Czortek Andrea ,
Scuola superiore di Studi Medievali e Francescani. Convegno Internazionale "Clara claris praeclara",
in
Antonianum, 79/1 (2004) p. 193-202
.
Promosso dall’Istituto Teologico di Assisi, in collaborazione con la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani del Pontificio Ateneo Antonianum di Roma e con l’adesione dell’Istituto Francescano di Spiritualità di Roma, della Società Internazionale di Studi Francescani di Assisi e del Centro Interuniversitario di Studi Francescani di Perugia, si è tenuto ad Assisi, nei giorni 20-22 novembre 2003, il convegno internazionale Clara claris praeclara. Collocato nell’ambito delle celebrazioni del 750° anniversario della morte della santa, il convegno non è stato una mera occasione celebrativa, ma ha segnato un decisivo passo in avanti nella conoscenza di Chiara d’Assisi e dei primi sviluppi del movimento religioso a lei legato, mettendo a confronto studiosi operanti in diversi centri di ricerca, sia statali che ecclesiastici, sia appartenenti al mondo francescano che non. Le tre dense giornate di studio sono state aperte nel pomeriggio di giovedì 20 novembre.
Dopo il saluto delle autorità accademiche, religiose e civili, Enrico Menestò ha tenuto la prolusione inaugurale, sul tema Lo stato attuale degli studi riguardo a Chiara d’Assisi. Partendo dal duplice interrogativo sull’esistenza della necessità di un bilancio storiografico e su quale ne possa essere il punto di partenza chiaro e giustificato, Menestò ha individuato negli anni 1992-1994 lo snodo cronologico vero e proprio nell’ambito degli studi su Chiara d’Assisi: la celebrazione dell’ottavo centenario della nascita, infatti, provocò una numerosa serie di iniziative di studio che seppero rivitalizzare l’interesse storiografico attorno a Chiara e al “suo” movimento. In questa panoramica bibliografica poco più che decennale, ma certamente molto ricca ed eterogenea, Menestò ha compreso anche due studi che rimangono fuori dall’arco cronologico così delimitato, ma che costituiscono punti di riferimento imprescindibili, senza i quali non si avrebbe una precisa comprensione degli sviluppi storiografici successivi: il saggio di Clara Gennaro sul francescanesimo femminile del XIII secolo e la monografia di Marco Bartoli (entrambi del 1989). Per quanto riguarda gli scritti e le fonti agiografiche Menestò ha ricordato l’edizione delle lettere ad Agnese di Boemia curata da Giovanni Pozzi, quelle della Legenda di Tommaso da Celano e del volgarizzamento del processo di canonizzazione dovute a Giovanni Boccali. Nell’ambito della produzione degli anni 1989/1992-2003, Menestò ha isolato il problema della autenticità del testamento e del privilegium paupertatis, ripercorrendo le tappe del dibattito sviluppatosi a seguito degli studi presentati, pressoché contemporaneamente, da Ovidio Capitani e da Werner Maleczeck i quali, tra 1994 e 1995, sollevarono seri dubbi sull’autenticità dei due documenti; tra 1995 e 1996 Niklaus Kuster e Emore Paoli intervennero nel dibattito sostenendo l’autenticità dei due testi. L’ultimo, in ordine di tempo, a intervenire nella questione è Attilio Bartoli Langeli. Dal canto suo, Menestò ritiene falso il privilegium paupertatis, ma autentico il testamento. Lo studioso ha poi individuato altri temi particolari, indicando i più rilevanti apporti storiografici recenti in rapporto alla mistica (per la quale Menestò parla di mistica sponsale, che permette a Chiara di uniformarsi a Cristo più interiormente che esteriormente); allo stile e alla lingua delle lettere ad Agnese di Boemia; agli scritti; alla legislazione; all’agiografia; al significato antropologico dei miracoli; all’iconografia e al culto. Citando i numerosi contributi che danno la dimensione del notevole lavoro svolto negli ultimi anni, Menestò ha isolato gli studi di Clara Gennaro, Marco Bartoli, Maria Pia Alberzoni e Jacques Dalarun. Clara Gennaro fin dal 1980 ha analizzato la regola di santa Chiara, vista come testo portatore di una spiritualità nuova, e ha affrontato il tema della clausura, accettata da Chiara, ma rifiutata da altre donne contemporanee; la biografia di Marco Bartoli si presenta completa, ma anche come opera aperta, capace di stimolare un ampio dibattito (dopo lo studio del 1989, nel 2001, ha raccolto gli studi successivi); dal canto suo, Jacques Dalarun, al convegno assisano del 1992, fissava l’attenzione sull’atteggiamento di Francesco nei confronti delle donne, e in particolare di Chiara, alla quale addita l’esempio di una Maria che si identifica con domina nostra paupertas (successivamente, lo studioso francese si è interessato del Francesco di Chiara, nel 1994); Maria Pia Alberzoni, fin dal 1994, studia la differenza di idee tra Chiara e Gregorio IX sul problema della povertà, ma anche i rapporti tra Chiara e frate Elia (nel 1997 ha proposto alcune osservazioni centrate sul 1228, anno in cui si verifica una cesura nella storia di San Damiano).
