Cacciotti Alvaro ,
Recensione: J.B. Percan, Femina dulce malum, la donna nella letteratura medievale latina (secoli X-XIV),
in
Antonianum, 79/3 (2004) p. 585-589
.
Il presente volume, dedicato al tema della donna, inaugura una nuova collana di saggi e ricerche medievali diretta da Teresa Pàroli e pubblicata dalle Edizioni Kappa. Un lavoro decisamente corposo, che esamina la questione de muliebre depositata nei vasti campi della civiltà latina dell’Occidente e restituita dall’autore in tre grandi parti. Nella prima (p. 7-60), si dà conto di un quadro generale della civiltà europea all’alba del secondo millennio e vi si iscrivono ruoli e funzioni della donna, senza tralasciare una ricognizione sull’eredità classica. La seconda parte (p. 61-110) svolge il difficile compito di raccogliere le fonti giuridiche e le interpretazioni teologiche della Bibbia che faranno da base alla “standardizzazione” del discorso sulla donna. La terza parte (p. 111-402), la più estesa e complessa, tratta il tema negli scritti degli autori scolastici e si presenta come l’oggetto proprio della fatica dell’autore. L’articolazione interna ha una struttura didattica già perseguita nelle pagine precedenti e sempre tendente ad informare con rigore. La disamina della letteratura monastica precede un lungo resoconto della letteratura inquisitoria ed ereticale. L’indagine testuale e la presentazione di autori e relativi testi cresce d’intensità e si fa circostanziale nella successiva sezione riservata alla grande scolastica. Una ricca Appendice (p. 403-453) comprensiva di una antologia di testi e una bibliografia aggiornata ed un prezioso apparato di Indici (p. 455-513) degli autori, biblico ed analitico, rendono al lettore un servizio benemerito per chi voglia scandagliare l’argomento in tutte le sue dinamiche. Il volume di Percan ha il pregio, tra i tanti, di aver rintracciato un filo narrativo principe nell’illustrare l’oggetto del suo saggio: la successione testuale che dalla letteratura patristica giunge agli autori scolastici della seconda metà del Duecento, evidenziandone i motivi causanti e i nodi contenutistici. Di tanto in tanto, appaiono opportune le brevi sintesi disseminate lungo il percorso del lavoro, per tracciare i guadagni della ricerca e segnarne una panoramica leggibile. Epoche diverse e i numerosissimi autori citati potrebbero disorientare il lettore in una miriade di rimandi non facilmente assimilabili senza l’opportuna perizia dell’autore. Il problema “donna”, fondamentalmente ereditato dal passato filosofico e religioso dell’ epoca classica, è presente in tutti i passaggi della “standardizzazione” della teologia-filosofia-diritto dei periodi medievali. Uno dei guadagni del volume, pure a fronte della inevitabilità di orientamenti e sottolineature diverse, pare insistere sulle coordinate di una riflessione sulla donna restituite in maniera costante e sostanzialmente identica lungo il lento scorrere del Medioevo. Tesi antica, precristiana e cristiana, dunque, quella che fa perno sulla fragilità peccaminosa della donna, e che si ripete, anzi si aggrava, con l’introduzione dei principi aristotelici sposati al diritto rinnovato. La visione negativa della donna, invece di cedere, accresce il suo bagaglio e ciò avviene in particolare con la teologia dei secoli XII e XIII. I punti nodali riflessi nel variegato intreccio di diritto e teologia rispondono a esigenze istituzionali e letture esegetiche che possono essere richiamati in 2 brevi momenti: 1) La superiorità biologica e intellettuale del maschio. La donna deve sottomissione e ossequio al maschio, il quale deve guidarla e proteggerla. 2) Del primo peccato è colpevole soprattutto Eva che ha creduto al diavolo. Il ruolo maschile è secondario e condizionato dal non voler contristare la donna. Dopo il Lombardo, tale insieme verrà ritenuto una sentenza comune. Come è potuto accadere che tutte le opere degli autori medievali derivassero logicamente una tale visione negativa sulla donna tanto da diventare “dottrina cattolica”: cioè teologia insegnata nelle scuole? A questa domanda e ad altre più specifiche qualificanti passaggi antropologici e morali - con conseguenze sociali e pratiche di estrema gravità -, l’autore non si sottrae, ma ha a cuore di restituire la comprensione del clima socio-culturale per far emergere la