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Recensione: JOSEPH BLENKINSOPP, Sapiente, sacerdote, profeta

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: JOSEPH BLENKINSOPP, Sapiente, sacerdote, profeta , in Antonianum, 81/3 (2006) p. 576-577 .

Il libro che presentiamo appartiene a quel genere di studi che possono essere condotti solo da coloro che ormai hanno una consumata esperienza nel campo. Difatti, se da un lato B. si propone di sviluppare il tema della leadership intellettuale dell’Israele antico, e quindi intende offrire un saggio di storia sociale in senso sociologico (M. Weber è citatissimo), dall’altro l’autore dà una panoramica di ricerche veterotestamentarie che abbracciano quasi tutti gli ambiti dell’AT. Questo è possibile perché egli mette a frutto le sue annose ricerche applicandole al tema in questione. Una tematica rilevante, affrontata e sviluppata magistralmente e con buoni risultati.

Come si diceva sopra, B. situandosi in una prospettiva sociologica, cerca di ricostruire la storia e le figure o i ruoli della leadership intellettuale d’Israele, focalizzando la sua attenzione su tre figure-chiave: il sapiente, il sacerdote e il profeta.

Riguardo al sapiente, egli parte dalla constatazione che il vocabolo adoperato per questa categoria è imperfetto e plurivoco; esso tuttavia vuole, in modo euristico, designare quella serie d’intellettuali che hanno trovato la loro fisionomia definita quando si sono confrontati con l’apparato statale (monarchico) d’Israele, entro il quale, padroni dell’uso della scrittura e delle conoscenze nei vari campi dello scibile, sono diventati una categoria che ha precisato le caratteristiche di un sistema dottrinale dai contenuti scientifici, sociali e morali. I sapienti sono divenuti così creatori e trasmettitori di dottrina. Una particolare svolta si è avuta nell’incontro tra l’atteggiamento metodologico sapienziale con la produzione giuridica, la quale spesso s’incrocia anche formalmente con quella sapienziale. La sapienza, come atteggiamento di vita e come dottrina, è allora divenuta anche supporto e animazione della Legge (vedi Ben Sira). Non è mancata all’interno di tale movimento di saggi una presenza critica (Giobbe, Qohelet) che, curiosamente, poteva nascere solo da quell’atteggiamento intellettuale analitico ed esplorativo proprio degli uomini di cultura.

Il capitolo dedicato alla figura e al ruolo del sacerdote è una cavalcata esegetica nel tempo, grazie alla quale è possibile partire dalle origini oscure e ambigue del sacerdozio all’epoca dei Giudici (fine del II millennio a.C.), fino alla configurazione di un potere centrale e teocratico, così come si è sviluppato a partire dall’epoca persiana in poi (VI sec. a.C. - ss). La trattazione di questa figura è un vero e proprio racconto di contrasti politico-religiosi e di vittorie faziose (il gruppo degli aroniti e quello dei sadochiti), ma anche una descrizione dell’emergere di un sistema concettuale solido, di respiro universale, che mostrerà la sua applicabilità anche quando il contesto sociale non conterà più sulla presenza dei sacerdoti (nascita del cristianesimo e del rabbinismo).

Infine, vi è lo stimolante capitolo sul difficile tema riguardante la terza figura, quella del profeta. Il B. mette in chiaro, secondo le acquisizioni contemporanee, la distinzione che va operata tra le figure di mediazione carismatico-magiche, proprie non solo dell’Israele arcaico bensì anche del più ampio contesto cananeo e mediorientale, e le costruzioni ideali e teologiche elaborate soprattutto dal Deuteronomista nella compilazione del suo affresco storico. Posta questa distinzione, il merito del B. sta, a nostro parere, nell’aver tentato di ricostruire le modalità di evoluzione dalle figure storiche di profeti quali Amos, Osea, Michea e Isaia a delle funzioni di critica permanente all’imbarbarimento sociale delle istituzioni. Certo, vi è molto dell’ipotetico nei tentativi dell’autore, e quindi molto di discutibile; in particolare, là dove si fa diventare operativa una categoria pregiudiziale e astratta, tratta dalla teoria weberiana del carismatico. Ma il B. ne è cosciente e sa costeggiare la “borderline” dell’applicazione senza oltrepassarla e cadere nell’ormai impraticabile esaltazione dei profeti quali figure individuali di stampo romantico.

In conclusione, il saggio di B. sa essere una proposta di base per intavolare una discussione e orientare un tipo di ricerca che, con il contributo delle scienze, in particolare della sociologia, può raggiungere una conoscenza della storia dell’antico Israele più accettabile e idonea nel contesto culturale odierno.