Stefano Brufani ha affrontato il tema de La costruzione della memoria di Chiara, evidenziando come in Chiara la distinzione tra esperienza e memoria non sia di facile soluzione. Indicando tre chiavi ermeneutiche per affrontare il tema “memoria di Chiara” – e cioè la memoria di Chiara medesima, degli autori francescani, degli autori delle legendae clariane –, lo studioso ha preso in esame il primo punto, cioè quello della memoria di Chiara medesima, analizzando le fonti scritte nelle fasi cruciali della vicenda umana della santa e della sua comunità nella prospettiva del narrante più che in quella dei fatti narrati. La prima testimonianza letteraria su Chiara si ha nella Vita beati Francisci di Tommaso da Celano, scritta tra 1228 e 1230, cioè negli anni del contrasto tra Chiara e papa Gregorio IX. Tommaso scrive quasi una legenda ante litteram, riconoscendo così alla santa una posizione privilegiata che le permetteva di dialogare con la dirigenza dell’Ordine. Una seconda fase è individuata da Brufani negli anni 1247-1252, quando Chiara, con la deposizione di frate Elia, perde il sicuro sostegno del ministro generale; anche Tommaso da Celano prende ora le distanze da Chiara. Nel 1247 papa Innocenzo IV elabora la sua nuova regola, con la quale permette la proprietà comunitaria, e Chiara si sente perciò stimolata a scrivere la propria regola, nella quale la povertà evangelica e il legame con i frati Minori sono presentati come riferimenti peculiari della comunità di San Damiano. Tra 1252 e 1253 Chiara idea e scrive il testamento, attraverso il quale, mancando ancora l’approvazione papale alla sua regola, affida la sua memoria a un testo scritto prima che la memoria degli agiografi sia condizionata da amnesie e silenzi imbarazzanti. Ponendo al centro dei suoi ricordi gli scritti di Francesco per lei e le sue sorelle, la santa trasforma la sua memoria in memoriale della forma vitae. Tre sono le scansioni di questo processo: prima Chiara ottiene il privilegium paupertatis gregoriano, poi dà valore normativo a scritti esortativi, infine trasforma la memoria di Francesco in forma vitae. Chiara persegue una vera e propria politica della memoria; in lei la memoria, parte significativa della sua esperienza e proposta cristiana, si fa forma vitae. Brufani ha presentato il Testamentum di Chiara come rivendicazione della memoria del suo rapporto con Francesco e con i frati delle prime generazioni.
