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Recensione: Michał Heller, Nuova fisica e nuova teologia

 
 
 
Foto Kopiec Maksym Adam , Recensione: Michał Heller, Nuova fisica e nuova teologia, in Antonianum, 85/2 (2010) p. 320-324 .

Michał Heller, sacerdote e cosmologo, offre un opera che si inserisce all’interno della problematica del rapporto tra teologia e scienza. Tale problematica deriva dalla storia, soprattutto dalla storia d’Europa, contrassegnata da due eventi: l’emergere della fede cristiana e l’emergere delle scienze naturali – empiriche. E da notare che, se l’autore adopera il concetto della scienza, lo intende nel senso empirico – sperimentale.

Nel passato, soprattutto con la svolta scientifica del secolo XVI il problema di come relazionare la conoscenza teologica e quella scientifica, ha visto pochi tentativi di soluzione. Di solito il loro legame assume il carattere del conflitto e della contraddizione (discordismo), o del tentativo di dominare da parte di un ambiente nei confronti dell’altro in modo da sottometterlo al proprio orizzonte (concordismo). A volte o gli scienziati o i teologi rimangono in una completa indifferenza, considerando i loro campi di conoscenza come assolutamente diversi e indipendenti da non poter creare nessuna possibilità del dialogo (autonomia). Nel caso di molti studiosi la fede non si oppone alla scienza, ma viene trasferita nel campo del privato e del soggettivo.

Tutto sommato i due ambiti venivano spesso giustapposti in un rapporto che non prometteva molte speranze di una soluzione positiva e, quanto possibile, armonica.

Anche se dunque l’argomento non e nuovo, tuttavia solo oggi viene considerato con più attenzione e con la finalità di trovare le giuste vie di soluzione. Infatti le cose cambiano con il secolo XX che sembra dimostrare i segni del reciproco accostamento tra scienziati e teologi. Si osserva l’atteggiamento di una maggiore conoscenza e apertura, il quale crea le condizioni indispensabili per un successivo dialogo. L’atteggiamento che rinuncia ad una aprioristica esclusione delle altre modalità della conoscenza.

Il libro di H. e diviso in due parti. Nella prima, composta di cinque capitoli, l’autore cerca di individuare le condizioni e i motivi filosofici del conflitto nato tra scienza e fede entro gli ultimi trecento anni. Nell’arco della storia della scienza, H. distingue i più decisivi momenti del progresso scientifico, percepito innanzi tutto nell’ambito fisico: la rivoluzione scolastica, classica, quantistico – relativistica e infine la “nuova fisica”. Egli evidenzia che fino alla comparsa di questa ultima era dominante la tendenza “totalitaria” delle scienze naturali riducendo ogni possibilità dell’autentica conoscenza a ciò che e sottoposto al metodo positivo (89). Nella comprensione e spiegazione dell’universo le scienze furono determinate dal metodo empirico – matematico. Con la comparsa della “nuova fisica” si giunge ad una emancipazione delle scienze sperimentali dai limiti loro imposti dalla metodologia positivistica, il che fornisce le nuove possibilità per il dialogo con la teologia.

In effetti il recente sviluppo del metodo ha dimostrato il bisogno delle scienze di non fare a meno di ricorrere a riflessioni meta – empiriche. Non si può esplorare completamente e oggettivamente la natura, senza contemporaneamente interrogarsi sul processo stesso della ricerca. E benchè non manchino gli ulteriori tentativi riduzionistici e naturalistici1, neppure fisici e cosmologici (Theory of Everything)2, per spiegare il tema della conoscenza e dell’essere, tuttavia H. esprime un certo ottimismo, affermando una sempre più frequente apertura delle scienze agli interrogativi circa i suoi limiti3, circa il problema dell’esistenza, della finalità, dei valori e dell’uomo stesso come soggetto conoscente, “autore” della scienza e responsabile di essa (103-105); e l’apertura con la quale esse accordano a riconoscere altri spazi della razionalità e un altro tipo della cognizione che oltrepassano il dominio empirico, e sono riservati al dominio della filosofia, dell’arte, della poesia, della religione, ecc. La diversità dei livelli della conoscenza non significa pero la loro separazione.

Pur rispettando i diversi metodi e l’autonomia dei due campi, l’autore opta evidentemente, per una maggiore coesistenza e reciproco interesse tra di esse. Di conseguenza, la crescita dell’interesse per la filosofia nel mondo della scienza provoca anche la crescita dell’interesse per la teologia (135).

