Fiorentino Francesco ,
Recensione: AA VV, Filosofia in volgare nel Medioevo,
in
Antonianum, 79/1 (2004) p. 189-191
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Nonostante le varie mediazioni culturali ed intellettuali, chi scrive o parla una certa lingua si rivolge ad altre persone in grado di leggere o di comprendere nella stessa lingua quanto è scritto o detto. Queste persone costituiscono il target naturale, il pubblico privilegiato al quale l’autore di una certa opera si riferisce più o meno intenzionalmente. Perciò, chi scriveva in latino nel Medioevo occidentale si rivolgeva ad un pubblico che conosceva il latino, così come chi si esprimeva in greco o in arabo comunicava con un pubblico in grado d’intendere il greco o l’arabo, sebbene non mancassero le traduzioni dal greco all’arabo ed al latino.
Anche per effetto dell’epistola carolingia de litteris colendis il latino, parlato da una ristretta élite intellettuale, diveniva la lingua internazionale dell’ epoca, il principale veicolo dell’elaborazione, dell’insegnamento e della diffusione della cultura medievale, fino ad identificare uno specifico ambito socio-culturale, nel quale il pensiero cristiano e l’essenza della Scolastica apparivano svilupparsi in modo unitario ed armonioso.
Questo libro contiene gli atti del Congresso, organizzato dalla S.I.E.P.M. dal 27 al 29 settembre 2002 a Lecce; come evidenzia Luca Bianchi che conclude i lavori, ci si è proposti di indagare il rapporto tra la filosofia, elaborata nei principali centri di produzione del sapere quali i monasteri, le scuole cattedrali, le università, gli studi degli ordini religiosi, e quella, sviluppata in altri ambienti e luoghi culturali come le corti, i circoli d’ordine in cui il latino non fosse il veicolo privilegiato della comunicazione scientifica.
Come sottolinea Loris Sturlese, che introduce i lavori congressuali, attraverso tale indagine è possibile osservare l’importanza della libera varietà delle tradizioni culturali, dei dibattiti regionali nel Medioevo, giacchè la volgarizzazione d’una certa opera latina non implicava soltanto la sua trasmissione ad un pubblico diversamente alfabetizzato, ma anche la trasformazione contenutistica della stessa opera volgarizzata in vista di specifici progetti pedagogici o riformatori. Il volgarizzatore non traduceva verbum de verbo, ma modificava, interpretava, arricchiva il testo originale così da proporre una nuova opera con una propria filosofia.
Il fenomeno della volgarizzazione cresceva nel XIII e nel XIV secolo allorchè aveva un’influenza profonda e pervasiva primariamente nel campo etico e politico (con la traduzione dei trattati antichi e medievali), secondariamente in quello teologico, mistico ed infine nell’ambito scientifico.
Ad esempio, come spiega Alessandro Ghisalberti nel suo intervento, relativo alla cosmologia dantesca dal Convivio alla Commedia, l’Alighieri coltivava le arti liberali, ossia scientifiche, ed in particolare la cosmologia, che non era opposta alla cultura comune; la scienza teologica s’intrecciava con la poesia, mitopoieticamente intesa e verificata dalla teologia sotto le paradisiache spoglie di Beatrice.
Nella quaestio de aqua et terra, disputata a Verona il 20 gennaio 1320 un anno prima della morte, Dante, alla guisa d’un maestro scolastico, pensava che la maggior altitudine di alcune terre asciutte rispetto al livello del mare dipenda dalla volontà divina, attribuendo la causa fisica della loro emersione all’inf-luenza delle stelle, site nell’emisfero boreale prospiciente secondo la teoria comunemente accettata nel Medioevo occidentale. Così facendo, Dante tentava di sciogliere un nodo aporetico, emerso nell’ultimo canto dell’Inferno, in cui egli sembrava sostenere che vi fosse stata della terra emersa già prima della caduta di Lucifero e della creazione del mondo. Dal canto XXXIV si deduce che la terra dell’emisfero boreale si sarebbe sollevata per la compressione della terra dell’emisfero australe dal basso, e che la cavità infernale si sarebbe prodotta per il fatto che la terra del centro del pianeta, in seguito alla caduta luciferina, sarebbe fuoriuscita per andare a formare la montagna del Purgatorio. Perciò, l’Inferno ed il Purgatorio sembrano corrispondere a luoghi suscitati dalla sopravvivenza del male e non dal progetto provvidenziale di Dio, che ha previsto sia la caduta luciferina che la costituzione dell’essere umano (allo scopo di rimpiazzare gli angeli caduti), l’istituzione dell’Eden in cima alla montagna del Purgatorio, la successiva caduta dell’essere umano, la creazione dell’Inferno (per contenere il male) e del Purgatorio (in vista della redenzione dell’essere umano), infine l’incarnazione e la resurrezione di Cristo a Gerusalemme.
La paradisiaca rettifica di Beatrice sfocia in ulteriori conseguenze cosmologiche, tendenti ad avanzare la concomitanza dei disegni dell’ordine del creato e della progettazione delle sostanze, prima della caduta luciferina; per cui, le sostanze puramente attuali occuparono la parte superiore del mondo, mentre i quattro elementi puramente potenziali tennero quella inferiore, la sfera sublunare; nel mezzo, nella quintessenza celeste, si strinse un vincolo che “non si dirima” secondo la tesi aristotelica dei cieli ingenerabili ed incorruttibili. Dopo circa venti secoli dalla creazione delle sostanze puramente attuali quali gli angeli, la caduta fisica di quest’ultimi, moralmente ribelli, causò l’inizio della generazione e della corruzione del mondo sublunare, misto di atto e di potenza.
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