La seconda sessione è stata aperta dalla relazione di Maria Pia Alberzoni, dal titolo Chiara e San Damiano tra Ordine minorita e Chiesa romana. L’intervento della studiosa ha preso le mosse dall’ingresso di Chiara nella primitiva fraternitas francescana, avvenuto con la tonsura. Il definitivo trasferimento a San Damiano significa il definitivo ingresso nella fraternitas a servizio di un ospedale, struttura architettonicamente aperta e priva degli elementi monastico-claustrali, aggiunti in seguito; in tal modo si attua una saldatura tra le due componenti della medesima fraternitas. Gli insediamenti di sorores minores in zone suburbane, e a volte presso ospedali, sono testimoniati da Giacomo da Vitry nel 1216, ma il proprio di San Damiano sta precisamente nella compresenza di fratres e sorores. Questo legame comincia a essere messo in discussione durante l’assenza di Francesco dall’Italia, quando anche Chiara e la sua comunità si confrontano con il cardinale Ugolino, che si occupa di San Damiano a motivo del suo interessamento per i frati Minori. Fin dal 1221 Ugolino considerava San Damiano un monastero sotto la sua giurisdizione, e l’imposizione della forma vitae ugoliniana provoca anche una trasformazione architettonica dell’intero complesso: le sorores sono rinchiuse, non hanno più un accesso diretto a Francesco e debbono ricorrere a intermediari (frate Elia). Dopo la morte di Francesco giungono segnali che smorzano le speranze di Chiara, che vede nella Quo elongati (1230) un passo avanti verso l’inserimento della sua comunità nel novero dei monasteri ugoliniani; ma dal 1226 è accanto a Chiara frate Elia, con il cui consiglio la santa concepisce il disegno di estendere l’esperienza di San Damiano inviando alcune sorores più anziane nei monasteri vicini. Proprio il gruppo Chiara – Elia – Agnese va progressivamente configurandosi come quello che maggiormente tiene viva la memoria di Francesco, e durante gli ultimi quattordici anni di vita di Chiara la memoria del santo diviene sempre più pressante. Nel 1232 l’elezione di Elia a ministro generale garantisce a Chiara il mantenimento del rapporto con i frati Minori (proprio in questi anni è esportata a Praga la forma vitae attribuita a Francesco), ma con la deposizione di frate Elia (1239) le sorores si trovano isolate dall’Ordine, pure se frate Elia mantiene i rapporti con San Damiano ancora per qualche tempo. Un segnale della nuova temperie si coglie nel 1241, nella condanna della Sede Apostolica contro le sorores minores. Il prestigio di Chiara rimane elevato, e nel 1263 è indicata da papa Urbano IV come fondatrice del nuovo Ordine, ma in nessun documento del tempo, né giuridico né biografico, si parla della sua forma vitae. Non si conoscono gli apporti ricevuti dalla santa per la redazione di questo testo, ma la studiosa ha ricordato come, probabilmente, i socii di Francesco non si allontanarono mai da San Damiano, né frate Elia interruppe mai i rapporti con il monastero. Un personaggio chiave potrebbe essere il frate Angelo indicato come socius di Elia, e che probabilmente lo fu anche di Francesco.
La regola di Innocenzo IV è stato il tema della relazione di Giovanna Casagrande, che ha collocato il testo innocenziano in un complesso itinerario, le cui motivazioni vanno ricercate nel proseguimento della linea politica già avviata da Gregorio IX – e volta a conferire uniformità all’Ordine di San Damiano –, nel rapporto con la regola di san Benedetto (espresso dalla seconda lettera di papa Innocenzo ad Agnese di Boemia) e nel fermento che investe le comunità damianite. La studiosa ha evidenziato come la regola innocenziana si distacchi dalla forma vitae ugoliniana su tre punti essenziali, quali la sostituzione della regola di san Benedetto con quella di san Francesco, il legame con i frati Minori (affrontato, più o meno esplicitamente, in sette capitoli), la possibilità di tenere possedimenti e la conseguente istituzione del procurator. Chiara non si oppone a Innocenzo, contrariamente a quanto era avvenuto con Gregorio IX, sia a motivo delle precarie condizioni di salute della santa, sia a motivo della volontà di avere dal papa l’approvazione della propria forma vitae. Tuttavia, il confronto tra la regola di Innocenzo e quella di Chiara mette in luce profonde differenze, dovute alla diversa sensibilità dei due autori: il canonista Innocenzo si impone con la sua cura di dettare norme precise, senza preoccuparsi molto della dimensione spirituale; Chiara, al contrario, si impone proprio per la potente qualità spirituale sulla cui base ha senso stabilire norme da seguire. In ultima analisi, la regola innocenziana si presenta come tentativo di aggiornamento e di sistemazione canonico-giuridica di una realtà fluida e magmatica, ma è pur sempre un tentativo imposto dall’alto.
