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Recensione: O. Todisco, La libertā fondamento della veritā. Ermeneutica francescana del pensar occidentale

 
 
 
Foto Serafini Marcella , Recensione: O. Todisco, La libertā fondamento della veritā. Ermeneutica francescana del pensar occidentale, in Antonianum, 84/4 (2009) p. 763-767 .

In questo volume, l’Autore intende tracciare un itinerario che ha come filo conduttore il tentativo di “riproblematizzare la liberta” per recuperarne il significato autentico: come intendere la liberta, di per se creativa, quando invece si rivela ed è distruttiva? Quando conferma il nostro ‘imparentamento’ a Dio e quando invece ne rifiuta ogni relazione? La risposta, che l’Autore ha maturato a confronto con la Scuola francescana, risiede in una relazione autentica tra libertà e verità, nel passaggio da una prospettiva il cui fondamento e la verità, che porta alla chiusura in se stessi, a una prospettiva in cui la verità è subordinata alla libertà, che diventa fondamento di apertura all’altro. Il volume, come specificato nel sottotitolo, si presenta come una rilettura della prospettiva francescana che, ad avviso dell’Autore, potrebbe fornire un criterio ermeneutico significativo per illuminare le ambivalenze della modernità.

Lo sfondo problematico da cui nasce il testo e la persuasione che l’età moderna sia caratterizzata da una attitudine al possesso e al dominio che ha portato al fondamentalismo e al totalitarismo. Tale consapevolezza ha convinto l’Autore dell’urgenza di una proposta teoretica alternativa che metta al centro la libertà creativa, spazio privilegiato del pensare e chiave ermeneutica della storia (cfr. pp. 546-547). La tesi centrale di questa prospettiva, che è quella della Scuola francescana, e l’idea che la liberta sia l’anima segreta, il‘fondo luminoso’, della verità. Il carattere innovativo di tale assunto consiste nello spostamento dell’attenzione dalla verità alla libertà; l’originalità, e la provocazione in essa contenuta, risiede nella lucidità e coerenza con cui l’Autore esamina, in modo attento e rigoroso, le implicazioni contenute nell’affermazione del primato della verità: l’idea, rassicurante ma altrettanto pericolosa, di una verità immobile, identica e prefissata a cui tutti devono inchinarsi, Dio compreso. Al contrario, l’idea che la libertà animi la verità apre al pluralismo e al dialogo, valorizza le differenze e l’originalità di ciascuno. L’Autore tenta cosi di ‘liberare’ la verità da quello spirito possessivo che ha caratterizzato parte consistente della storia umana, in particolare la modernità.

La radicalità della proposta francescana consiste nella tesi secondo cui noi e il mondo siamo un ‘volitum’, espressione della liberta divina, e dunque un dono, chiamati ad essere fedeli a tale essere, perche se ne prolunghi la logica e se ne testimoni la fecondità. Questa prospettiva si traduce in atteggiamenti concreti: subordinare ogni cosa al soggetto nella sua singolarità, garantire la libertà e sollecitare la creatività, smorzare la durezza delle costruzioni dottrinali, mostrare il carattere strumentale delle istituzioni e del potere. Per i pensatori della Scuola francescana (Bonaventura, Pier Giovanni Olivi, Duns Scoto, Alessandro d’Alessandria, Guglielmo di Occam) infatti ≪il mondo e più l’opera di un artista che il disegno di un geometra; e voluto più per sorprenderci che per saggiare la nostra intelligenza; e la storia e più il compendio dell’umana libertà che l’esito incontrastato di un’inviolabile necessita≫ (p. 10). Tradotta in termini filosofici, questa liberta si esprime in una stretta relazione tra bene e vero, laddove però al primo posto c’e il bene e, in posizione subordinata o derivata, il vero: il bene infatti e anima della libertà creativa, il vero sua traduzione storica, rivestimento fragile e variabile (cfr. p. 10).

Il testo si compone di vari saggi che, da diverse angolature, mirano a evidenziare il primato della gratuità e del bene nella scuola francescana; è una visione del mondo caratterizzata da meraviglia, gratitudine e senso di riconoscenza, e assume una forte connotazione etica che si traduce in apertura alla relazione e accoglienza dell’altro. Di conseguenza, la diversità non è limite o conflitto, ma ricchezza, dialogo e confronto, contro ogni rischio di ‘totalitarismo’ legato alla pretesa di possedere l’unica e totale verità che non cerca i germi di bene ovunque presenti.

