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Recensione: RAOUL MANSELLI, San Francesco d’Assisi. Editio maior

 
 
 
Foto Messa Pietro , Recensione: RAOUL MANSELLI, San Francesco d’Assisi. Editio maior , in Antonianum, 78/4 (2003) p. 727-733 .

A diciotto anni dalla morte dell’A., è stata affidata finalmente alle stampe l’editio maior dell’opera ormai classica San Francesco d’Assisi di Raoul Manselli. Come spiega Marco Bartoli nell’Introduzione (pp. 7-14), l’opera San Francesco d’Assisi uscì nel 1980 a uso degli studenti, senza note bibliografiche. Visto il successo editoriale di quella edizione, e vista anche la contemporanea uscita di “Nos qui cum eo fuimus”. Contributo alla questione francescana, si attendeva la pubblicazione della editio maior con le relative note bibliografiche, che l’A. aveva approntato prima della sua morte, avvenuta improvvisamente il 20 novembre 1984. Casualmente, Marco Bartoli ha saputo che il manoscritto di quella edizione era conservato presso le Edizioni Paoline, ma la sorpresa è cresciuta nel constatare che, assieme alle note bibliografiche, c’erano due nuovi capitoli, destinati ad aprire il volume, dal titolo Le fonti per la storia di san Francesco d’Assisi e San Francesco d’Assisi nel dibattito storiografico. Sono assenti le note del capitolo finale, Dalla Verna alla morte, mentre nel capitolo Francesco nei suoi scritti si fermano alla nota 13.

Tutto il materiale rinvenuto è stato pubblicato con rigoroso metodo filologico, ricostruendo le note bibliografiche sicure, dando invece in parentesi quadre le indicazioni bibliografiche proposte dal curatore, il quale, naturalmente, non ha integrato con studi apparsi successivamente alla morte dell’A.

Marco Bartoli nell’Introduzione evidenzia che, per Raoul Manselli, la vicenda di Francesco d’Assisi non è una storia a parte, ma «appartiene pienamente alla vicenda storica complessiva del XIII secolo europeo e mediterraneo e solo in questa prospettiva può essere compresa anche la sua parabola biografica» (pp. 12-13). Infatti, l’A. cominciò ad interessarsi di Francesco d’Assisi soprattutto a cominciare dal 1973, anno in cui, grazie al suo contributo, rinacque la Società Internazionale di Studi Francescani. Da allora fino alla morte, molteplici furono le occasioni in cui l’A. si occupò di argomenti francescani[1], e secondo Marco Bartoli «l’approccio di Manselli a Francesco d’Assisi è sempre rimasto [...] rigorosamente storico e, in questo senso, rigorosamente “laico”» (p. 13). A riprova di ciò, Bartoli cita un’affermazione di Manselli nel capitolo primo; tuttavia si deve constatare che, in tutto il testo, ma soprattutto nell’ultimo capitolo, Manselli cerca di «costruire e comprendere la sua [di Francesco] concezione di vita, e di quella religiosa in particolare» (p. 20), cioè di fare proprio quanto nel primo capitolo aveva affermato non essere di competenza dello storico, ma degli storici della teologia e della spiritualità. In questa contraddizione tra un’affermazione esplicita di neutralità rispetto alla dimensione spirituale, e la realtà dei fatti emerge il problema, non minimo anche negli studi francescani odierni, del rapporto tra studio della storia e studio della spiritualità. Alle affermazioni di neutralità dei primi, come fa Manselli, non sempre corrisponde un comportamento conseguente. Infatti spesso, e ciò avviene anche per il San Francesco d’Assisi di Manselli, si fanno considerazioni e ricostruzioni che sono più propriamente teologiche che storiche. Così, a proposito del significato della crocifissione di Cristo,  l’A. afferma che «non ebbe per lui [Francesco] portata teologica, ma sempre validità, se è possibile dirlo, esemplare per l’individuo singolo e per quanti vogliono dirsi davvero cristiani» (p. 131). Ugualmente, dopo aver descritto la rinuncia dei beni da parte di Francesco, comprese le vesti, davanti al padre e al vescovo, l’A. scrive che la penitenza «proprio per la nudità e con la nudità, assumeva la forma più rigorosa della sequela Christi, del proposito, cioè, di seguire l’esempio di Gesù nella sua tradizione antica e severa del nudus nudum Christum sequi» (p. 136); in questo caso, Manselli propone una lettura spirituale del fatto, che in parte collima con ciò che è trasmesso dagli scritti del Santo, come quando afferma che Francesco visse la sequela Christi, ma in parte è fuorviante, come l’affermazione secondo cui tale sequela consistette nel nudus nudum Christum sequi, tema completamente assente nei suoi scritti.

