Fiorentino Francesco ,
Recensione: A. CORBINI, La teoria della scienza nel XIII secolo. I commenti agli Analitici Secondi,
in
Antonianum, 82/4 (2007) p. 786-788
.
Questo libro si muove in un ambito di studi poco frequentato, quello dell’epistemologia medievale. Infatti, sono note parecchie pubblicazioni sulla storia della scienza medievale e sui suoi rapporti con la Rivoluzione scientifica moderna; ma non sono altrettanto numerose le pubblicazioni che indagano la teoria della scienza medievale, ossia la concezione che i pensatori medievali avevano della scienza, il modo in cui essi intendevano i protocolli, le procedure e le pratiche scientifiche.
Il libro compie questa importante operazione secondo una prospettiva specifica, quella dei commenti agli Analythica Posteriora, in cui Aristotele espone la sua teoria della scienza e della dimostrazione rigorosa e che diviene fondamentale per la cultura medio-latina scolastica. Corbini analizza i commenti di Roberto Grossatesta, Roberto Kilwardby, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Egidio Romano, Rodolfo il Bretone, Simone di Faversham, Gerardo di Nogent, Gerardo di Douai e Walter Burley – oltrechè le opere annesse - coprendo un arco temporale compreso tra il primo quarto del secolo XIII e i primi anni del secolo XIV.
Il recensore annota che tale prospettiva non è l’unica che possa essere adottata per uno studio di questo tipo. Infatti, vi sono almeno altre tre linee principali di sviluppo del pensiero epistemologico medievale; ma queste linee valgono a livello teologico. Si tratta 1) dei Prologhi ai commentari sentenziari, nei quali i teologi medievali – a partire dall’ultimo quarto del secolo XIII – definiscono la nozione di scienza, le sue condizioni ed i rapporti tra le diverse scienze, per determinare il valore scientifico della teologia, 2) delle questioni centrali del secondo libro di tali commenti, in cui i teologi medievali sono soliti interrogarsi sul rapporto tra la scienza e la fede; 3) della letteratura quodlibetale.
Il libro di Corbini si dipana in quattro capitoli, che trattano rispettivamente della necessità della conoscenza scientifica, dei principi della scienza, del genus subiectum e delle relazioni tra le scienze, della definizione.
L’autore, particolarmente sensibile alle riflessioni dei commentatori contemporanei, conclude che tutti i commentatori medievali da lui considerati risentono fortemente dell'influenza di Grossatesta. A partire dal commento di Kilwardby si avverte l'influsso del metodo didattico della lectio e risulta molto minore la presenza delle digressioni, che portino ad allontanarsi dai principali nodi concettuali del testo originale. Sebbene trascurata, l'importanza del commento di Kilwardby nella tradizione esegetica degli Analytica Posteriora é notevole. Spesso Kilwardby tende a riprendere la lettura grossatestiana; ma in molti casi introduce elementi di novità, che vengono in seguito recepiti da Alberto – sovente anche testualmente – e che attraverso l'opera di quest'ultimo sono veicolati verso la tradizione successiva. Talvolta tali elementi di novità sono centrali nella discussione, come accade a proposito dei generi delle scienze in rapporto di subordinazione e del concetto di aptitudo della causa nella dimostrazione di ciò che avviene ut frequenter.
Corbini concorda con S. Ebbesen nel reputare il commento di Alberto poco chiaro e privo di sistematicità e di vigore costruttivo a causa di una competenza non del tutto solida nel campo logico. Infatti, sovente Alberto formula spunti interessanti, rivisitati da Tommaso ed Egidio; ma sono questi ultimi ad inserire tali spunti in un organico e coerente sistema di pensiero; invece Alberto, dopo aver intuito la presenza di un problema nel testo aristotelico o aver indicato incidentalmente la via della soluzione, nella maggioranza dei casi non sembra giungere ad una penetrazione del significato del testo aristotelico migliore rispetto a quella dei suoi predecessori, senza suggerire nuovi sviluppi nella concezione della scienza.
Secondo l’autore, il discorso su Tommaso é ben diverso. Sebbene in campo logico la sua importanza storica non sia comparabile con quella da lui assunta in altri ambiti del pensiero, l’autore non condivide i giudizi di scarsa originalità spesso pronunciati. Intendendo per originalità “la proposta di idee capaci di modificare profondamente le riflessioni su un determinato tema”, l’originalità tommasiana sulla teoria della scienza - a giudizio di Corbini - è inferiore a quella di Grossatesta o di Egidio. Tuttavia, ciò non significa che Tommaso si limiti a parafrasare la lettura del testo, riprendendo le ipotesi di lettura formulate da altri; al contrario, l’autore sostiene che l’Aquinate spesso fa scelte interpretative, che non sono riprese da pensatori precedenti e che hanno dato un certo contributo all’evoluzione di alcuni aspetti della teoria della scienza, come nel caso del terzo modo della predicazione essenziale e della dimostrazione degli eventi ut frequenter. Lo stesso autore riconosce che la concezione tommasiana sul medium demonstrationis non è accolta da Egidio.
Il commento egidiano si segnala rispetto agli altri per il suo carattere sintetico della tradizione precedente. Ad esempio, Egidio é l’unico dei commentatori considerati a citare il commento medio di Averroè, che era stato tradotto attorno al 1230 da Guglielmo di Luna e che non sembra aver avuto un’importanza rilevante in alcun altro commentatore considerato.
Secondo l’autore, il commento di Egidio sembra mirare all’assimilazione ed alla presentazione di quanto di meglio era possibile trarre da tutta la tradizione interpretativa precedente, ampliando ed integrando le idee di Tommaso con le letture di Grossatesta - sulla natura dell’universale, di Kilwardby a riguardo della dimostrazione degli eventi naturali ex habitudine, e di Alberto in riferimento alla subordinazione parziale ed alla predicazione essenziale.
Per Corbini, il commento di Giacomo di Nogent si limita a riprendere Tommaso. Gerardo di Douai, pur essendo molto rapido sui punti marginali, si segnala per la maggiore originalità, ad esempio sul quarto modo della predicazione essenziale. Il commento di Rodolfo sul finire del secolo XIII non sembra apportare notevoli elementi di novità. Rodolfo accosta il commento di Egidio a quello di Tommaso.
Ad avviso del recensore, la strutturazione e lo svolgimento dei temi restano determinati dalla scelta della prospettiva e dei commentatori trattati. Infatti, le tematiche relative agli elementi ed ai contenuti della dimostrazione scientifica sono sviscerate, ma rimangono sostanzialmente in ombra quelle concernenti le metodologie di validazione del procedimento dimostrativo ed il ruolo dell’intelletto nell’attribuzione del valore logico dei principi e delle conclusioni, tematiche che divengono centrali nel secolo XIV. Inoltre, il ruolo di Alberto appare meritevole di una rivalutazione non tanto dal lato meramente esegetico, quanto da quello innovativo nel forgiare strumenti speculativi in grado di modificare il quadro teoretico pregresso e di condizionare positivamente quello successivo.
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