La seconda regola papale, quella emanata da Urbano IV il 18 ottobre 1263 per tutte le comunità femminili d’area francescana, è stata presentata da Giulia Barone (La regola di Urbano IV). Per capire lo spirito della regola la studiosa si è rifatta alla personalità di Urbano, francese, lontano dall’ambiente religioso centro-italiano, ma vicino a quello, altrettanto vivace, d’Oltralpe. A monte dell’approvazione della regola urbaniana la Barone ha collocato il tentativo dei frati Minori di sottrarsi alla cura delle monache, giudicata troppo gravosa, facendo leva sull’osservanza della regola di san Benedetto. Per eliminare questo ostacolo il papa svincola le comunità femminili dall’osservanza di qualsiasi regola precedentemente seguita ed estende a tutte la denominazione di Ordo sanctae Clarae (questo, anche per semplificare il panorama della vita religiosa, che di lì a undici anni sarà oggetto di un ulteriore, e più drastico, intervento da parte del Concilio Lionese II). La studiosa ha affrontato alcuni aspetti portanti della regola di Urbano, mettendoli in relazione con quella di Ugolino e con la forma vitae di Chiara (povertà, abito, digiuno, clausura). Quella di Urbano, ha concluso la Barone, è un’azione politica volta a inserire in una struttura canonica la forma vitae clariana; le regola di Urbano, se è stata quella “vincente”, lo è stata perché è riuscita a unire diritto e carisma.
La terza sessione del convegno, ospitata nel protomonastero di Santa Chiara, è stata interamente dedicata agli scritti della santa. Andrea Maiarelli e Pietro Messa hanno presentato i risultati di uno studio su Le fonti liturgiche degli scritti di Chiara d’Assisi e il Breviarium Sanctae Clarae, datato attorno al 1230/1233. Già nel XIV secolo questo breviario era collegato a Chiara d’Assisi, e tale tradizione è rimasta indiscussa fino al XIX secolo. Citato negli inventari e nei cataloghi di reliquie degli anni 1465, 1630 e 1654, il documento ha riscosso l’attenzione di Paul Sabatier, che nel 1898 ne attribuiva la redazione a frate Leone. Nello stesso anno, Michele Faloci Pulignani negava qualunque rapporto del breviario sia con Chiara che con Leone. Studi successivi hanno approfondito gli aspetti liturgici, ma hanno trascurato quelli codicologici e paleografici, che invece hanno attirato l’attenzione dei due studiosi, i quali hanno individuato la mano di Leone in un’aggiunta. In ogni modo, anche se il codice non è stato scritto da Leone, ciò non significa che non abbia nulla a che vedere con Chiara e la sua comunità. Dall’analisi dei testi liturgici, dai riferimenti a san Francesco come padre, perché fondatore, dagli adattamenti dei testi all’uso di una comunità femminile si può dedurre l’utilizzo del breviario nella comunità di Chiara.
Le clarisse Chiara Agnese Acquadro e Chiara Cristiana Mondonico, con la relazione su La regola di Chiara d’Assisi, hanno presentato i primi risultati di un complesso lavoro di indagine avviato dalla federazione umbro-sarda delle Clarisse. Le due studiose hanno definito la forma vitae «il capolavoro di Chiara» e hanno evidenziato come nel testo tutto sia orientato a vivere il Vangelo nella modalità, contemplativa e mariana, dell’ascolto della Parola. La forma vitae è, in sintesi, l’incarnazione dell’ideale evangelico nella concretezza della comunità. Il testo, nel quale una dimensione profondamente personale si interseca con la vicenda storica della comunità di San Damiano, potrebbe essere cresciuto progressivamente attorno alla primitiva forma vitae data da Francesco. Un «testo in crescita», dunque, iniziato a scrivere dopo la regola innocenziana, nel quale si riflettono anche elementi della regola di Grandmont. Le due autrici hanno posto in luce i due filoni dell’osservanza del Vangelo e del fare penitenza, presentando in particolare il tema dell’autorità sulla base dei capitoli 4 e 8-9. Un testo, questo, paradigmatico del rapporto della regola di Chiara con quella di Benedetto, nella quale gli aspetti legati all’autorità compaiono solamente nei capitoli 4 e 18. Nella forma vitae clariana le sorores debbono obbedire alla badessa più per amore che per timore; la badessa è ancilla, posta sullo stesso piano delle altre sorores, senza privilegi di sorta e la dimensione dell’obbedienza ha come unica motivazione la promessa fatta a Dio (risuona, in questo, il brano evangelico di Mt 16, 24-25). La diversa concezione dell’auto-rità nella forma vitae clariana rispetto alla regola benedettina è motivata dalla diversa concezione della comunità: nella regola benedettina l’abate è il vicario di Cristo, il maestro della scuola dove si impara a servire Cristo, mentre Chiara è più vicina alla prospettiva di Agostino, che pone il superiore a servizio dei fratelli (ma non mancano gli echi delle regole dei Trinitari e dell’Ordine ospitaliero di Santo Spirito in Saxia, di poco precedenti quella di Francesco). La nuova sensibilità sociale dell’età comunale, dunque, entra anche nelle istituzioni religiose, ben coniugandosi con il concetto di fraternità francescano-clariana.