Nel capitolo primo, Le fonti per la storia di san Francesco d’Assisi (pp. 15-49) l’A. evidenzia che gli scritti sono fonti di primaria e determinante importanza, mentre le fonti agiografiche sono viziate proprio dalla loro finalità devozionale o esemplare. Tutto ciò, però, non impedisce all’A. di chiedersi anche quale sia il grado di affidabilità reso da Francesco stesso nei suoi scritti; infatti è legittimo chiedersi se per caso anche lui, soprattuto nel Testamento, non «ci presenti un andamento della sua vita non quale realmente fu, ma quale egli la sentì, in un ripensamento tardivo e, quindi, non “vero”, ma “poetico”» (p. 18). La risposta dell’A. è pressoché scontata, da piena fiducia alla testimonianza del Testamento, dal quale è assente qualsiasi autopresentazione apologetica dell’Assisiate. Dopo gli scritti, l’A. presenta i biografi “ufficiali” di san Francesco d’Assisi; sfatando il mito della ricerca del vero san Francesco grazie ad una testimonianza vera che trasmetta notizie altrettanto vere, l’A. giunge alla conclusione che ogni testimonianza è sempre soggettiva. Quindi il lavoro è quello di decifrare questa soggettività, onde determinare la minore o maggiore distanza di un determinato racconto dall’umana realtà di Francesco, che si manifesta prima di tutto nei suoi scritti, assumendo così un valore di rilievo eccezionale. Analizzando le diverse biografie ufficiali, l’A. sostiene che ciò che rese insoddisfacente la prima biografia agli occhi dei frati fu il fatto che essa apparve più informativa che formativa. Successivamente, vengono descritte le “fonti private” tra le quali l’A. presta maggior attenzione alla Legenda trium sociorum, mentre tra le fonti un’evidenza particolare è data alla testimonianza di Giacomo da Vitry. La conclusione a cui giunge Manselli non può essere che una grande fiducia accordata al materiale dei cosidetti compagni: «La conclusione che nasce per lo storico è che, dunque, queste testimonianze hanno un valore tale che le impone immediatamente dopo gli scritti di san Francesco stesso, come quelle che ci consentono non solo di vedere il santo nella concretezza della sua vita (come si suol dire, nel Sitz im Leben), ma anche nelle reazioni che egli suscitava sia in chi gli era immediatamente più vicino, sia in coloro che lo circondavano» (p. 48). Si deve evidenziare che in questo capitolo nessuna attenzione, neppure in relazione alla Legenda trium sociorum, è prestata al cosiddetto Anonimo perugino – ovvero De inceptione – se si eccettua il rimando nel testo alla nota 21, la quale però è stata redatta dal curatore e per questo posta tra parentesi quadre. La non considerazione, per non dire svalutazione, del De inceptione, risulta anche nel seguito del volume, in cui è trattata come una fonte che ignora alcuni fatti (pp. 128n, 194n), vaga e cronologicamente errata (pp. 131-132n), impossibile da confrontarsi criticamente con la Legenda trium sociorum (p. 169n), sciatta e mancante d’accuratezza (p. 170n), improbabile nelle versioni con cui presenta i diversi fatti (p. 191n), scritta da un compilatore «sempre scialbo ed opaco rispetto alla Legenda [trium sociorum]» (p. 260).