cornice entro la quale matura e si approfondisce la sostanziale e inaccettabile negatività della figura femminile. Anche lo snodo particolare registrato a proposito del superamento degli schemi interpretativi della glossa, non sembra offrire l’occasione giusta alla speculazione filosofico-teologica di un affrancamento della donna da un giudizio negativo, poiché l’interdipendenza tra teologia e diritto (in specie ormai col Decretum grazianeo del 1140 – gli scolastici lo tratteranno come auctoritas ecclesiale) diverrà momento strutturale e metodologico. E non varrà certo la perplessità di Tommaso d’Aquino, ad esempio, sul ruolo riservato alla donna dai vangeli della risurrezione di Cristo a rinfocolare una speranza di esegesi diversa che fornisse alla teologia scolastica vie nuove per l’affronto del tema donna. Neanche la figura esaltata della Madre del Signore sortirà apprezzamenti di linea teologica diversa, anzi, per una certa inversione, essa aggrava la considerazione sulla donna. E non c’è bisogno di accentuare ulteriormente come la teologia giustificherà non solo considerazioni teoretiche sulla donna, ma unitamente all’azione giuridica, ritaglierà scenari sociali, ecclesiali, di pura subordinazione ed inferiorità alla donna, fino a raggiungere la nefasta pagina inquisitoriale. Il tono non scandalizzato con cui l’autore redaziona la materia ha il vantaggio di accompagnare con dichiarato intento didattico il lettore nel labirinto di una letteratura sterminata che muove dal costante criterio misogino, senza indulgere alla pur inevitabile sorpresa di affermazioni assurde circa la donna. Relegata in ruoli di madre-moglie e monaca, la donna non ha scampo in una storia fatta da uomini e scritta da uomini: nobili e chierici, sostanzialmente. Per lei il mondo della famiglia e del monastero – e sempre più ridimensionati in confini assai stretti al loro interno – designano la fisionomia sociale di un posto occupato quasi per condanna, certamente per assegnazione o, se si vuole, per delega. Pure con la rinascenza borghese e cittadina non si avranno effetti diversi, semmai si renderà ancor più preciso quel fenomeno assai complesso che invariabilmente trasforma la donna da oggetto del desiderio in un essere astuto e pericoloso capace di invalidare l’onesto, civile e religioso impegno dell’uomo. La riflessione critica del volume pratica la via della informazione prima ancora del giudizio affrettato. Sarà giudizio affrettato se non si raccordano motivi istituzionali e culturali facenti capo non solo alla lenta opera di cristianizzazione della Chiesa di Roma, che cerca di applicare “standard” a tutte le sfere della vita sociale: in capite et membris; ma anche se non si riflettesse sufficientemente sulla natura delle discipline scolastiche in cerca d’espressione scientifica. L’offerta di Percan, a questo proposito, si fa attenta nella proposta di vagliare la letteratura in 3 tipologie: monastica, inquisitoria e scolastica. E nel pur generalizzato panorama complessivo dei periodi medievali si trattano di preferenza nella ricerca autori e motivi di carattere teologico. Molte le domande svolte nel volume e altre taciute per permettere l’apprendimento dei dati, prima di un giudizio definitivo. Pietro Lombardo, Alberto, Bonaventura, Tommaso, e gli altri scolastici hanno di mira il tema della donna o lo trattano secondariamente in connessione ad altri temi? Non si potrà capire l’offerta scolastica (oggetto proprio del lavoro e specialità dell’autore a motivo della sua professione di editore di testi scolastici) se non si ritaglia l’ambito di intervento della stessa che è determinato da una base classica, patristica e monastica che ripete più esiguamente, ma più precisamente nel linguaggio nuovo della scienza. Il sistema teologico appare ben configurato e rigidamente espresso a fronte di un inquadramento istituzionale col quale è imparentato inscindibilmente. Tre sono i campi di affermazione sempre ritenuti dagli autori, pur con la inevitabile diversità non essenziale l’uno dall’altro: il primo è quello del peccato raccontato dalla Genesi, con la solita e ben nota accentuazione d’una maggiore responsabilità di Eva rispetto al primo uomo peccatore. Il secondo riguarda la logica conseguenza di tale inquadramento teologico e giuridico, e cioè l’inferiorità della donna rispetto