Reminiscenze patristiche nelle lettere di Chiara d’Assisi ad Agnese di Boemia è stato il tema della relazione di Luigi Padovese, che ha preso le mosse dalla constatazione di come i riferimenti patristici presenti nelle lettere di Chiara ad Agnese di Boemia appartengano prevalentemente al genere delle reminiscenze. Le lettere, non solo dimostrano una buona conoscenza della lingua latina, ma evidenziano anche la cultura di Chiara attraverso l’ampio lessico utilizzato dalla santa, il cui vocabolario è più ricco di oltre 500 termini rispetto a quello di Francesco. A questo proposito Padovese ha fornito alcune esemplificazioni: i lemmi austeritas, contemplatio, vocativo compaiono solamente nel linguaggio di Chiara; paupertas ricorre quattordici volte negli scritti di Francesco e quarantadue in quelli di Chiara; al contrario, negli scritti della santa non si hanno mai diabolus, malum, tentatio, vitium. Nelle lettere Chiara si rivela vicina alla mistica del monachesimo medioevale, attenta al positivo e orientata al bene futuro più che alle pene presenti. Padovese ha indicato alcuni temi che emergono dall’epistolario con Agnese di Boemia: il tema dello specchio in chiave cristologica (pare che Chiara sia venuta in contatto con lo Speculum virginum, 1140 ca., con il quale ha in comune il patrimonio lessicale), Maria come virgo virginum, la vergine sposa e vergine madre, la sequela. Chiara viene in contatto con i testi patristici attraverso il breviario e le omelie, che nel medioevo si nutrono di testi patristici. Tuttavia, è probabile anche che testi patristici siano stati conservati a San Damiano, anche per l’istruzione delle postulanti analfabete entrate in monastero giovanissime. Nel 1228, ad esempio, papa Gregorio IX concede alle Clarisse di Monteluce (Perugia) tutti i libri che furono di frate Angelo. Tra gli autori che riecheggiano nell’epistolario clariano Padovese ha indicato Gregorio Magno, Girolamo, ma anche l’anonimo Sermo de contemptu mundi pseudo-agostiniano.
Leonhard Lehmann ha affrontato La questione del Testamento di Chiara d’Assisi, ripercorrendo in parte, da questa specifica angolatura, quanto già presentato da Enrico Menestò nella prolusione. Partendo dalla prima contestazione mossa all’autenticità del testamento di Chiara nel 1892, Lehmann ha dato ampio risalto alla scoperta di cinque codici in volgare avvenuta a partire dal 1950, scoperta che ha reso possibile la ricostruzione della tradizione di questo testo, altrimenti taciuto dalle fonti biografiche. L’assenza di codici in latino è spiegabile con l’uso che del testo veniva fatto, e cioè la lettura in refettorio. In tal modo, con cinque codici, ai quali si aggiunge l’edizione a stampa di Luca Wadding, si può a buon diritto parlare di tradizione del testamento, la cui autenticità è oggi accettata da quasi tutti gli studiosi. Per Lehmann la questione può dirsi dunque risolta in favore dell’autenticità del testamento, soprattutto dopo l’ultimo studio di Attilio Bartoli Langeli sugli autografi di Francesco e frate Leone. Una prospettiva suggerita dallo studioso è il confronto tra le lettere e il testamento, che dimostra come in quest’ultimo scritto sia ben presente il linguaggio della santa assisana.
