Orlando Luigi ,
Libri nostri: JORGE HUMBERTO MORALES RÍOS, El Espίritu Santo En San Marcos. Texto Y Contexto,
in
Antonianum, 81/1 (2006) p. 191-197
.
Il Prof. Morales, docente di esegesi neotestamentaria presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, pubblica la sua tesi di dottorato in Scienze Bibliche. Il moderatore della tesi è l’autorevole Prof. Klemens Stock S.J. La tesi è stata discussa il 20 maggio 2003. È la prima volta che il tema dello Spirito Santo (SpS) nel vangelo di Mc viene affrontato in modo organico e puntuale in tutti e sei i testi in cui è presente. Tentativi parziali si sono registrati in passato con i contributi, per esempio, di J.E. Yates e, in particolare, di M.R. Mansfield con la sua opera “Spirit and Gospel” in Mark, Peabody 1987, di cui l’autore apprezza il contributo, ma segnala anche alcuni interrogativi. Mansfield trascura il testo di Mc 12,36 che invece il Prof. Morales analizza e lo inserisce armonicamente nel percorso pneumatologico marciano.
L’autore affronta con il metodo sincronico e contestuale i sei testi espliciti 1,8b.10.12; 3,29; 12,36; 13,11 in cui ricorre lo SpS nel vangelo di Mc. La metodologia, applicata con rigorosità scientifica, risolve essenzialmente i problemi emersi dal testo a partire da Marco e in Marco. Il lavoro si divide fondamentalmente in due parti: la prima analizza Mc 1,1-13; la seconda esamina le pericopi del “corpo” del racconto (1,14-16,8). Conclude il lavoro un prezioso contributo, che raccoglie la linea di connessione tra i diversi riferimenti allo SpS e una serie di sei enunciati che puntualizzano l’icona dello SpS nell’opera marciana.
Il primo capitolo presenta un quadro generale dello SpS in Mc: le statistiche e il contesto in cui ricorre lo SpS.
L’autore presenta la pericope di Mc 1,1-13 nei capitoli II, III, IV e V. Nel secondo si tratta delle questioni preliminari: estensione e organizzazione del testo; nel terzo analizza il battesimo nello SpS (1,7-8); nel quarto esamina lo Spirito e gli effetti postbattesimali (Mc 1,9-11); nel quinto studia lo Spirito nella determinazione dell’agire di Gesù (Mc 1,12-13). Questa analisi comprende le pp. 39-170.
Presentiamo i contenuti di questi capitoli.
“L’inizio di Mc” (1,1-13):
L’importanza dell’“inizio”: dal punto di vista letterario, “l’inizio” offre le condizioni minime di lettura dell’intera opera e incomincia qualcosa destinata a continuare. “L’inizio”, dunque, è fondamentale. Nella scelta di Mc, nelle chiavi da lui offerte e nell’avvio della sua opera, il posto e la portata dello SpS non sembrano insignificanti.
Il posto centrale dello SpS nell’“inizio” di Mc: la sua centralità non proviene soltanto dalle 3 volte in cui compare nell’ “inizio”, ma soprattutto perché costituisce il vertice della proclamazione di Giovanni (1,8b) e lo si trova nei due testi riservati a Gesù (1,9-11.12-13). Lo SpS è uno dei pochi elementi che danno unità all’ “inizio”.
La sequenza narrativa dell’“inizio”: esprime con brevità di parole la linea centrale dell’“inizio”, ed è giusto dire: l’annunciato che deve venire prossimamente (1,7), è arrivato (1,9; cf. 1,14). Nel disegno di Dio (1,2) si trova la ragione della presenza e missione di Giovanni (1,3.4-8) e anche quella dell’invio dello stesso Gesù. L’importanza della proclamazione di Giovanni contenuta nei vv. 7-8 è indiscussa: all’annuncio del prossimo arrivo di uno più forte di lui si collega la missione più esplicita che “l’inizio” presenta di tale personaggio: “vi battezzerà nello SpS” (1,8b). È improbabile che venga affermato dalla narrazione di Mc il compimento dell’arrivo di Gesù e, al contempo, negato o, per lo meno, taciuto quello della profezia di Giovanni in 1,8b. Subito dopo questo versetto, compaiono sullo scenario della storia Gesù e lo SpS in due momenti fondamentali: la teofania postbattesimale (1,10-11) e il forte influsso che esercita lo SpS in Gesù (1,12).