all’uomo nell’ordinamento gerarchico della società medievale, praticamente in tutte le sue sfere e in tutti i suoi aspetti. La sua riduzione a schiavitù non è un mero eufemismo. Il terzo polo d’interesse degli autori ecclesiastici è la dettagliata, a volte meticolosa analisi della posizione della donna nei riguardi dell’istituzione ecclesiastica, la sua necessaria “secondarietà” nel mondo degli uomini consacrati a Dio, la sua marginalità naturale, e la conseguente “incapacità” ontogenetica della donna di diventare soggetto attivo nella missione sacramentale della Chiesa. (p. 266). Molte le questioni trattate e le risoluzioni vagliate, non ultima il regime celibatario della Chiesa latina connesso e influente sia a livello di istituzione sociale che a livello prettamente religioso-ecclesiale. L’autore assolve il compito di informare e introduce sempre più il lettore in meandri ormai lontani dall’odierna mentalità, ma ancora assai dipendenti da quella della scolastica. Tra le altre tematiche si segnala in particolare la dimensione ecclesiale e religiosa che si trova a monte della nascita e dello sviluppo del variegato movimento femminile del basso medioevo. Anche se il volume lo tratta solo sotto il cappello della reazione inquisitoriale (p. 171-264) – e in effetti molte donne vennero giudicate e condannate quali eretiche e tale prospettiva potrebbe apportare ancora nuovi saperi da aggiungere ai molti già conosciuti – ci sembra che tale collocazione non renda giustizia alla pur flebile novità sulla questione donna apparsa nei secoli medievali. Il tema della donna tramandatoci dalle donne guadagna ampiezza e spessore che la sola prospettiva inquisitoriale, pur descrivendo, non restituisce nel suo completo valore. Da una parte apprendiamo il tenore della repressione perpetrato dall’istituzione, ma dall’altra non possiamo non avvalerci della preziosa memoria conservataci in quest’ambito. E, forse, anche per il tramite di questa letteratura – come sembra suggerire il lavoro di Percan – dovremo considerare piste nuove di ricerca non ancora sufficienti a ridarci la novità rappresentata dalle donne nei vari movimenti femminili. Potremo apprendere ad esempio che queste stesse donne non avevano come primo interesse la questione femminile: non agiscono e soprattutto non scrivono mosse da questo motivo. E se possiamo ritenere che l’orizzonte spirituale fosse l’ambito vero del loro intervento perché non cominciare ad attivare una ricerca che riservi a tale testimonianza letteraria la qualifica di teologia? Molte donne che condividono il pensiero della Porete, ad esempio, sono dichiarate sante per gli stessi motivi per i quali lei è stata condannata. Ugual sorte è condivisa dalle donne con molti uomini di varia estrazione in tutta Europa. Non sarà forse quest’ambito una buona pista di ulteriore esame? Lo studio metodico di tanto e importante materiale potrebbe aprire prospettive inusitate non solo sulla donna vista dalla donna, ma anche su una nuova visione della donna vista dagli uomini. Gli studi specializzati dovranno chiarire che la teologia scolastica non è la sola teologia medievale con parola definitiva sulla concezione della donna e che la quaestio donna, per la scolastica, non è neanche tema tra i più importanti: ecco perché, forse, si continuano al suo interno a ripetere, un po’ stancamente, i pensieri della tradizione. Rimane valida anche l’altra ipotesi di lettura che vede nella essenzialità della proposta scolastica il tentativo di resistere ad enunciazioni e convincimenti istituzionali circa la donna derivanti da altre discipline scientifiche medievali. Il faticoso lavoro di Percan merita il plauso per aver restituito in bell’ordine una materia a volte nascosta nelle pieghe di innumerevoli altri temi, e per aver redatto nella piacevolezza della lettura la narrazione di un soggetto difficile. La sua competenza letteraria, biblica e teologica sortisce il variegato effetto di introdurre l’ignaro lettore in percorsi altrimenti inaccessibili e di strutturare piste riflessive di assoluto rilievo scientifico. Il lavoro offerto da Josip Percan si configura come eccellente vademecum dell’argomento trattato e si pone come riferimento per gli ulteriori studi sulla figura e il ruolo della donna nei secoli medievali.
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