Nella sua impostazione del rapporto fede – scienza, H. inverte la prospettiva e prende anche in considerazione il cammino fatto dalla teologia nei confronti delle scienze naturali. Fino ai nostri tempi in alcuni cerchi ecclesiastici tale questione viene ancora intesa come un problema marginale di natura apologetica, che consisterebbe nel “provare” le verità della fede o nel difendere la religione davanti alle pretese e alle affermazioni delle scienze (126). In Europa, negli ultimi decenni, il problema dell’interazione fra la teologia e le scienze sperimentali e stato abbastanza esaminato e approfondito nella cultura britannica. Non altrettanto si può dire per quanto riguarda il Continente. E tuttavia e innegabile l’influsso dell’immagine scientifica del mondo sulle convinzioni religiose, sulle interpretazioni dei dogmi e sulle questioni morali, ad esempio il problema della creazione e dell’evoluzione, della storia e dell’eternità, del male e del peccato, dell’uomo e della sua redenzione, ecc (141-143). Oggi sono da indagare attentamente i nuovi problemi come Fine–Tunned Universe, Improbability of the Universe, Anthropic Principle, Chance or Necessity in the Evolution, Brain and Mind, Genetics Determinism and Liberty e molti altri. Indubbiamente il sorgere di questi argomenti e il loro influsso sul mondo della fede era un fattore di progresso per la stessa teologia. Questo comunque dimostra che l’incontro accade più facile al livello settoriale/frammentario delle questioni particolari riportati sia dalla scienza sia dalla teologia nel loro reciproco confronto. Appare invece più difficile trovare e stabilire i punti di approccio e di aggancio tra tutte e due a livello generale, dei loro principi e dei rispettivi metodi.

Nell’ultima parte del suo libro H. lancia la proposta di una nuova disciplina, la “teologia della scienza”, “come un’autentica riflessione teologica dedicata alle scienze: al fatto della loro esistenza, ai loro fondamenti, metodi e risultati”. Da questa prospettiva la teologia offre anche il suo contributo a favore delle scienze poichè la sua comprensione dell’universo va oltre le possibilità delle scienze empiriche e mette a loro disposizione una visione molto più ricca e più significativa della realtà. La teologia mira a giustificare l’esistenza stessa del mondo, vale a dire il suo “perche”. Pertanto essa e in grado di assegnare alla realtà il valore più profondo e di svolgere il compito di carattere assiologico. Oltre tutto questo la teologia nel suo modo di vedere il mondo mette in evidenza, e senza nessuna contraddizione, due elementi: da una parte, il mondo nella sua contingenza in quanto dipende da Dio suo Creatore, autore e principio della sua esistenza e della sua intelligibilità (144); dall’altra, il mondo in quanto gode di una autonomia che esclude qualsiasi interpretazione determinista. Questi due elementi la teologia li percepisce in un quadro sintetico, senza alcuna giustapposizione, ma attraverso un’analisi metodologica complementare.

Nella conclusione H. rivolge ai teologi moderni un invito ad una ricerca approfondita della filosofia della scienza e ad un aggiornamento delle nuove correnti all’interno delle scienze sperimentali. La teologia della scienza, proposta dall’autore, non e una riflessione sui progressi della scienza, ma sulla rivelazione; tuttavia essa dovrebbe svolgersi nel contesto costituito dal progresso delle scienze. H. mette in rilievo l’approccio antropologico che diviene un “ponte” tra teologia e scienza, tanto più se ci si accorge del fatto che le scienze mai potranno capire pienamente l’uomo, ma, dall’altra parte, senza le scienze nemmeno la teologia e capace di comprendere l’uomo (183).

In tal modo con la discussione sulla vera conoscenza tra teologia e scienza entra in gioco la questione dell’uomo.

Il libro di H. merita di una attenzione particolare e soprattutto richiede di trattare con serietà alcune sfide di fronte a cui si trova la teologia contemporanea che non può prescindere dalle domande e dalle provocazioni lanciate dalle scienze. Anzi lo sviluppo della teologia e condizionato dalla misura in cui essa si impegnerà nel dare le risposte ai contesti attuali. I progressi della scienza non sono una minaccia alla conoscenza teologica, ma una grande opportunità e una grande chance per lo sviluppo teologico e per la maggiore comprensione dei contenuti della rivelazione.

Il dialogo tra scienze e teologia richiede di una ulteriore riflessione sulla natura della conoscenza, sul concetto della razionalità e sulla comprensione della realtà. A questo punto la teologia potrebbe stimolare e aprire agli studiosi del campo empirico i nuovi orizzonti in modo da poter assumere una più ampia nozione della scienza. I teologi d’oggi potrebbero svolgere un grande ruolo in tale progetto e avanzare il dialogo tra i due ambiti. L’atteggiamento del teologo di fronte alle scienze sarà allora quello di lasciarsi arricchire e di ricevere e, dall’altra parte, di contribuire, di impegnarsi e di dare ciò che e peculiare nell’ambito del sapere teologico. Tutto questo ci mostra l’importanza e l’attualità di fare una ricerca teologica dal carattere interdisciplinare in una serena apertura agli altri ambiti della conoscenza umana.