La scuola francescana ritiene che il mondo sia espressione della libertà di Dio, la storia il compendio della liberta dell’uomo: Dio avrebbe potuto non creare il mondo e l’uomo avrebbe potuto scrivere una storia diversa, entrambi non sottomessi a una verità neutra e impersonale, eterna e inviolabile, di cui sarebbero soltanto gli interpreti o gli esecutori.

Nella mentalità greca non c’e liberta, ma tutto e sottomesso al destino e alla necessità; c’e la convinzione che perfezione e necessita si identifichino, e che la liberta sia solo indeterminatezza tra possibilità alternative, poiché le cose sono come sono da sempre e per sempre, nel quadro di una logica circolare, inflessibile e inviolabile.

La prospettiva francescana al contrario e decisamente radicale, perchè la libertà risulta fondo effettivo dell’essere; ciò non significa che il mondo sia irrazionale: la razionalità è infatti la forma che il gesto creativo assume nel tempo, quindi soltanto una prospettiva, un aspetto parziale che non ne esaurisce la ricchezza.

La libertà è il cuore dell’antropologia francescana: Duns Scoto insegna che la contingenza e un modo d’essere positivo. Per la filosofia classica, invece,

‘contingenza’ era sinonimo di ‘assenza di significato’, ‘essere per caso’; compito della filosofia era dunque il tentativo di risolvere il contingente nel necessario, la libertà nella necessità, per estinguerne la fonte angosciante, il ‘niente’, radice di angoscia. La filosofia pertanto si configurava come salvezza dalle instabilità, tentativo di controllo del contingente, una forma di potere e dominio.

La scuola francescana, privilegiando la libertà, mette al primo posto la volontà piuttosto che la ragione, la libertà più che la verità, in una logica che è quella del dono, senza perche ma proprio per questo fonte di senso: ≪Il regno della contingenza non è cifra dell’insensato o del casuale, ma luogo privilegiato di liberta creativa. E l’ontologia della libertà, secondo cui l’uomo è creato perchè moltiplichi gli scenari dell’essere, confermandosi immagine di Dio. (…) Qui la verità è nota, perchè si sa che è la libertà la verità dell’essere≫ (p. 142).

In tale contesto, la volontà non viene intesa solo come desiderio e possesso, ma soprattutto come capacita oblativa, eco dell’amore divino che raggiunge e innalza la nostra umanità.

L’amore è dunque la sostanza della verità: ≪la ‘verità’ è la forma della‘carità’ (…) la razionalità è la traduzione della libertà nel tempo. Le cose infatti non sono perchè razionali. La loro razionalità è espressione dell’amore liberale di colui che avrebbe potuto non volerle e che, essendo somma sapienza, non poteva che volerle in modo razionale. L’anima della razionalità e la libertà. (…) L’essere accade nella libertà, e in quanto tale e bene. Il bene è l’altro nome della liberta≫ (pp. 154.55).

Il primato della razionalità ha condotto la civiltà occidentale al relativismo, alla frantumazione della realtà e dell’io, al prevalere della logica della supremazia e del dominio; la Scuola francescana al contrario apre al pluralismo.

Mentre il relativismo polverizza il vero in tanti veri, il pluralismo offre una pluralità di interpretazioni del vero, inteso come sorgente unitaria.

Il pluralismo allude a versioni parziali di una ricchezza comune; sfocia nel relativismo quando, invece di mettere in evidenza la sorgente, pone in primo piano la varietà indisciplinata delle istanze: solo la libertà creativa è custodia del pluralismo.

