Oviedo Lluis ,
Recensione: Smith Steven D., The Disenchantment of Secular Discourse,
in
Antonianum, 87/3 (2012) p. 623-626
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Da quando le società avanzate non possono contare più a lungo sull’appoggio religioso per reperire legittimità e motivazione alle loro istituzioni di base, si è costretti a cercare sostituti razionali che possano svolgere la stessa fun zione. Se tali sostituti compiano bene il loro mestiere, e quanto siano in grado di venire incontro ai bisogni reali dei diversi sistemi sociali, come la giustizia e l’organizzazione politica, è oggetto di profonda revisione e discussione. è in gioco il progetto moderno di autonomia sociale, e si pone in modo più radicale la questione di una ‘completa secolarizzazione’ o, in altre parole: se le società contemporanee possono sopravvivere senza le prestazioni funzionali di religioni positive.
La discussione è aperta e si registrano molte prese di posizione nell’uno o nell’altro senso. Grandi nomi nel campo dell’etica e della filosofia politica e legale hanno tentato, nei decenni recenti, di costruire sistemi morali in grado di offrire risposte soddisfacenti a ciò che potrebbe essere chiamato il ‘vuoto secolare’, o la mancanza di valori causata dalla secolarizzazione di società e sistemi politici moderni. All’estremo opposto, talune posizioni radicali puntano a smontare le basi delle pretese dei sistemi liberali ed a mostrare la loro assoluta mancanza di fondamento. Non tutti questi tentativi sono di tono postmoderno; né possono essere considerati meramente confessionali o apologetici.
Il libro in esame si colloca chiaramente nel secondo gruppo di discussione.
Il suo scopo è quello di decostruire la maggior parte dei motivi teoretici che giustificano i principi legali, politici e morali nelle società liberali, dalle loro origini nell’Illuminismo intellettuale moderno alle proposte attuali più articolate. Il termine per descrivere questo programma critico è ‘disincanto’; una scelta appropriata che si collega al suo uso originale in Max Weber, per accentuare un tratto specifico delle società moderne, ‘senza spirito’ e chiuse in una soffocante ‘gabbia di ferro’. In questo titolo si può percepire un tono di rivendicazione, mentre si accenna all’incapacità dei tentativi contemporanei di ricostruire un discorso pubblico convincente. Gli sforzi di molti studiosi per costruire sistemi di valori o offrire principi per le decisioni legali e la moralità pubblica, è considerato inefficace e fuorviante. Inoltre, Smith prende di mira le strategie fallimentari che ricorrono sempre a forme di ‘contrabbandando’ ideologico (smuggling). L’autore designa così le idee e i valori che sono presupposti piuttosto che giustificati; pregiudizi intellettuali più o meno presunti; o anche cattiva fede che cerca di attuare un proprio programma. Dopo tutto, ‘lo spirito’ continua ad essere assente.
L’introduzione all’opera descrive in tono revisionista come il progetto illuminista abbia deragliato, nonostante le sue grandi ambizioni razionali ed il suo obiettivo di superare la dipendenza dalla religione e dalla metafisica. Cinque casi di studio costituiscono il corpo del volume: in essi vengono esaminate diverse proposte contemporanee di gestione autonoma di questioni etiche e politiche, per mettere in mostra i loro difetti ed i loro modi di ‘contrabbandare’, sotto l’apparenza di procedure razionali, posizioni a cui manca sempre una vera giustificazione razionale. Il primo caso concerne le discussioni sulla morale della vita e la sua fine. Non solo l’eutanasia, ma il giusto modo di agire in situazioni terminali e critiche. Il campo appare estremamente problematico quando si analizzano i loro argomenti e quando certe decisioni hanno bisogno di essere prese nel campo contenzioso della correttezza legale. Ricorrere alla ‘natura’ pare poco convincente; infatti questo concetto è stato completamente secolarizzato ed è sprovvisto di una dimensione normativa. Nel nuovo contesto nessuno può ricorrere ad alcun genere di argomenti per decidere un problema legale discusso, e le norme morali risentono di un simile ‘malessere moderno’ (67).