La quinta sessione è stata aperta da Carlo Paolazzi, con la relazione Per l’autenticità degli scritti di san Francesco alle “pauperes domine”. Ritrovato nel 1967 da Giovanni Boccali, il testo dell’Audite poverelle risale al 1225, mentre l’Ultima voluntas è del 1226. Recentemente è stata messa in discussione l’autenticità sia dell’Ultima voluntas che della Forma vivendi sulla base del contesto storico, ma lo studioso ha palesato pregiudiziali di metodo a questo proposito. Attraverso l’analisi della Forma vivendi non sono emersi elementi tipici degli scritti di Chiara, bensì è evidente il linguaggio proprio di Francesco. Più delicato il caso dell’Audite poverelle, dal momento che l’attribuzione della conversione delle domine all’esempio dei fratres appare lontana dalla sensibilità di Francesco, sostenitore dell’esclusività della chiamata divina. Per l’Ultima voluntas Paolazzi ha evidenziato le fortissime analogie con la prima lettera di Giovanni: anche in questo caso il confronto con gli scritti ne conferma l’attribuzione a Francesco, che esorta le sorores a seguire il Vangelo di Cristo e la sua povertà. Si tratta di scritti inviati da Francesco a Chiara, e da lei puntualmente riprodotti.
I rapporti tra Chiara e i frati sono stati affrontati da Felice Accrocca, nella relazione Chiara e l’Ordine dei Minori. Lo studioso ha preso le mosse dagli anni ’60 del XIII secolo, anni di polemica tra i frati e le monache di San Damiano. Ancora nel 1266 si hanno resistenze all’adozione della regola di Urbano, e il 31 dicembre 1266 le suore di Assisi ottengono la conferma della regola di Chiara, che rimane osservata anche dopo il 1268. Nella seconda metà del secolo il culto di Chiara si sviluppa nelle chiese dei frati e nel 1263 il capitolo generale di Pisa ne inserisce la festa tra quelle principali dell’Ordine. Successivamente, il capitolo del 1292 stabilisce una verifica dell’ufficio della santa e nel 1340 il capitolo di Parigi equipara la celebrazione della festa di santa Chiara quelle dei santi Francesco e Antonio. Accrocca si è interrogato su cosa conoscessero realmente i frati di Chiara, che nel 1282 (Meditatio pauperis in solitudine) è presentata come la nuova Eva, nata dalla costola di Francesco. Sulla scorta dell’Olivi, Chiara è indicata come la luna, inviata insieme al sole-Francesco, dal quale riceve luce. Tuttavia la figura della santa appare idealizzata e di scarsa consistenza storica. Bernardo da Bessa le dedica fuggevoli cenni, ma significativi, perché paiono dipendere, in parte, dalla conoscenza della regola. Sembra che tra ’200 e ’300 i frati conoscano poco Chiara, e non attraverso la Legenda di Tommaso da Celano; in questo periodo in Assisi sono raccolti i materiali della Compilatio Assisiensis e trova la forma attuale la Legenda trium sociorum: in tal modo la memoria di Chiara, quasi assente nel testo bonaventuriano, viene recuperata all’interno dell’Ordine minoritico, fin tanto che, con gli Actus beati Francisci, la santa viene pienamente reintegrata nel novero del primo gruppo francescano.
Le relazioni tra Chiara e il movimento religioso femminile a lei di poco precedente o contemporaneo sono state illustrate da Jacques Dalarun nella relazione Chiara e il movimento femminile contemporaneo. Lo studioso ha presentato il XII secolo come momento di svolta nella civiltà occidentale, un periodo distinto dal sorgere di numerosi gruppo religiosi, poi destinati a svilupparsi in Ordini, a carattere misto. Con la riforma gregoriana l’ “unità di base” è la persona, e tutte le persone devono formare la Chiesa, indipendentemente dal sesso o dalla condizione di vita. Nella genesi, dall’inizio del XII secolo in poi, le forme di vita religiosa femminile sono molto diverse rispetto a quelle del periodo precedente; anche i termini per indicare queste donne si diversificano (dominae, sorores…). Tutti questi movimenti fanno perno sulla povertà, e il sostentamento delle donne avviene tramite il ramo maschile, oppure per mezzo della questua o la “tassa d’ingresso” rappresentata dalla dote. Da ciò nasce la necessità di una nuova figura a servizio del monastero, quella del procurator. Nel caso specifico del movimento francescano, Francesco non ha avuto un propositum preciso per le donne, e tocca proprio a Chiara riempire questo “vuoto”. Lo studioso ha proposto una convergenza tra quanto avviene ad Assisi e quanto era avvenuto, nel secolo precedente, a Fontevrault, dove Roberto d’Arbrissel aveva lasciato a una donna la guida dell’Ordine.
