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Recensione: J. AGRIMI, Ingeniosa scientia nature. Studi sulla fisiognomica medievale

 
 
 
Foto Gisotti Mariangela , Recensione: J. AGRIMI, Ingeniosa scientia nature. Studi sulla fisiognomica medievale, in Antonianum, 80/2 (2005) p. 383-385 .

Il testo raccoglie quattro saggi, che l’autrice considera come preparatori di un più vasto ed approfondito studio sulla fisiognomica medievale. Attraverso tali apporti. Agrimi si propone di individuare le linee fondamentali dello sviluppo della fisiognomica, attraverso i contributi offerti dai diversi autori, a partire dalle sue matrici greco-arabe, passando attraverso l’acquisizione da parte del pensiero occidentale, fino all’inizio dell’età moderna, con un’attenzione particolare agli apporti della filosofia e della religione.

Il primo saggio, Fisiognomica e «scolastica», si concentra sul contributo fondamentale che il medioevo ha offerto alla fisiognomica, dal momento che proprio a partire del XIII sec. la filosofia ha cominciato a discutere istituzionalmente lo statuto epistemologico della disciplina. Il saggio si pone come obiettivo quello di dimostrare fino a che punto la fisiognomica elaborata dal pensiero medievale sia riuscita a costituirsi come scienza autonoma, in particolare rispetto all’ambito religioso.

Viene subito messa in evidenza la diffidenza del pensiero scolastico nei confronti di questa forma di sapere al punto che essa risulta assente dalle più importanti classificazioni filosofiche del sec.XII. Anche nel XIII sec., in cui fanno la loro comparsa i testi fondamentali della fisiognomica greco-araba – quali il Liber ad Almansorem di Rasis, il Secretum secretorum, il Liber phisionomie di Michele Scoto – la disciplina si inserisce con difficoltà all’interno del sistema filosofico-scientifico, poiché continua ad essere vista dalla cultura ufficiale come strettamente connessa all’astrologia ed alle arti divinatorie.

È Michele Scoto, nel Liber Introductorius, a dimostrare la piena legittimità della fisiognomica, in quanto connessa alla scienza degli astri ed alla scienza meteorologica. Lo Speculum astronomiae di Alberto Magno contribuisce ulteriormente a depurare la disciplina da ogni commistione con la divinazione e la magia e favorisce l’istituzionalizzazione della stessa, attuando uno spostamento di prospettiva verso l’indagine naturalistica, sulla base dell’aristotelica Historia animalium, considerata vero e proprio trattato di fisiognomica e consentendo, in questo modo, un accostamento alla fisiognomica da parte della cultura scolastica. Sempre in riferimento ad Aristotele e tenendo conto di una lunga tradizione di studi sviluppata a Parigi, è però Giovanni di Jandun a sancire la piena autonomia della fisiognomica. Un secondo modello di integrazione della disciplina nella cultura scolastica è quello offerto da Pietro d’Abano il quale, rifacendosi a Scoto ed allo Speculum astronomiae, mira ad istituzionalizzare la fisiognomica, tentando un’armonizzazione delle sue diverse componenti naturalistiche, mediche, astrologiche e divinatorie, così come erano state trasmesse dal mondo greco-arabo.

L’autrice sottolinea come la correlazione tra le qualità interiori e le disposizioni del corpo che caratterizza la fisiognomica sia non solo di tipo biologico, ma anche ontologico, a sancire un’unione profonda della disciplina non solo con la scienza, ma anche con la filosofia. Tuttavia, Agrimi mette in evidenza come i rapporti tra l’anima ed il corpo non siano sempre riconosciuti quali univoci, continui ed omogenei, come testimoniato da Scoto stesso nel suo Liber phisionomie.

Il secondo saggio, Fisiognomica tra tradizione naturalistica e sapere medico nei secoli XII-XII con particolare riguardo alla scuola di Salerno, approfondisce ulteriormente la duplice anima che caratterizza la fisiognomica: quella legata alla spiegazione scientifica e quella connessa alla fisionomia quale visione simbolica ed intuizione dell’essenza delle cose. Se, infatti,  nei primi secoli del XIV sec., la disciplina è entrata ormai a pieno titolo nell’ambito della physica, della philosophia e della scientia naturalis, nel corso del XIII sec. il processo è ben più complesso e deve fare i conti con problematiche di ordine teologico ed antropologico. Ed è proprio l’esigenza di fondare una nuova antropologia a condurre gli ambienti naturalistici e medici di Salerno a riconoscere un rapporto di implicazione reciproca tra corpo e anima, in una visione unitaria della persona. Il primo testo fisiognomico ad essere riscoperto nel XII sec. è la Physiognomonia dell’Anonyme Latin: esso sancisce la rinascita della disciplina in Occidente. L’autrice prosegue con una breve analisi degli altri testi fondamentali che hanno contribuito allo sviluppo della fisiognomica medievale, soprattutto per quel che riguarda la sua connessione con la medicina. La dottrina antica che maggiormente viene ereditata è quella galenica dei temperamenti, che si diffonde anche a Salerno e nei principali centri universitari.

 Nel terzo saggio, Fisiognomica: nature allo specchio ovvero luce e ombre, viene analizzato il recupero della metafora dello speculum, centrale nel pensiero medievale, in relazione alla rinascita della fisiognomica tra il XII ed il XIII sec., con particolare riferimento allo Speculum phisionomie di Michele Savonarola, per il quale corpo e anima vengono posti in un rapporto di implicazione reciproca.

Il problema della veridicità dello specchio viene affrontato da Guglielmo di Mirica il quale, rifacendosi alle figure principali della metafisica e della gnoseologia neoplatonica, giunge a riconoscere la piena dignità della fisiognomica quale via d’accesso alla verità. Agrimi analizza gli snodi principali del commento alla Fisiognomica dello Pseudo Aristotele, mettendone in evidenza i riferimenti costanti ad Aristotele, Boezio, Avicenna, Averroè ed Alberto Magno, e giungendo ad individuare l’esito fondamentalmente etico-politico che Guglielmo riconosce alla fisiognomica nell’utilitas che tale disciplina ha rispetto al bene comune e nel controllo dell’ordine sociale. Ciò è possibile solo riconoscendo la piena corrispondenza tra corpo e anima, che la pitagorica dottrina della trasmigrazione tende, invece, ad incrinare. Per contrastare quest’ultima, Mirica è portato a confrontarsi con il dibattito classico sull’intelligenza delle bestie, giungendo a riconoscere negli esseri creati differenti e decrescenti gradi di perfezione.

L’ultimo saggio, La fisiognomica e l’insegnamento universitario: la ricezione del testo pseudoaristotelico nella facoltà delle arti, s‘incentra sull’analisi di alcuni libri fondamentali nell’ambito della facoltà delle arti fra cui il Liber phisionomie di Michele Scoto, il De physiognomonia Liber dell’Anonimo Latino, il secondo libro dell’Ad Almansorem di Rasis. Fondamentale per il processo di codificazione della disciplina è poi la glossa al Secretum secretorum di Ruggero Bacone. Vengono analizzati con particolare attenzione gli orientamenti  istituzionali della facoltà parigina; importante in questo processo, in Francia come in Italia, la stesura alla fine del XIII sec., del Liber compilationis phisionomie di Pietro d’Abano. L’autrice passa, infine, ad illustrare i principali commenti alla Physionomia pseudoaristotelica, tra i quali quello di Guglielmo Hispanus, Guglielmo di Mirica e Giovanni Buridano.