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Recensione: Ch. Tuckett, The Book of Zecariah and Its Influence,
in
Antonianum, 79/3 (2004) p. 573-574
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Il presente libro raccoglie gli atti di un convegno tenutosi ad Oxford nel 2002, con la partecipazione non solo di studiosi dell’università inglese, bensì anche di quella di Leiden (Olanda). Il tema scelto è il libro di Zaccaria e la sua influenza nel corso della trasmissione del testo. Il piano dei contributi è ben congegnato e si articola, potremmo dire, in tre parti. Nella prima, il libro di Zaccaria è considerato in se stesso e nei suoi problemi interni di tradizione. Mentre L.-S. Tiemeyer esamina Zc 3 per indagare sul retroterra storico del sacerdozio colpevole di Giosué, R. Mason si occupa invece di stabilire una nomenclatura più precisa quando si parla di allusioni o citazioni e lo fa in relazione al Deutero-Zaccaria (Zc 9-14): in realtà, la cosa non è semplice, dato che talora anche la citazione esatta può sottendere piuttosto un’attualizzazione delle antiche parole. T. Collins dedica il suo contributo al contesto letterario di Zc 9,9 e conduce un’indagine d’intertestualità che ben si accorda con l’articolo precedente. J. Tromp mira con il suo studio a dimostrare che Zc 10,1-2 non va letto in associazione con il contesto dei cc. 9-14, come si fa di solito nelle esegesi globalizzanti, ma piuttosto come un’unità isolata da considerare per se stessa: il Tromp è per la qualità compilativa del Deutero-Zaccaria; si tratta di una sua posizione personale che non elimina a nostro parere le ragioni di un autore finale. Il quinto articolo conclude la prima parte e fa da transizione alla seconda; difatti, A. van der Kooij si occupa della testimonianza che il testo greco dei LXX di Zaccaria potrebbe dare circa un processo d’interpretazione già in atto del TM. La seconda parte contiene contributi riguardanti la presenza vera o presunta e il senso dell’impiego di citazioni di Zc nel NT. I testi affrontati sono Matteo (P. Foster), Marco (H. Jan de Jonge, J. Muddiman), Giovanni (C.M. Tuckett, notevole), Giuda (H. W. Hollander). Gli articoli mettono in risalto la prudenza con la quale si deve considerare l’uso di Zc da parte degli autori neotestamentari. Talora le citazioni sono fatte a memoria, talaltra esse non vanno prese tanto come allusione a Zc quanto come riferimento a collezioni di Testimonia in circolazione presso le comunità cristiane primitive; infine, le citazioni vanno inquadrate nel tipo di esegesi perseguita dagli autori cristiani, i quali piegavano gli antichi testi alle loro vedute teologiche, peraltro di profondo spessore speculativo (vedi ad es. Gv 19,37→Zc 12,10, studiato dal Tuckett). Quella che potremmo chiamare la terza parte contiene in realtà solo un contributo, quello circa l’uso di Zc in Giustino e in particolare circa la differenza d’im-piego quando il destinatario era un ebreo, rispetto a quando era un pagano (J.S. Boccabello).
Una bibliografia e alcuni indici completano quest’opera veramente molto utile.
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