Marco Bartoli, nella relazione Chiara e le altre. Il ruolo pubblico delle donne sante nell’Italia del XIII secolo, ha presentato una serie di esempi di donne penitenti per evidenziare l’impatto che esse ebbero con la vita pubblica del loro tempo insistendo sul ruolo di Chiara e di altre sante dei secoli XIII-XIV e, insieme, mettendo in luce la consapevolezza che esse stesse ebbero del loro ruolo nella vita pubblica (cioè di quella che André Vauchez chiama “influenza politica”) attraverso alcuni “linguaggi”. Il primo linguaggio preso in esame da Bartoli è quello della profezia. Le donne sante, infatti, affidano il loro messaggio anche al linguaggio dei simboli (Sperandia da Cingoli), dei gesti profetici (Rosa da Viterbo). Chiara da Rimini, ad esempio, fa appello alla pubblica opinione per ottenere la liberazione del marito da una pena giudiziaria, ottenendo in tal modo una grazia dalla famiglia Malatesti, che in passato era stata nemica di quella della santa. Bartoli si è soffermato sull’episodio della liberazione della città di Assisi dall’assedio dei Saraceni tramandato dalla Legenda sanctae Clarae virginis: la monaca interviene presso il suo sposo, Cristo, e la sua preghiera diventa, in tal modo, azione. Una valenza pubblica, quella della preghiera, percepita non tanto dalle sante, quanto dalle persone che vivevano loro attorno. Altri “linguaggi” presi in esame dallo studioso sono quelli dei gesti concreti di pace (Margherita da Cortona, Sperandia da Cingoli) e degli interventi in favore di condannati a morte (Sperandia da Cingoli, Margherita da Città di Castello). Molteplici gli strumenti utilizzati, in questa loro “azione pubblica” dalle donne sante, fino a giungere al miracolo. Così è spiegata la testimonianza di sora Francesca sul miracolo di Chiara: per scacciare l’assedio la santa organizza una vera “liturgia penitenziale” per combattere la guerra alla guerra e ottenere la liberazione della città dalle truppe di Vitale d’Aversa.
La sessione conclusiva è stata aperta da Giovanni Boccali con la relazione La tradizione codicologica della “Legenda s. Clarae Virginis”, presentata in sintesi, mentre per il testo definitivo l’autore ha rimandato alla pubblicazione degli atti. Nella prima parte del suo intervento lo studioso ha ricostruito le tappe dello sviluppo del culto di santa Chiara, dalla fissazione della festa liturgica al 12 agosto per l’intera Chiesa universale all’inserimento del nome della santa nelle litanie ad opera del capitolo generale del 1272 fino all’estensione della solennità a tutto l’Ordine nel 1292, quando si parla di una biografia della santa già esistente e alla successiva decisione di celebrare la memoria di Chiara così come quelle dei santi Francesco e Antonio presa dal capitolo generale di Assisi nel 1340. La legislazione dell’Ordine indica l’interessamento dei frati per Chiara, testimoniato già dal 1253 con la lettera circolare per annunciarne la morte. Nella seconda parte lo studioso ha analizzato le legendae, che iniziano a svilupparsi attorno al 1255 e si diffondono molto estesamente attraverso il breviario e i codici compilati dalle monache (soprattutto ad Assisi e a Perugia/Monteluce). I codici sono raggruppabili in tre gruppi: quelli contenenti la legenda ufficiale (ne sono noti sessanta), quelli con la riduzione latina e quelli con i volgarizzamenti (un elenco, questo, ancora suscettibile di incremento), per un totale di circa duecento codici noti. Nel primo gruppo rientrano i due opuscoli attribuiti a Tommaso da Celano, e cioè la vita di Chiara e la raccolta dei miracoli, dalla quale sono state tratte le parti per la liturgia. Tra le legendae latine, che costituiscono il secondo gruppo di codici, la più importante è la legenda versificata, che presenta interdipendenze con la versione latina ufficiale. Il terzo gruppo è composto dai volgarizzamenti del testo attribuito a Tommaso da Celano, tradotto, parafrasato, aggiornato e modificato a partire dal XIV secolo. Sono noti volgarizzamenti nei volgari italiano, tedesco, francese e fiammingo.