≪Nella prospettiva francescana la grandezza si misura in base alla capacità di volere ciò che si ha, nel senso di prendere coscienza della sua gratuita,e quindi di volere ringraziando, nell’assunto che non è grande colui che ha ciò che vuole, ma colui che vuole – ama, apprezza – ciò che ha≫ (pp. 186- 87). Siamo al nucleo della relazione tra la veritas e la charitas: ≪l’essere non va interpretato nei termini di diritto, ma di dono, e dunque nel quadro della riscoperta della carità come “fonte” o come volto genuino dell’essere≫ (p. 189). In tale prospettiva la conoscenza e ri-conoscenza, le cose rinviano al dono gratuito di chi le ha volute. Dio infatti ha comunicato il suo bene nel tempo, ha conosciuto la sua creatura poichè prima l’ha amata; in questo senso, l’amore e anima del vero, il mondo e dono che Dio liberamente ha fatto all’uomo per esprimergli il suo amore, invitandolo a dare testimonianza del carattere dinamico del bene. L’ultima parola del bene e il silenzio, in cui la conoscenza si trasforma in contemplazione; anche se trae spunto dal mondo, il bene eleva l’anima insieme al mondo e la proietta nella trascendenza: “il bene non porta lontano dalle creature ma porta le creature lontano” (p. 215).

La forma espressiva più significativa della libertà creativa e la bellezza, la cui sorgente e la gratuita, anima e nucleo della liberta; il bene è dunque la radice estetica dell’essere: ≪Dio non ama ciò che è, ma è ciò che ama. Le creature sono il capolavoro della fantasia amante di Dio≫ (p. 253). Il mondo pertanto esprime la libertà e insieme la sapienza divina: questo il principio luminoso del pensare francescano, il primato dell’amore, non alternativo alla verità, poichè questa è la forma che l’amore assume allorchè viene all’essere; amore e liberta sono due lati dello stesso mistero.

Risultano estranei a tale stile il pessimismo esistenziale e lo scetticismo radicale: ≪Anche nel mezzo delle contraddizioni più crude, il francescano è sorretto dalla segreta speranza che pur si dia una segreta via d’uscita. E l’occhio che cerca il bello, diffuso anche la dove non si sospetti. Anche la tristezza ha la sua nobiltà, come nella casualità c’e forse nascosta una più profonda razionalità. (…) Il francescano ricerca il senso anche nel cuore del non-senso e addita la via d’uscita anche dalle contraddizioni più crude≫ (p. 254). La ragione che non rende grazie, al contrario, rimane prigioniera della propria logica, intenta a costruire la piramide della tracotanza razionale, al cui centro c’è l’io, non Dio; si tratta di una logica di segno necessario, che non ha niente a che fare con la libertà creatrice divina da esaltare rendendo grazie e lasciandosi avvolgere dalla stessa gratuita.

Tali premesse comportano notevoli implicazioni anche nel campo dell’economia e della politica, come evidenzia il pensiero di Alessandro d’Alessandria (cfr. pp. 299-373). La gratuita come fondo dell’essere infatti esige che ogni espressione della vita venga offerta, non imposta, alla comunità.

La storia testimonia che i francescani hanno lavorato assiduamente per contribuire a far nascere uno stile non conflittuale e distruttivo, ma pacificante e costruttivo.

Anche la storia assume un volto nuovo: protagonista e l’uomo, ma custode del tempo e Dio. Antropologia e teologia, ragione e fede si incontrano, confermando la complessità della storia e la difficoltà di decifrarne la trama.

La storia si presenta come un insieme di gesti liberatori, spazio di creatività.

Alla luce di tali premesse si comprende il progetto di Raimondo Lullo di una concordia universale tra razze e religioni diverse, nella consapevolezza che il sapere ha senso solo se e la veste dell’amore, suo frutto o espressione(cfr. pp. 453-80). Lo stile di pensiero e di vita di Raimondo Lullo e segnato da un incessante desiderio di relazione e ricerca dell’altro, espressione significativa della versione francescana del logos, inteso come gioia di comunicare ciò che si ha e si è, per accrescere il numero di partecipanti al banchetto dell’essere, secondo una logica partecipativa, non contrappositiva.

La difesa della liberta salvaguarda lo spazio del mistero, inteso come trascendimento dell’agente rispetto alle progettazioni, in una asimmetria qualitativa tra effectum e volitum. E’ la dimensione dinamica dell’essere, espressione del primato della liberta, divina e umana, intesa come dono prima che conquista. La consapevolezza di se stessi come dono da parte di chi ci ha voluto predispone alla lode e alla gratitudine verso costoro, cui dobbiamo più di quanto pensiamo.