Nel capitolo secondo, San Francesco d’Assisi nel dibattito storiografico (pp. 50-71), l’A. evidenzia che Paul Sabatier nella sua opera è influenzato anche dai corsi che aveva seguito, in cui Auguste Sabatier sottolineava l’impor-tanza sul piano religioso di una spiritualità personale, sentimentale, contrapposta a quella ufficiale, dogmatica e istituzionalizzata.

I capitoli successivi rispetto alla editio minor della stessa opera rappresentano una novità soltanto nelle loro indicazioni bibliografiche presentate in nota.

Nel capitolo terzo, L’Europa e la Chiesa alla fine del XII secolo (pp. 72-91), si esprime la preparazione medievistica di Manselli e la sua capacità di leggere Francesco all’interno dell’epoca storica medievale. Il capitolo quarto, Assisi nel XII secolo (pp. 92-99), attinge fondamentalmente dagli atti del quinto Convegno Internazionale di Studi Francescani, pubblicati nel volume Assisi al tempo di san Francesco d’Assisi.

Il capitolo quinto, Il mercante (pp. 100-138), evidenzia soprattutto la questione della cultura di Francesco, all’inizio di stampo laicale-mercantile, che consiste nel saper leggere, scrivere e far di conto, ma che successivamente si arricchisce di una dimensione religioso-teologica grazie soprattutto alla liturgia, che fa anche da tramite per l’acquisizione di conoscenze più propriamente bibliche. L’A. scrive che «il momento centrale della conversione di Francesco non è stato quello pauperistico, ma l’altro, ben più umanamente profondo e valido, della comprensione della comune sofferenza umana dell’anima – la lebbra dell’anima – e del corpo» (p. 109), ovvero «il passaggio da una generosità e liberalità cortesi, fatte cioè per dimostrare la propria nobiltà d’animo, ad una generosità misericordiosa» (p. 126).

Il capitolo sesto, Vivere secondo il modello dell’Evangelo (pp. 139-175),  ruota fondamentalmente attorno al Testamento, a proposito del quale evidenzia che il brano in cui si parla del rispetto e devozione per i sacerdoti è «tanto conchiuso e coerente da sembrare una zeppa» (p. 143). Conseguenza della vita evangelica è vivere con il lavoro delle proprie mani, cosa che andrà scemando, fino a scomparire, per vivere alla fine di mendicità: giustamente l’A. afferma che un problema importante del gruppo è quello inerente al suo mantenimento. Il capitolo settimo, Tra Roma e Assisi (pp. 176-219), accorda una particolare attenzione anche all’adozione e conseguente recita da parte di Francesco dell’ufficio della Chiesa di Roma, il quale ebbe «una notevole importanza per la formazione di una modesta cultura teologica e scritturale sia per il santo, sia per i suoi compagni» (p. 199). L’A., appellandosi anche al Testamento – il quale però si riferisce alla Regola – afferma che Francesco, a differenza della teologia a lui contemporanea, rifiutò qualsiasi interpretazione dei testi. In questo contesto di confronto con la Chiesa, Manselli afferma continuamente che la conversio di Francesco consistette fondamentalmente nel passaggio da uno stato sociale ad un altro, in una scelta di marginalità sociale (pp. 207, 211, 215, 217, 223, 257, 282, 313, 406).

Nel capitolo ottavo, Francesco e Chiara: “fratres et sorores minores” (pp. 220-269), a proposito della chiesa di San Damiano, l’A. sostiene che quello che fu uno scherzo o un momento di fantasticheria, nelle considerazioni post eventum divenne la profezia del sorgere in quel luogo di un monastero di donne guidate da Chiara (p. 245). A proposito della vita evangelica, secondo l’A., mentre i frati possono viverla come «imitazione e ripetizione di quella di Cristo» (in realtà Francesco parla di una sequela Christi, non di una imitatio Christi!) per Chiara e le sorelle essa rimane soltanto un «ideale di perfezione, da tenere sempre presente» (p. 249). Il capitolo nono, L’espansione dell’Ordine tra intervento della curia e la cura delle anime (pp. 270-298), sottolinea tra l’altro la lacerazione vissuta da Francesco tra essere semplice frate tra frati ed essere presente per intervenire nelle discussioni riguardanti l’Ordine (p. 283n). A proposito delle spedizioni missionarie del 1217, è interessante il rilievo che l’unica che ebbe a riscuotere successo fu quella guidata da frate Elia oltre il mare, che tra l’altro fu l’occasione dell’entrata nell’Ordine di Cesario da Spira, personalità di rilievo, che aveva studiato a Parigi alla scuola di Corrado da Spira (p. 288).

