Nobile Marco ,
Recensione: Sigmund Mowinckel (foreword by John J. Collins), He that cometh. The Messiah Concept in the Old Testament and Later Judaism,
in
Antonianum, 85/1 (2010) p. 163-165
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L’editore Eerdmans ha compiuto un’operazione lodevole nel ristampare questo classico dell’esegesi biblica pubblicato originariamente in norvegese nel 1951 (Han Som Kommer) e poi tradotto in inglese nel 1956 da G.W. Anderson. Pur trattandosi di un’opera celebre, la datazione antica esigeva inevitabilmente una prefazione di commento che la situasse nel suo contesto storico-scientifico e la illustrasse nei suoi meriti e nei suoi limiti. Il compito è stato svolto con acume da J.J. Collins, noto studioso della letteratura apocalittica.
La figura di Mowinckel appartiene ormai alla storia dell’esegesi biblica e la sua fama e legata soprattutto ai suoi studi sui Salmi (Psalmenstudien I-VI, Kristiania: Dybwad 1921-1924). In questo suo altro ponderoso studio egli affronta la tematica della origine del concetto di messianismo, esaminato alla luce dell’Antico Testamento e del tardo giudaismo. Benchè egli si confronti con studiosi della sua epoca, alcuni risultati della sua indagine rimangono ancora oggi validi. Mowinckel critica sia la posizione storico-religionista di H. Gunkel e H. Gressmann (“tutti i Salmi reali sono messianici”), sia la concezione della scuola del “Myth and Ritual” di S.H. Hooke e I. Engnell, secondo cui il re dell’ideologia israelita era considerato divino alla stregua della comune concezione dell’antico Vicino Oriente (a differenza dell’ideologia regale di altre culture, per le quali il re era appunto un essere divino, per Israele il re era l’“Unto di JHWH”). La posizione del Mowinckel e ampia e ben argomentata, grazie al criterio metodologico ed ermeneutico dell’attenzione alla componente storica del dato biblico. L’escatologia (che corrisponderebbe a cio che oggi viene definita apocalittica) non apparterrebbe affatto all’epoca preesilica: i testi profetici che mostrano una tale fisionomia sarebbero invece postesilici, come postesilica e tutta la concezione escatologica. In riferimento al tema del remessia, prima dell’esilio dunque, non vi sarebbero testi messianici sia nei Salmi che in altri testi biblici, ma solo una visione ideale e idealizzata di una regalità che si sperava ogni volta rispondesse in concreto ai termini della sua esaltazione.
Solo con l’era postesilica e con l’inizio del giudaismo sarebbe germinata la prima fase dell’attesa di un messia regale, di portata pero nazionale. Nel tardo giudaismo infine si sarebbe definita con sempre maggior precisione quella figura messianica che non solo avrebbe in futuro potuto realizzare i tratti ideali, ma avrebbe avuto anche caratteri trascendenti. Il cristianesimo primitivo si sarebbe agganciato a questa fase estrema del processo e avrebbe applicato a Gesù di Nazaret le aspettative messianiche, facendo anche tra gli altri un passo ulteriore: avrebbe legato sofferenza e morte come vengono raffigurate nella figura del Servo di JHWH a una concezione espiatrice e redentrice in vista della risurrezione, ciò che invece il giudaismo non avrebbe invece fatto, perche inaccettabile un messia sofferente.
La sostanza delle tesi che abbiamo appena esposta, e in realtà molto più articolata e, nonostante il valore datato di alcune affermazioni, soprattutto alla luce del principio ermeneutico cristiano che fa da pregiudiziale apologetica, tuttavia la trattazione e tutta godibile e ancora piena di suggestione e tutto sommato anche di affermazioni che oggi vengono convalidate. Difatti, la datazione bassa a cui viene sempre di più ascritta la maggior parte della letteratura veterotestamentaria nella sua redazione finale, va incontro alla tesi della tardività di molti concetti e figure che tradizionalmente venivano collocate in data alta. D’altra parte, al Mowinckel mancava tra l’altro in quel tempo l’apporto della letteratura qumranica e la folta serie di ricerche attorno alla letteratura intertestamentaria.
In definitiva, un classico che si può leggere con utilità ancora oggi.
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