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Recensione: Christopher Southgate, The Groaning of Creation: God, Evolution, and the Problem of Evil

 
 
 
Foto Oviedo Lluis , Recensione: Christopher Southgate, The Groaning of Creation: God, Evolution, and the Problem of Evil, in Antonianum, 84/1 (2009) p. 166-168 .

Le visioni scientifiche contribuiscono dalle volte a reimpostare I termini di diverse questioni teologiche, e persino forniscono delle chiavi per risolvere vecchie querelle. Contro quelli convinti che la scienza sia un disturbo se incorporata all’elaborazione teologica, i critici dovrebbero essere consapevoli del fato che certe idee scientifiche pure aiutano ad affrontare problemi che sembravano intrattabili. Il caso del darwinismo evoluzionista e il cosiddetto “problema della teodicea” forniscono un ottimo caso in merito. Southgate ha pubblicato un saggio eccellente nella migliore tradizione della teologia e la filosofia della religione, facendo i conti con la sfida che pone la presenza di forme di sofferenza animale apparentemente ingiustificata.

Il libro restringe la portata della sua ricerca riguardo l’esperienza della sofferenza all’ambito degli animali non umani. Essa appare spesso come gratuita e crudele, e non può essere risolta in termini di equilibrio riguardo valori più elevati, come la libertà, la maturità o una tensione consapevole in favore di un mondo migliore, come accade dagli umani. Gli animali invece non hanno tali caratteristiche, almeno per quanto possiamo accertare. In questo caso il problema sembra più radicale, e infatti diversi autori puntano a tutta quella sofferenza come una contro-prova riguardo ad ogni aspettativa teista in un dio compassionevole.

Il libro di Southgate e ben strutturato. Dopo di aver stabilito chiaramente i termini del problema, procede a una revisione delle “Vie da non intraprendere” o le teorie che ritiene insoddisfacenti per fare i conti con questa sfida. Diversi modelli non riescono a giustificare un tale spreco di energie e la costosa estinzione di tantissime specie: la proposta del “disegno intelligente” e un caso chiaro di tale fallimento; ma pure Theilard de Chardin e persino la teologia del processo cadono sotto la stessa critica. Inoltre le strategie che puntano a sgonfiare alcune idee teologiche non vi riescono neppure: una lettura troppo letterale del paradiso e della caduta, non basta e appare come una scelta poco appropriata.

Il secondo passo consiste nell’esplorare le “strategie delle teodicea evoluzionista”.

Il principale argomento sviluppato e una teoria “dell’analisi del bene-danno”. L’idea e che il modo migliore, o forse l’unico, che ha la natura per raggiungere la sua creatività e le forme superiori sia attraverso un processo che richiede una quantità considerevole di sofferenza ed estinzioni. Non c’e forse un altro mezzo per arrivare a simili estremi di complessità e di eccellenza naturale. Si tratta di un prolungamento della nota teoria dell’equilibrio tra valori e disvalori, ma oltre l’ambito della liberta umana, che tradizionalmente ha sviluppato la teologia cristiana. Adesso una simile mossa si stende agli altri animali, resa possibile grazie alle nostre conoscenze delle tendenze evoluzioniste. Dovremo quindi renderci più consapevoli dei “costi dell’evoluzione”, che riporta risultati superiori attraverso l’unica via possibile, che implica molto dolore.

I capitoli seguenti offrono un esercizio di ricostruzione teologica, nella migliore tradizione dell’ermeneutica cristiana. Le grandi questioni in gioco sono la sofferenza di Dio che accompagna quella della creazione, la dinamica della redenzione, e le aspettative escatologiche per tutto quel altro settore della natura che restava ai margini del processo ultimo di rigenerazione. Ovviamente questi paragrafi si sviluppano all’interno dei modelli cristiana standard, come una specie di avviso che la scienza può divenire una buona compagna della teologia tradizionale, e non soltanto una concorrente o una forza distruttiva, che richiede il sacrificio di credenze profondamente radicate.

E’ di grande interesse la ripresa di alcune idee della teologia tradizionale alla luce nuova fornita dalla biologia: il tema della provvidenza divina e dell’espiazione vengono assunte entro la nuova cornice. La provvidenza diviene così piuttosto una sorte di anelito entro un processo di “co-sofferenza”.

Gli eventi cristologici possono essere letti entro un riferimento più largo che comprende tutta la natura sensibile in un processo di redenzione. In modo simile, si postula un ambito escatologico per le creature non umane vittime in tale processo inevitabile per il miglioramento naturale.

Gli ultimi capitoli hanno un tono più pratico. L’identità e il ruolo degli umani e riveduto entro il nuovo contesto, e di conseguenza, si rivendica la loro condizione come amministratori del mondo creato. Il vegetarianismo può diventare come un mezzo per diminuire la sofferenza, anche se non si concepisce come un imperativo per i cristiani.

La cosa più intersante di questo nuovo approccio e che la cosiddetta“teodicea evoluzionista” diventa una chiave per l’impegno teologico, o in altre parole, una cornice ermeneutica che consente un resoconto più positivo della traumatica esperienza della sofferenza animale. Southgate non e l’unico ad intraprendere questa strada. Uno dei grossi meriti del libro e la grande quantità d’informazione riguardo autori impegnati con questo problema.

Alcuni titoli recenti da aggiungere sarebbero: il libro di Francisco Ayala,“Darwin’s Gift: To Science and Religion” (2007); e il saggio quasi gemello Nature Red in Tooth and Claw: “Theism and the Problem of Animal Suffering” (2008). Questi esempi invitano a riconoscere che la teoria evoluzionista offre un nuovo fondamento e istrumenti teoretici per affrontare, e persino risolvere, certe questioni teologiche. Può risultare in qualche modo strano che la teologia possa offrire in questo anno 2009 un omaggio a Darwin nel secondo centenario della sua nascita, per quanto essa assume il suo contributo per l’avanzamento dello studio teologico e riconosce il suo servizio per un migliore impegno tra fede e ragione.