Il capitolo decimo, In Terrasanta e in italia: dal martirio alla malattia (pp. 299-340), evidenzia che Francesco, anch’egli influenzato dal ritorno in auge del martirio a cominciare dal secolo XI, si mise in viaggio con lo scopo non del pellegrinaggio, ma del martirio. Il tema che risalta riguardo al desiderio del martirio e la malattia è l’ambivalenza dell’atteggiamento di Francesco nei confronti del proprio corpo (p. 340n). Il capitolo undicesimo affronta il problema de La Regola e le Regole (pp. 341-372), in cui non solo si pone in risalto il confronto tra l’Ordine e le diverse norme istituzionalizzate, ma anche la presenza di altre norme di vita oltre la Regola, come la Regola per gli eremitori. Nel capitolo successivo, Francesco nei suoi scritti (pp. 373-407), si ripropone il problema della cultura di Francesco, anche in riferimento alla difficoltà a recitare l’ufficio (p. 381-382), e all’intervento di collaboratori nello scrivere in un mutuo e continuo scambio di idee, come nel caso dell’Officium passionis Domini (p. 394). Purtroppo, in questo capitolo così importante, le note si fermano al numero 13, ad un terzo del capitolo stesso.

Il tredicesimo, ovvero ultimo capitolo, Dalla Verna alla morte (pp. 408-441), è privo delle note e c’è soltanto un’unica nota bibliografica iniziale, a opera del curatore, che rinvia ad altri studi di Manselli che trattano temi simili. L’A. spiega l’atteggiamento di Francesco davanti agli sviluppi dell’Ordine con la condescensio, ovvero condiscendenza, intesa come «rendersi conto dell’inevitabilità di certi modi di esistere e vivere nell’Ordine ed accettarne le conseguenze implicite, ma sempre che queste non comportino l’abbandono del proprio antico, originario ideale» (p. 418). In questo ultimo capitolo l’A. evidenzia come, al centro della scelta del Santo non vi sia più la marginalità, ma l’amore: «Come sempre nella sua esistenza il suo primo e più vero piano della realtà restava il legame degli affetti nella sequela Christi, anch’essa sempre ispirata dall’amore» (p. 433). Il capitolo, e conseguentemente il libro, si conclude con un tema caro all’A., ovvero quello dell’ultima benedizione di Francesco; essendo per lui Bernardo colui che ha beneficiato dell’ultima benedizione del Santo, per Manselli «veniva, in questo modo, a concludersi ed a coronarsi l’equilibrio che Francesco aveva creato fra norma e slancio, fra regola come organismo giuridico e vita evangelica come ideale perennemente teso a seguire Cristo» (p. 439).

A Edith Pásztor è toccato scrivere l’Epilogo (pp. 442-447), un compito affidatole da Manselli stesso già nel 1979, ma adempiuto soltanto ora rispondendo con le parole e le espressioni stesse dell’A. alla domanda «Chi era, dunque, Francesco d’Assisi per Raoul Manselli?». E la risposta la trova nella sintesi operata dal Santo tra norma e slancio, tra regola e vita evangelica: questa è per Manselli la missione di Francesco, il quale, una volta adempiutala, poteva disporsi ad attendere sorella morte.

Il volume si conclude con una abbondante bibliografia, divisa in fonti e testi (pp. 449-468) e l’indice dei nomi (pp. 469-476).

