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Recensione: BARUCH HALPERN, I demoni segreti di David. Messia, assassino, traditore, re

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: BARUCH HALPERN, I demoni segreti di David. Messia, assassino, traditore, re, in Antonianum, 80/4 (2005) p. 742-743 .

Si tratta di una monumentale biografia critica del re David, uscita in traduzione a circa tre anni dall’originale inglese (2001). La sua collocazione nella sezione dei “supplementi” della bella collana ”Introduzione allo studio della Bibbia” arricchisce ancora una volta, l’originale selezione letteraria che la caratterizza.

Intento dell’autore è restituire, in qualità di storico, la vera immagine del grande re d’Israele, lavorando non solo su quello che i testi biblici (1-2 Samuele) dicono, ma soprattutto su quello che non dicono e tuttavia lasciano trasparire, facendo così parlare gli sconfitti, coloro che non hanno avuto modo di far sentire la loro voce, come avviene di norma nella storia umana. Bisogna dire che l’intento è legittimo e che l’autore mostra decisamente un coraggio scientifico indiscutibile, anche se il suo stile vivace e molto “americano” talora sembra affrontare con eccessiva scioltezza quello che invece può semplicemente essere affermato sulla base di ipotesi non incontrovertibili ma tuttavia probabili, non completamente nuove per gli studiosi. È un fatto che l’idealità che avvolge la figura di David è una creazione ideologica dei suoi biografi di corte e di coloro che in seguito, per altre ragioni, ne hanno “vaporizzato” ancora di più i contorni. È quindi compito e merito dello storico quello di analizzare con la lente i dettagli delle fonti bibliche, integrandoli con eventuali fonti extra-bibliche, di solito scarne. H. lo fa con acume, con dovizia di dati tecnici, anche epigrafici e archeologici (a volte così strettamente specialistici da far consigliare l’H. a chi non ne avesse capacità o pazienza di saltare quei capitoli), e con una buona dose (non sempre sufficientemente legittima, vedi ad es. a p. 99 su Amnon, uno dei figli di David) d’immaginazione: «Gli storici, se si limitano ad esercitare la propria immaginazione – e la storia senza immaginazione è una storia morta o, per essere espliciti, è filologia mascherata da storia – possono invertire i sottintesi ovvi dei dati testuali» (p. 112).

L’opera si articola nel modo seguente. Nella prima parte, l’autore presenta le fonti del suo soggetto, 1-2 Samuele, che ritiene molto antiche e in pratica quasi contemporanee ai fatti, cioè all’epoca di Salomone (X sec. a.C.), come egli cerca di dimostrare soprattutto nella seconda parte. L’antichità verrebbe dimostrata da a) motivazioni archeologico-letterarie (1 Re 6-7: complesso edilizio impensabile, secondo H., dopo l’VIII sec.); b) da motivazioni linguistiche, meglio ortografiche e fonetiche (conservazione di pronunce e trascrizioni arcaiche). L’autore desidera inoltre difendere la causa dell’antichità delle fonti contro i tentativi minimalisti attuali, che contesterebbero la loro affidabilità storica o addirittura l’esistenza di David e Salomone (p. 85): difatti, una caratteristica metodologica costante dell’H. è, al di là del suo reportage che vuol essere senza scrupoli, quella di confermare l’attendibilità storica delle fonti (a questo proposito egli controbatte la famosa tesi di I. Finkelstein sulla scarsa consistenza archeologica del periodo davidico-salomonico, vedi in particolare nell’appendice alle pp. 425-475). Nella terza parte, H. analizza la veridicità delle affermazioni di 2Sam 8 sull’impero di David: è una lunga e acribica analisi che denota tutte le capacità analitiche dell’autore. Segue la quarta parte, una di quelle sezioni molto tecniche a cui si accennava più sopra, la cui finalità è stabilire finalmente le coordinate storico-geografiche del regno davidico. La lunga quinta parte invece contiene infine il tentativo di una biografia sistematica di David. Il volume è concluso da un’interessante e notevole appendice archeologica, intitolata appunto “Archeologia del regno di David”.

Una serie di indici corona la redazione di quest’opera che, nonostante la discutibilità di alcune tesi, anzi, proprio per questo, si colloca come un valido e solido contributo alla ricerca contemporanea.