro 1-9, la parte più recente inserita dal redattore finale; 10,1-22,1-16; 22,17-24,22; 24,23-34; 25-29; 30,1-33; 31,1-31), che abbracciano un lungo arco di tempo che va dal secondo millennio a.C. alla fine del V sec. a.C. Il libro raccoglie sotto forma di mešālîm, tradotti con “proverbi”, cioè massime, aforismi, detti, tutta una concezione del mondo e della vita, che parte da lontano, da antiche osservazioni della natura, degli animali, degli uomini, delle loro esperienze e azioni, che via via si trasformano in orientamenti di condotta, consigli pedagogici, programmi di formazione delle classi dirigenti, a somiglianza delle consimili raccolte della letteratura egiziana, da cui molto Israele ha attinto. Tali programmi di condotta sono talora dei veri e propri prontuari, che educano il futuro funzionario a saper vivere con equilibrio e self-control nella società. Naturalmente, al momento in cui questi proverbi diventano dei vademecum di censo, non si deve ritenere che i singoli insegnamenti siano frutto immediato di una cultura “classista”, bensì la raccolta estrema e sistematica di una più antica saggezza che vale per ogni individuo. Certo, il portato di questi proverbi ha come sfondo una società arcaica, con valori legati alle sue acquisizioni di civiltà; e purtuttavia, nella permanenza plurisecolare di alcuni valori attinenti alla giustizia sociale, all’equità, all’onestà e alla lealtà, i Proverbi costituiscono ancora oggi un libro che parla alla coscienza, ancor prima di considerarli un libro ispirato quale essi sono. Tutto questo Cimosa mette in risalto con un pluriforme strumentario che va dalla sua competenza filologica, specialmente, come si è detto nel campo della LXX, a cui dedica una particolare attenzione sia nell’introduzione che nella traduzione e nel commento, ma anche nella parte finale dedicata agli aspetti teologici del libro dei Proverbi, fino alla sua sensibilità teologica e nel contempo umana, che gli permette di scandagliare nel tessuto testuale e di scovare le perle di evangelica memoria. Il lavoro del Cimosa è immenso e contribuisce a registrare una caratteristica di fondo di questa collana che si va sempre più perfezionando: se all’inizio essa voleva, come vuole essere ancora, di alta divulgazione, in realtà i commentari che si stanno susseguendo non fanno brutta figura accanto agli studi specialistici. Un’altra qualità del commento del Cimosa è quello di essere attento alla tradizione patristica: molte sono le citazioni dei Padri della Chiesa. A tutto questo bisogna aggiungere quella preoccupazione pedagogica che deriva al curatore dal suo carisma salesiano. Egli dedica molte pagine a questo aspetto, che comunque è sempre presente qua e là, nell’intento di rendere funzionale il suo lavoro e di non farne semplicemente un’opera di erudizione. Per finire, il presente commento è arricchito da una nutrita serie di appendici: un lessico sapienziale, una bibliografia ragionata e una bibliografia generale; a queste sezioni vanno aggiunti gl’indici veri e propri che riguardano gli autori, l’ambito filologico (elenco dei termini delle varie lingue antiche) e le citazioni bibliche ed extrabibliche. Proprio la ricchezza dell’operazione redazionale è all’origine di qualche ripetitività e di qualche disattenzione, di cui segnaliamo solo due esempi: a p. 14 lascia perplessi la frase: “In Egitto la forma più comune si chiama Istruzioni di Amenemope (dalla IV dinastia fino all’epoca tolemaica) e si è sviluppata nel mondo dei faraoni”. Forse sarebbe bastata la sola parola “istruzioni” per indicare il genere. A p. 147, poi, là dove si spiega il significato numerico del nome di Salomone: 300+30+40+30, va sostituita l’ultima cifra con 5, corrispondente alla lettera ebraica he; in tal modo si arriva al numero 375, che è quello del totale dei proverbi della collezione. Solo un piccolissimo neo in un’opera di grande valore.
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