Rodriguez Carballo José ,
Inaugurazione dell'anno accademico 2005-2006 alla PUA. Messaggio del Gran Cancelliere,
in
Antonianum, 80/4 (2005) p. 755-757
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Carissimi Fratelli e Sorelle che prestate servizio alla Pontificia Università Antonianum, autorità accademiche e officiali, chiarissimi professori e studenti, il Signore vi doni la sua Pace! All’inizio di questo nuovo Anno Accademico vi giunga il mio saluto, unito all’augurio di pace di san Francesco.
Come sapete il 29 ottobre 2005, alla Porziuncola, l’Ordine dei Frati Minori inizierà ufficialmente la preparazione alla celebrazione degli 800 anni della sua fondazione. Nel prossimo triennio, dunque, l’Ordine sarà impegnato in un processo che ho voluto chiamare di “rifondazione”.
Con esso ho inteso esprimere l’esigenza di ritornare all’essenziale del nostro carisma, per viverlo, con fedeltà creativa, in un tempo caratterizzato dalla complessità e dalla multiculturalità. Le celebrazioni, dunque, saranno il segno visibile di questa volontà di ritrovare il fondamento. È evidente che, per giungere a tale scopo, indispensabile sarà da parte di tutti una profonda e coraggiosa riflessione, che ci aiuti a recuperare i cardini della nostra vita e a distinguere ciò che, nel corso dei secoli, ci ha appesantito da ciò che ci ha arricchito, così da poter trovare le strade che oggi siamo chiamati a percorrere.
Mi auguro e mi aspetto, in questo senso, che la Pontificia Università Antonianum sia uno dei luoghi privilegiati in cui attuare questa riflessione, aiutandoci a rispondere alla domanda che abbiamo posto all’inizio del cammino di preparazione alla celebrazione del nostro centenario: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?». È questa la domanda che sta all’inizio dell’itinerario di conversione di Francesco d’Assisi, e che ci guiderà per tutto il 2006, ma vorrei che fosse anche l’interrogativo alla base del cammino e della ricerca della nostra Università. Esso, infatti, esprime il profondo desiderio di luce e di verità, che era radicato nel cuore di Francesco d’Assisi e che vorrei animasse il cuore di tutti noi.
Dopo l’episodio nella chiesetta di San Damiano Francesco si mette, infatti, in un atteggiamento di ricerca autentica e di conversione. Lascia progressivamente le sue certezze, le sue sicurezze e la tranquillità di una vita comoda e inizia una peregrinazione che è soprattutto interiore. Così egli attua subito ciò che crede di aver capito, ma non esita di volta in volta ad abbandonare ciò che ha compreso per una verità più piena che progressivamente gli si fa incontro. Vediamo allora Francesco che prima fa il muratore e restaura le chiese in rovina di Assisi, poi veste l’abito dell’eremita, poi accoglie i fratelli, in un continuo evolversi di quella forma di vita che lo porterà, sul monte della Verna, alla piena conformazione con Colui che per tutta la vita l’aveva chiamato a sé, facendolo sempre più uscire da se stesso. Questa estasi permanente del santo di Assisi non mi pare distante dall’esperienza di ogni uomo che ha fatto della sua vita una ricerca della verità. “Chi cerca la verità va oltre le sue idee preconcette, i suoi interessi personali, per sottomettersi a ciò che s’impone come vero all’intelligenza, impegnandosi nella ricerca e accettando di esserne trasformato” (Il sapore della parola 3.1.b).
Abbiamo bisogno di uomini e donne che abbiano il coraggio di affrontare questo viaggio faticoso, che, oltre ad una grande libertà interiore, richiede un altrettanto impegnativo senso di responsabilità. Come sempre ripeto, anche a voi mi sento di dover dire: «Non possiamo accontentarci di magnificare le opere dei nostri antenati; piuttosto, dobbiamo ispirarci ad esse per adempiere il compito che ci è affidato nel nostro frammento di storia» (Sdp 3). La gloriosa tradizione del pensiero francescano, infatti, avrà tanto più valore quanto più vi si saprà attingere per annunciare oggi il Vangelo di sempre, ma con una freschezza e una forza rinnovate.