Ma, nella sequenza narrativa, alcuni aspetti non sono evidenti: come è arrivato Gesù ad identificarsi con l’annunciato da Giovanni e con la missione a lui attribuita in 1,8b? Può affermarsi che l’operato di Gesù, a partire da 1,14-15, coincida con tale missione? Da parte degli uomini con cui entrò in contatto, Gesù fu identificato con l’annunciato da Giovanni?
La linea basilare dello Spirito nell’“inizio”: l’interpretazione di Mc 1,8b è molto dibattuta e le posizioni fra gli studiosi sono, in un certo senso, inconciliabili. Ci sono dei buoni motivi per ritenere che, in virtù del senso metaforico di “battezzare” e “battesimo” in alcuni passi marciani, tale attività si riferisca in Mc a tutto l’arco del tempo escatologico che si apre con la missione di Gesù (1,14-15) e si chiude con il suo ritorno finale (13,26). L’irruzione del kairos definitivo è inseparabile dalla relazione di Gesù con lo SpS. Il cambio di angolazione che introduce l’evento pasquale in tale linea, dividendola in due segmenti, non distrugge il senso basilare di tale battesimo: l’opera santificatrice compiuta da Gesù si prolunga tramite i suoi inviati, che agiscono come suoi rappresentanti.
Mc 1,8b, primo riferimento allo SpS in Mc, ha uno status privilegiato: costituisce la cornice più ampia possibile in senso temporale e contenutistico. All’interno di quest’arco temporale trovano la loro funzione tutte le altre citazioni sullo SpS. Questo versetto annuncia il rapporto triangolare “Gesù – SpS - uomini” e prelude al suo sviluppo narrativo.
Sembrerebbe un’ovvietà voler dimostrare l’importanza della cosiddetta pericope del battesimo (Mc 1,9-11). Ma, neppure qui le acque sono tranquille nell’interpretazione dei particolari. Mc 1,10 (la discesa dello SpS su Gesù) è il presupposto fondamentale per la realizzazione della missione a lui assegnata in 1,8b. È un fatto non trascurabile che, tanto Gesù come lo Spirito, appaiono sul palcoscenico della storia raccontata nella stessa pericope, proprio come i due attori che, secondo alcuni testi dell’AT sono da vincolare all’arrivo dei tempi escatologici. Lo SpS e Gesù costituiscono un’unità che sarà vigorosamente affermata e messa in azione, ma anche energicamente contestata. Al nesso santo e santificatore tra Gesù e lo SpS ne segue un’altro ugualmente decisivo: nella stessa pericope appare anche, per la prima volta nella storia raccontata, il tema di Gesù Figlio di Dio (1,11). La sequenza 1,10 e 1,11 e l’unità che dà loro il coinvolgimento di Gesù in entrambi i versetti suggerisce, da una parte, l’inseparabilità tra il possesso dello Spirito e la condizione di Figlio; dall’altra, che l’accettazione o il rifiuto di uno dei due compromette in modo inequivocabile l’altro. La forza impellente dello Spirito porta Gesù nel deserto. Lo SpS non è assente nel modo in cui si manifesta il rapporto di Gesù con il mondo delle creature sia spirituali che terrene. Lo SpS è con Gesù in una tappa determinante per il suo presente ma anche per il suo futuro.
Un’altro aspetto della linea di presentazione dello Spirito nell’ “inizio” viene dal nesso tra il “soggiorno di Gesù nel deserto” e la teofania posbattesimale. Il contenuto della visione (discesa dello Spirito) e dell’audizione (la sua condizione di Figlio) richiede un tempo di assimilazione. Il cambiamento operato in Gesù, osservato da quelli che l’hanno visto lasciare Nazaret e poi ritornarvi (cf. 6,1-3), si spiega a partire da quanto è accaduto a lui subito dopo il battesimo. Gesù di Nazaret apprende i suoi legami con le realtà divine (vv. 10-11) e con il mondo delle creature (v. 13).
Ma c’è ancora di più: la relazione di quanto accade in 1,9-13 con la sua missione. Nell’appropriarsi della teofania, emerge la domanda sull’identificazione di Gesù con quanto annunciato da Giovanni su colui che sta per venire e che ha la missione di battezzare nello SpS. Gesù capisce che la sua missione tra gli uomini è collegata con lo Spirito, nel duplice senso che lo Spirito è inseparabile dal suo agire e che lo scopo del suo ministero è quello di far partecipi gli uomini di tale legame santo. La forma in cui si chiude “l’inizio” è assai suggestiva: Gesù spinto dallo Spirito nel deserto. Nessun’altra azione dello Spirito in Gesù viene presentata posteriormente. Quanto accadrà dopo è in rapporto con questa spinta iniziale e i due poli essenziali contenuti in 1,13, riconoscenza e opposizione, sono quelli che poi troverà Gesù nello svolgimento della sua missione.