Un particolare aspetto della memoria di Chiara è stato approfondito da Alfonso Marini con la relazione Il recupero della memoria di Chiara nell’Osse-rvanza. All’interno del movimento francescano dell’Osservanza la memoria della santa è recuperata a più livelli: da parte dei frati, nelle prediche per i santi; da parte delle donne, suore e non (riscoperta dal basso); a livello della regola (recupero dall’alto). Tra i predicatori dell’Osservanza, Marini ha evidenziato le figure di Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Mariano da Firenze; soffermandosi sui sermoni di Giovanni da Capestrano, lo studioso ha evidenziato come Chiara, per numero di citazioni, vi compaia più volte di Francesco, seconda solamente alla Vergine Maria. Nel mondo femminile, a partire dall’ini-zio del XV secolo si verifica una riscoperta della memoria di Chiara, favorita anche dall’adozione della regola della santa da parte di molti monasteri che in precedenza seguivano quella di Urbano IV. Un movimento spontaneo, questo, che coinvolse donne di buona cultura capaci di leggere e diffondere gli scritti di Chiara (a Perugia/Monteluce, ad esempio, si sviluppa un noto scriptorium). Il terzo livello di recupero della memoria di Chiara avviene dall’alto, tramite l’imposizione della regola clariana a numerose comunità: all’interno di questo processo di unificazione la memoria di Chiara svolge una precisa funzione coesiva del variegato panorama francescano femminile.
Le conclusioni sono state affidate a Luigi Pellegrini, il quale ha indicato i vari punti di interesse emersi durante i lavori del convegno: Chiara d’Assisi, la sua esperienza cristiana e la sua memoria (quella che lei stessa ha lasciato di sé e quella che altri hanno lasciato di lei), ma anche le ricostruzioni e le reinterpretazioni storiografiche, spesso incoerenti quando non anche contraddittorie. Pellegrini ha messo in luce il contributo apportato dalle relazioni alla questione del Privilegium paupertatis, che giunge alla fine di un impegnativo confronto con Ugolino-Gregorio IX. Letto in tale contesto il Privilegium acquista un preciso significato: diviene una contropartita nei confronti della Forma vitae ugoliniana, che trasforma la primitiva e aperta comunità damianita in un claustrum, con tutte le conseguenze e le rischiose forzature del caso. Un percorso quasi decennale che vede Francesco accanto a Chiara, si direbbe a difesa dell’identità delle sorores di San Damiano nei confronti di altre comunità femminili – sorte per autonoma ispirazione nel contesto di una fervida e incomposta ricerca di testimonianza evangelica –, ormai disciplinate e organicamente inquadrate nella normativa del legato papale. Pellegrini ha posto la domanda circa il rapporto tra Ugolino d’Ostia, che chiede e ottiene le garanzie papali a difesa della scelta di radicale povertà delle prime comunità di Pauperes dominae, e Gregorio IX che impone, o quantomeno favorisce, il possesso di beni le cui rendite possano garantire le claustrali nei confronti dell’indigenza. Anche per l’altro fondamentale testo di Chiara, la Regola, i risultati del convegno sono stati veramente fecondi. Il serrato confronto tra i diversi testi normativi per le Pauperes dominae, dalla Forma vitae di Ugolino alla regola urbaniana – passando attraverso la regola di Innocenzo IV e quella stessa di Chiara – hanno segnato le tappe di un percorso costellato da arresti e ritorni. L’approdo finale è la regola urbaniana, destinata a superare le ambiguità della politica di Innocenzo IV nei confronti delle Pauperes dominae e della normativa innocenziana che di tale ambiguità è espressione, ma anche volta a superare le difficoltà di composizione tra diritto e carisma nell’implicita salvaguardia di quel Privilegium paupertatis che verrà cancellato più tardi da Niccolò IV, primo papa proveniente dall’Ordine dei frati Minori. Dal convegno sono emerse anche figure maschili accanto a Chiara, quali frate Angelo, frate Ginepro, frate Elia e frate Leone; inoltre, è stato ricostruito il panorama della vita religiosa femminile precedente e contemporaneo a Chiara.
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