Questa è la missione che vi attende e per la quale questa Università dovrà impegnare tutte le sue forze. È in questa direzione che si muove anche il Progetto Accademico, che lo scorso maggio abbiamo presentato e nella cui realizzazione continueremo ad impegnarci insieme, cosicché l’Antonianum possa continuare a crescere come un Centro Universitario Francescano sempre più qualificato. In quell’occasione, affermavo che una delle esigenze fondamentali per il raggiungimento di questa meta è quella di mantenere un dialogo costante con il carisma, la tradizione e il cammino dell’Ordine e, allo stesso tempo, di farsi interpellare dai pressanti interrogativi che vengono dal mondo, per cercare delle risposte insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Accanto ad una ricerca appassionata, profonda e qualificata sarà, perciò, importante mantenere vivo anche l’atteggiamento dell’ascolto. La ricerca di Francesco nasce, infatti, dall’ascolto. Il santo di Assisi fin dall’inizio è stato un attento ascoltatore: dall’ascolto ha imparato a guardare e ad affrontare la realtà. Francesco ascolta la Parola di Dio, è sempre in ascolto della voce della Chiesa, ascolta il grido dei lebbrosi del suo tempo e il suo ascoltare diventa servizio all’altro. Francesco è servo della Parola, della Chiesa, di ogni uomo nel bisogno, ma in modo nuovo, efficace, perché parte da ciò che l’altro chiede e non da ciò di cui egli pensa che l’altro abbia bisogno. Come dicevo nella lettera Il sapore della parola, «l’ascolto di una parola veritiera genera un nuovo modo di vedere e opera sempre una profonda trasformazione(…) Lo Studio è una delle strade verso questo ascolto nuovo dell’uomo e del mondo. Esso, infatti, ci libera dalla paura della nobile fatica del pensare, mentre noi ci accontentiamo spesso di ripetere formule e idee altrui. Ci libera ancora dalla paura del silenzio, per prendere una certa distanza dalla realtà. Da qui nascono parole nuove per dare alla luce una nuova vita, oltre le parole usurate dall’abitudine e dall’ovvietà. Un simile percorso porta con sé la sofferenza di ogni nuova nascita, insieme alla gioia della scoperta» (3.2.a). Consapevole che si tratta di un cammino faticoso, fatto di espropriazione e di grande povertà, non esito a chiedere prima di tutto a voi, e a tutti quei Frati a cui il Signore ha dato la grazia di approfondire i suoi misteri e quelli dell’uomo attraverso lo studio, di dirci parole nuove, non consumate dall’uso, per ri-conoscere nel mondo di oggi, nell’uomo di oggi, le impronte lasciate da Cristo e, così, seguirle come al suo tempo fece Francesco.
L’Università diventa così, nella sua più genuina tradizione, luogo di incontro e di confronto, di riflessione e di comunicazione e già per se stessa segno profetico in una società che ha sempre più paura di ciò che non conosce e gli è estraneo. L’accoglienza, la stima e la fiducia nell’altro sono invece sempre stati uno dei punti di forza della tradizione francescana, come ci testimonia con grande delicatezza anche la fine del Sacrum Commercium, quando i frati conducono su un alto colle Madonna Povertà e, come dice il testo, «le mostrarono tutt’intorno la terra fin dove giungeva lo sguardo, dicendo: ‘Questo, signora, è il nostro chiostro’». Non è dunque cosi strano se pochi anni dopo ritroviamo i Frati Minori perfettamente inseriti nelle più grandi Università europee. Parigi, Oxford, Bologna diventano i nuovi chiostri dei Francescani. Il chiostro non è più un luogo riservato ai monaci, ma è il luogo in cui gli uomini e le donne si incontrano, si conoscono, camminano insieme e l’Università è per eccellenza uno di questi luoghi. Non possiamo permetterci di perdere questo stile, che da sempre ci ha caratterizzato. Servendomi ancora di immagini, amo pensare alla nostra Università più come ad un’agorà che come ad un tempio del sapere; a una piazza dove uomini e donne possono incontrarsi, trovarsi, sentirsi a casa; ad un luogo aperto a tutti, in cui tutti si sentono accolti e a cui a ciascuno è data voce.
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