La seconda parte prende in considerazione lo Spirito Santo nel corpo del racconto di Mc 1,14-16,8 e comprende il capitolo VI, che tratta la bestemmia contro lo SpS (Mc 3,28-30); il capitolo VII, che analizza ciò che Davide dice nello SpS (Mc 12,35-37) e il capitolo VIII, che esamina lo SpS nella missione della comunità (Mc 13,9-13). Questa seconda parte comprende le pp. 173-270.
Presentiamo i contenuti di questa seconda parte.
Alcuni aspetti generali: nel “corpo del racconto”, l’unico che parla dello Spirito è Gesù e lo fa in relazione ad aspetti chiavi della sua persona e opera (3,29; 12,36) oppure della comunità postpasquale (13,11). Si tratta di sviluppi di fondamentale importanza di quanto è già stato detto nell’“inizio”, senza esaurire la loro portata. I testi delle due parti centrali del racconto (3,29; 12,36 e 13,11) riprendono le due tappe del tempo escatologico: il periodo prepasquale, con al centro la missione di Gesù (3,22-30), e quello che segue alla sua risurrezione (postpasquale), incentrato sulla missione dei discepoli (13,9-13); dal punto di vista temporale ,12,35-37 occupa una posizione speciale.
L’aspetto di verifica: i temi centrali sullo SpS rilevati nell’“inizio” convergono in 3,22-30 per essere sottoposti ad esame e, quindi, al confronto. La negazione del nesso di Gesù con lo Spirito e l’attribuzione a Gesù di un legame satanico, al quale si dovrebbe ascrivere tanto la sua autorità quanto la realizzazione degli esorcismi – aspetti che configurano la bestemmia contro lo SpS – sono agli antipodi di quanto “l’inizio” ha stabilito. 1,1-13 ha determinato che Gesù possiede lo SpS e ha l’autorità del Figlio di Dio che lo sostiene nella lotta contro la potenza demoniaca. La gravità dell’accusa degli Scribi ha, perciò conseguenze teologiche, cristologiche e pneumatologiche: tutta l’opera di Gesù non sarebbe di santificazione ma satanica; per questo, non avrebbe la capacità di svolgere la missione a lui attribuita in 1,8b. Il testo sottolinea che la posizione nei confronti di Gesù implica necessariamente una presa di posizione a favore o contro lo SpS. Nella sconfitta di Satana da parte di Gesù, lo stesso SpS ha un posto essenziale da collegare con la vittoria sul “forte” (3,27; cf. 1,7). Nuova è la conseguenza della bestemmia: chi, rimanendo nella sua posizione, demonizza Gesù e perverte la santità dello Spirito, segna l’autoprivazione del perdono e chiude per sempre l’accesso alla salvezza.
Messianismo e filiazione di Gesù: una posizione speciale occupa 12,36. L’esperienza pneumatica di Davide, in qualche modo precede il tempo escatologico ma, a causa del suo inserimento nel racconto, punta verso di esso e ne chiarisce un suo aspetto essenziale: la condizione di Gesù come agente definitivo. I suoi rapporti con gli uomini (identità messianica) non dipendono dalla sua provenienza umana (figlio di Davide) ma dalla sua posizione di uguaglianza e intimità con Dio (è il suo Figlio). Non è senza contatto 12,35-37 con il precedente riferimento in 3,22-30. In ambedue le pericopi compaiano gli Scribi e i due testi rispondono all’autorità divina dell’agire di Gesù. Inoltre, 1,10-11 e 12,35-37 hanno in comune il tema dello SpS in connessione con l’identità di Gesù, ma con un cambio di accentuazione. In 1,10-11 è espressamente affermata la filiazione divina di Gesù, la sua condizione messianica viene ricavata dai presunti testi dell’AT adoperati in 1,10. In 12,35-37, invece, si dà la situazione inversa: l’affermazione messianica è esplicita e quella della filiazione divina viene dedotta sia dall’argomentazione di Gesù in tale testo, quanto dal filo che unisce 12,35-37 con il contesto prossimo (11,27-12,12) e pure con quello più ampio (8,27-9,8; 14,61-62; 15,1-39). In un senso 12,36 è unico in Mc: Gesù compie “nello SpS” quanto è stato su di lui profetato “nello SpS”.