Il criterio utilitarista che si richiama a ‘procurare il minor danno possibile’ viene ridimensionato alla luce delle grandi difficoltà che insorgono allorché si tenta di offrire un contenuto più specifico a questo principio, e di definire ciò che può essere ritenuto un presunto ‘danno’ e in quale contesto. Anche in questo caso i valori morali devono essere presupposti, e vengono ‘fatti rientrare dalla finestra’, per dare una mano ad irrisolvibili dilemmi morali e restringere un concetto troppo ampio perché divenga utile nella discussione morale. Presto appaiono forme di circolarità, così come tentativi di approfittare delle verità evidenti disponibili.
La questione della ‘libertà religiosa’ diviene un altro caso nel quale la filosofia legale secolare mostra i suoi limiti e inefficacia. Il punto di partenza consensuale sono i principi di ‘separazione’ e di ‘libertà di coscienza’ negli Stati Uniti. Anche dopo essersi lasciati alle spalle l’antico ordine di cose, emergono comunque molte sovrapposizioni tra il supposto muro che dovrebbe tenere disgiunte le due dimensioni. Inevitabilmente, le società secolari hanno bisogno di giustificare la scelta costituzionale, tuttavia nessuna delle strategie che cercano basi razionali, o delle revisioni, o che rinunciano a una tale giustificazione, sembra convincente. In breve, l’impegno di separazione tra Chiesa e Stato sembra poco plausibile quando è fondato su argomenti razionali.
I ripetuti tentativi di costruire sistemi morali laici sono un facile obiettivo per la critica. Una delle ultime proposte per superare alcuni dei limiti identificati è offerta da Martha Nussbaum e si riferisce alle ‘capacità’ (capabilities) come la chiave alla quale dovrebbe mirare un sistema morale e politico per raggiungere maggiori livelli di giustizia ed uguaglianza. Questa proposta (e le sue sfumature) non riesce a fornire argomenti convincenti, nonostante cerchi alleati nei concetti di ‘vita veramente umana’ e di ‘consenso presente o potenziale’.
Il suo tono retorico e la sua circolarità vengono chiaramente esposti.
Le ultime mosse prendono in considerazione un campo diverso: la scienza ed i suoi limiti. Seguendo Vining, sorgono delle perplessità quando le sue pretese di neutralità e di procedura impersonale sono confrontate con la sua vera pratica – troppo personale. Le conseguenze distruttive di qualunque genere di ‘teoria totale’ appaiono minacciose, soprattutto se si tengono presenti certe forme di ‘cattiva scienza’ del ventesimo secolo. La domanda, ancora una volta, è: come può una scienza impersonale e totalitaria giustificare impegni morali che dovrebbero guidare le attività degli scienziati?
L’Autore dichiara esplicitamente le proprie conclusioni: “Il discorso pubblico si è impoverito a causa delle costrizioni del razionalismo secolare che impediscono di presentare, esaminare, e dibattere apertamente le fonti e la sostanza dei nostri impegni normativi e più fondamentali” (211). La questione finale che naturalmente scaturisce da questa analisi pungente è se alla religione sia nuovamente concesso di prendere parte alla discussione contemporanea in campo etico e politico, dopo che è stata verificata l’inanità del discorso secolare.
Contro l’opinione di Rorty e altri, sembra un suggerimento che varrebbe la pena di seguire, una volta superato il pregiudizio e poste le condizioni per organizzare una vera conversazione. Riepilogando il punto: il discorso pubblico perde più di quanto guadagna quando esclude opinioni ed interlocutori religiosi dal prendere parte al dibattito. Tutto ciò si risolve in un invito ad ‘aprire la gabbia di ferro’ weberiana.
Il presente lavoro aggiunge un capitolo nuovo ad un possibile volume che potrebbe avere il titolo di ‘Limiti della secolarizzazione’ o, in questo caso, del ‘laicismo’. Il libro di Smith non riflette precisamente un programma apologetico, almeno non in modo esplicito. Ciononostante, il saggio è molto efficace nel mostrare la ‘nudità’ del tentativo moderno di fare a meno della religione. Il recensore avrebbe preferito una prospettiva più internazionale ed aperta, non confinata al Nord America. Alcuni filosofi sociali di rilievo quali Habermas (citato una sola volta) potrebbero offrire spunti più interessanti per questa ricca discussione.
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