Nobile Marco ,
Recensione: George B. Caird, Lingua e linguaggio figurato nella Bibbia,
in
Antonianum, 85/1 (2010) p. 161-162
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Presentiamo uno studio che si raccomanda come un ottimo manuale per chi vuole introdursi ad una comprensione adeguata del linguaggio della Bibbia. L’argomento non e nuovo e si potrebbe anzi dire che da alcuni decenni a questa parte, se si vuole tacere la lunga storia della metodologia storicocritica che si sviluppa fin dagl’inizi del secolo scorso, esso ha ricevuto un forte impulso a seguito delle tante scoperte documentarie da un lato e delle varie ermeneutiche prettamente bibliche dall’altro che hanno rivoluzionato l’approccio metodologico all’universo linguistico-concettuale della Bibbia. E tuttavia, come mostra il successo avuto dal presente studio, esso si presenta come un manuale utile che fa il punto in modo sistematico e chiaro sulle modalità di accesso alla comprensione del dettato biblico, basandosi sulla moderna scienza linguistica. Un manuale magistrale che sa accattivarsi già in fase iniziale l’attenzione sia dello studente che dell’erudito, protestando la propria incompetenza tecnica nel campo linguistico, dato che il Prof. Caird, ormai scomparso nel 1984, era docente di esegesi biblica all’Universita di Oxford, quindi tecnicamente al di fuori dell’area nella quale egli si muove.
Ma il suo understatement serve solo per apprezzare ulteriormente le sue qualità analitiche e metodologiche, di pretta marca inglese, nella più fedele tradizione cioè dell’analitica scientifica britannica.
Lo studio si compone di tre parti. Nella prima l’autore tratta con chiarezza e dovizia di esempi l’argomento generale del linguaggio: usi e abusi di esso e un’articolata descrizione di cosa sia il “significato” in se stesso e nell’intenzione dell’utente e di come il significato del fenomeno della comunicazione soggiaccia ad un ventaglio di variazioni, ignorando le quali, si va incontro a una comprensione falsa. La seconda parte tratta invece sotto il titolo di “metafora” quel fenomeno fondamentale del linguaggio biblico che fa da ponte tra il referente (l’oggetto) e il ricettore del testo. In realtà, il tema della metafora abbraccia più argomenti che vanno dalla distinzione letterale/ non letterale (iperbole, litote, ironia, sineddoche, metonimia, ecc.) alle in numerevoli espressioni del linguaggio comparativo (similitudine/metafora, allegorismi di vario genere, antropomorfismo, consapevolezza linguistica).
La terza parte tratta della storia, del mito e dell’escatologia. Questa parte e la più debole e la più datata (lo studio e apparso nel 1980). Nonostante la trattazione appassionata del C., che si confronta polemicamente con tutta una serie di studiosi (J. Weiss, A. Schweitzer, C. Dodd, R. Bultmann) circa la questione di come intendere l’escatologia biblica e il mito, e nonostante il suo contributo chiaro e calibrato che spezza le punte dell’estremismo delle varie posizioni, in realtà traccia un quadro conclusivo non convincente, in quanto egli sembra ignorare la cesura netta che sussiste tra la concezione antica del mondo e quella moderna, attribuendo alle generazioni della Bibbia una concezione dell’universo forse più familiare a quella nostra contemporanea.
Senza parlare del fatto che manca nella posizione dell’autore (per motivi generazionali) tutta quella vasta galassia di studi che hanno animato gli ultimi decenni della ricerca biblica internazionale. Ma anche questo e da accreditare alla “storicità” di coloro che cercano di venire a capo della “storicità” del linguaggio biblico.
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