La missione del discepolato nel periodo postpasquale (13,11): la profezia di Gesù per questo segmento temporale dà continuità alla presenza dello SpS. I discepoli, come rappresentanti di Gesù, prolungano nella storia sino alla fine dei tempi la missione da lui compiuta. Malgrado l’opposizione degli uomini a livello macrosociale (autorità) e microsociale (famiglia), lo SpS è sostegno della proclamazione postpasquale. Non è esagerato dire che l’opposizione incontrata dai discepoli è analoga a quella vissuta da Gesù durante lo svolgimento del suo ministero (cf. 3,20-35). 13,11 offre degli elementi nuovi. Da una parte, l’azione sui discepoli attribuita allo SpS viene fortemente accentuata senza annullare o diminuire la loro responsabilità; dall’altra, è l’unico testo di Mc a collegare esplicitamente la proclamazione del Vangelo e lo SpS. La testimonianza dei discepoli e le parole dello Spirito sono da riferire al contenuto del Vangelo.
Al termine di questo percorso, l’autore raccoglie (pp. 273-305) in una visione unitaria la linea di connessione tra i diversi riferimenti espliciti allo SpS ed indica come l’arco della storia, aperto con l’arrivo di Gesù (1,9.14) e destinato a chiudersi con il suo ritorno finale (13,26-27), è segnato dalla presenza dello SpS. Tale aspetto è evidenziato dal primo testo (1,8), secondo il quale la missione di Gesù –continuata poi dopo la Pasqua dai discepoli inviati nel suo nome e con la sua autorità– è quella di «battezzare nello SpS». La condizione di possibilità di tale attività di Gesù si trova nell’esperienza del possesso dello SpS e del suo legame filiale (1,10-11), aspetti che vengono subito dopo sottomessi all’assimilazione personale di Gesù nel suo soggiorno nel deserto (1,12-13). Il corpo della narrazione offre tre diverse accentuazioni, sempre nelle parole di Gesù e in un contesto di conflitto: la verifica nell’attività di Gesù (3,22-30) di quanto ha affermato “l’inizio”; la domanda riguardante la provenienza di Gesù Messia (12,35-37); l’azione dello SpS nella proclamazione universale del Vangelo da parte dei discepoli (13,9-13). I diversi temi appartenenti a ciascuno dei singoli testi si inseriscono in questa linea basilare e la arricchiscono.
Prima di concludere, l’autore dipinge il profilo dello SpS (pp. 307-319) nell’opera marciana, proponendo sedici enunciati organizzati in sei nuclei. Ogni enunciato viene illustrato sulla base dei testi espliciti sullo SpS in Mc e dei loro contesti.
Aspetti generali dello SpS e caratteristiche a lui legate: (1) le caratteristiche attribuite allo SpS (p.e. santità/santificazione; potenza, influsso, ambiente; ecc.) non cancellano ma presuppongono il suo carattere personale; (2) quanto si coglie dello SpS è sempre collegato con Gesù in modo diretto (1,8b.10.12; 3,29) o indiretto (12,36; 13,11); (3) la diversità tematica si può precisare secondo le seguenti relazioni:
Lo SpS e Dio: (4) sia la condizione paterna di Dio, sia il suo potere e la sua gloria, condivisi da Gesù, sono conosciuti nell’ambito creato dallo SpS (1,10-11; 12,36); (5) la posizione degli uomini a favore di Gesù o contro Gesù porta con sé la presa di posizione a favore o contro il rapporto tra Dio e lo SpS (3,22-30; 13,9-13).
Lo SpS e la storia: (6) i riferimenti allo SpS da 1,10 fino a 13,11 stabiliscono l’arco della storia (dalla comparsa di Gesù fino al suo ritorno finale); (7) lo SpS è parte costitutiva dell’inaugurazione e realizzazione del tempo escatologico, nel quale si mostra l’effetto salvifico della sua presenza; tali conseguenze non sono da separare dall’atteggiamento degli uomini di fronte a Gesù.