Il testo di Manselli, ora apparso nella editio maior, che potrebbe sembrare in fondo scontato, è ricco di interrogativi e considerazioni interessanti. Ciò non significa non riconoscere la presenza di toni a volte apologetici, come quando scrive che nel caso di Francesco «dobbiamo sempre pensare che ci troviamo di fronte anche ad un’anima d’eccezione» (p. 112). Oppure quando scrive che «i socii, che lo assistettero quando era ormai malato e dolorante, attestano più volte il suo sentimento di rammarico per il fatto che egli non era nato povero, non aveva conosciuto, come condizione reale, la miseria e la fame» (p. 137). Ugualmente giustifica il silenzio inerente a ciò che accadde alla Verna con il rifiuto dei compagni «di raccontare, di diffondere una esperienza giudicata unica, irripetibile e personale da chi l’aveva vissuta» (p. 412); a proposito di Leone scrive che «amò il suo maestro e fondatore con una dedizione, un rispetto, un senso della verità e, insieme, con una fermezza che, anche attraverso le difficoltà successive dell’Ordine [...] seppe mantenere» (p. 413).

Le note presenti in questa editio maior non sono soltanto referenze bibliografiche, ma vere e proprie riflessioni ulteriori rispetto al testo (ad esempio pp. 283n, 340n), che contengono indicazioni e spunti di ricerca. A distanza di quasi un ventennio, dobbiamo riconoscere che, delle linee di ricerca indicate da Manselli, alcune sono state battute, come quella inerente alla personalità del vescovo Guido d’Assisi (p. 146n) studiata da Nicolangelo D’Acunto, mentre altre rimangono ancora in sospeso, come quella riguardante la «constatazione che manca su Ugolino di Ostia-Gregorio IX un lavoro che renda piena giustizia ad una personalità certo non comune» (p. 271n).

Nella considerazione finale del testo, riportata anche nell’epilogo da Edith Pásztor come tratto caratterizzante del Francesco di Manselli, traspare il problema non solo dell’A., e neppure dei soli studi francescani, ma di un periodo storico, quello post concilio Vaticano II, di coniugare, usando una terminologia cara a Theophille Desbonnets, “intuizione e istituzione”. Per il nostro A. Francesco è colui che ha trovato un equilibrio tra queste due realtà, e probabilmente proprio in questo è la grandezza di Francesco per Manselli. Ciò è maggiormente comprensibile se si considera che Manselli percepiva in sè la tensione tra istituzione e ispirazione, tra gerarchia e carisma: ad esempio nel suo articolo «I problemi ecclesiologici nella seconda metà del Duecento», stampato nel 1975[2] in cui sostiene che nel ’300 è esplosa quella antitesi tra una chiesa intesa come fatto politico-amministrativo (“ecclesia carnalis”) e una chiesa intesa come aiuto alla santificazione dei fedeli (“ecclesia spiritualis”), antitesi che il ’200 aveva vissuto con tanta sofferenza. Al termine dell’articolo egli conclude considerando che «le conseguenze di questo contrasto non si sono concluse né nel ’200, né nel ’300; forse, le ripercussioni lontane sono giunte fino a noi». Tale considerazione riecheggia il dibattito successivo al Concilio Vaticano II riguardante l’opposizione tra carisma e istituzione ecclesiastica. Ebbene, Francesco per Manselli è la soluzione a tale tensione tra norma e slancio, tra regola e vita evangelica. Manselli scrive che trovato questo equilibrio «la missione terrena di Francesco poteva considerarsi compiuta ed egli poteva perciò disporsi, tra il dolore e l’amore di tutti, ad attendere sorella morte» (p. 447). Noi possiamo dire, alla fine della lettura di quest’editio maior pubblicata a quasi un ventennio dalla morte, che con san Francesco anche Manselli aveva trovato la risposta alla tensione del suo tempo, e in parte anche del nostro, tra intuizione e istituzione, e quindi poteva, tra il dolore e l’amore di tutti, incontrare sorella morte.