Lo SpS e Gesù: (8) la presenza dello SpS in Gesù è al servizio della comprensione di Gesù; (9) non è lo SpS a proclamare l’identità di Gesù, ma questa è stata messa in relazione con lo SpS, indicando in questo modo il legame tra identità di Gesù e SpS; (10) ugualmente si deve affermare che il nesso dell’attività svolta da Gesù è inseparabile dallo SpS. Questo fatto, confermato da 3,22-30, si prolunga nel periodo postpasquale tramite l’attività dei discepoli; (11) nel conflitto vissuto da Gesù appare coinvolto lo SpS (1,12-13; 3,22-30; 12,35-37) così come lo è pure in quello dei discepoli dopo la Pasqua (13,9-13); (12) lo SpS ha un ruolo di primo piano nel processo di conoscenza sia di Gesù (1,9-13: assimilazione personale della sua identità, missione e destino), sia su Gesù (3,22-30; 12,35-37). Lo SpS ha valore di “chiave epistemologica”.
Lo SpS e gli uomini a tre livelli (gente, discepoli, avversari): (13): la gente, già coinvolta in 1,8, riceve i frutti della missione di Gesù svoltasi nella potenza dello SpS e da Gesù ascolta la parola sullo stesso SpS (3,20. 29; 12,36-37a). La gente, sebbene conservi il suo posto a livello della narrazione (cf. 1,8 con 3,7-8), è anche destinataria dell’attività postpasquale; (14) la relazione SpS – discepoli viene sottolineata con forza da 13,9-13; (15) in ambedue i segmenti del tempo escatologico gli avversari si mostrano attivi. Gli Scribi non una prendono posizione esplicita contro lo SpS, ma essa viene ricavata dal loro conflitto con Gesù: non riconoscono né il suo nesso con lo SpS né la sua opera di santificazione (3,22-30; 12,35-37); le autorità d’Israele e delle nazioni, in modo simile a quanto fecero con Gesù, prendono posizione assieme ai membri della famiglia contro i discepoli, contesto in cui l’attività dello SpS si manifesta preziosa (13,9-13).
Lo SpS e la realtà demoniaca: (16) il racconto non presenta il confronto diretto tra lo SpS e la realtà demoniaca. Il loro antagonismo, già evidente dalla natura propria di ciascuna delle due entità, è espresso dall’azione di Gesù. Questi nella sua attività di distruzione della realtà satanica (cf. 1,24; 3,27), libera gli uomini dal suo possesso, rivela la portata della potenza dello SpS presente e operante in lui e per mezzo di lui (1,12-13; 3,22-30).
Conclusione: alla fine di questo interessante cammino, diventa ancora più chiaro che questo importante tema marciano è stato alquanto trascurato. Lo SpS è decisivo per la comprensione dell’identità personale di Gesù (come Messia e Figlio di Dio), della sua missione e dell’attività postpasquale della comunità. Lo SpS ha, quindi, una collocazione precisa all’origine e al fondamento del «vangelo di Gesù, il Cristo e il Figlio di Dio» (1,1).
La scelta di dividere il lavoro in due parti (1,1-13 e 1,14-16,8) è ben motivata anche se apparentemente sembra sproporzionata. Nella scelta sono prevalsi motivi filologici, contenutistici e attoriali. Nei primi tre testi (1,8b.10.12) lo SpS è nominato la prima volta da Giovanni Battista e le altre due dal narratore. Negli altri tre testi (3,29; 12,36; 13,11) lo SpS è menzionato da Gesù. Inoltre in 3,29 e 12,36 ricorrono gli stessi personaggi: gli Scribi. È da notare che, anche se 3,29 è collocato in Galilea e 12,36 a Gerusalemme, i due testi hanno un legame geografico, in quanto in 3,22 si dice che gli Scribi provengono da Gerusalemme. 12,36 è situato a Gerusalemme proprio come 13,11. Ambedue i testi fanno inoltre riferimento al tempio in 12,35 e 13,1. Ciò che differenzia 12,36 e 13,11 è la diversa collocazione temporale. In 12,35 si è nel periodo prepasquale e in 13,11 in quello della chiesa postpasquale. Quantitativamente, comunque, le due parti 1,1-13 e 1,14-16,8 contengono ciascuna tre riferimenti espliciti allo SpS.
Possiamo affermare, dopo questo lavoro del prof. Morales, che la concezione pneumatologica marciana, arricchisce la pneumatologia neotestamentaria. La bibliografia, scelta e mirata, conclude l’opera.
Dobbiamo ringraziare l’autore per questo suo esemplare contributo, che si aggiunge con merito al panorama esegetico degli studi biblici. L’accurata veste tipografica rende più piacevole la lettura.
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