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Recensione: AUTIERO, A. GENOVESE (a cura), Antonio Rosmini e l’idea della libertā

 
 
 
Foto Fiorentino Francesco , Recensione: AUTIERO, A. GENOVESE (a cura), Antonio Rosmini e l’idea della libertā, in Antonianum, 77/2 (2002) p. 385-386 .

Come scrive Michele Nicoletti in un articolo di quest’ampia miscellanea, frutto del convegno, tenutosi a Rovereto in Trentino tra l’8 ed il 10 marzo 1999 e promosso dal “Progetto Rosmini”, l’itinerario del pensiero del filosofo roveretano, Antonio Rosmini (1797-1855)  sul grande tema della libertà ha il sapore del cammino di conquista e di progressivo approfondimento in cui il momento della scoperta della centralità di questo tema viene accompagnato dall’impegno teoretico per scandagliarne i fondamenti, e dall’impegno pratico per affermare il diritto e tutelarne l’esercizio.

Sul piano teoretico, tra i numerosi apporti rosminiani, altamente originali e fecondi per i nostri tempi, si segnala la dottrina della libertà come tendenza generale di un essere intelligente ad aderire con la propria volontà all’essere nel suo valore oggettivo. Tale libertà viene a coincidere con la suprema legge della tendenza originariamente unitiva ed amativa dello  stesso essere morale, non determinato da alcuna causa esterna; questo essere è principio interno, inclinato ad unirsi con tutte le entità conosciute, di modo che la legge morale della libertà corrisponde al bisogno-perfezione, privo di arbitrio e contigenza, sentito da un essere perfetto e consistente nel realizzare l’ordine risplendente nella idealità. Notevole è anche la dottrina della libertà umana come libertà biletarale, contrassegnata dalla limitazione creaturale e dalla sofferenza della scelta.

Sul piano pratico, Rosmini pensa che la Chiesa possa essere libera nel suo agire, se essa stessa si libera dal vincolo dei beni terreni e degli affari politici non richiesti, se i suoi governanti sono emminenti per santità. Compito della Chiesa è esercitare sui popoli una superiorità morale, strettamente unita con la santità e la giustizia, non con la fragile potenza terrena dei principi. La vera libertà si realizza nella santità donde scaturisce l’armonia della libertà umana con quella divina, il che è possibile solo nell’incontro amoroso.

Sul piano squisitamente giuridico-costituzionale, il filosofo roveretano, in quanto ermeneuta della visione relazionale ed esistenziale della libertà, contestualizzata in una soggettività situata, mossa dalla dialettica dell’amore, sostiene, tra l’altro, la radicale condanna della schiavitù che aliena e degrada l’uomo a strumento, la concezione della  libertà giuridica come principio formale di tutti i diritti, e della proprietà come principio determinativo di tutti i diritti; essi in quanto alla fonte ed alla forma sono diritti di libertà giuridica, intesa come principio formale dell’attività della persona in se stessa; quando tale attività nel suo libero determinarsi entra in relazione con la realtà esterna delle cose, assume il carattere di proprietà come estensione originaria della persona, come principio di personalizzazione delle cose. Mentre sotto l’aspetto della libertà tutti gli uomini sono eguali “in faccia ai tribunali”, dal lato della proprietà essi sono profondamente diversi.

Nel volume in esame, la prospettiva rosminiana è intenzionalmente posta in dialogo con una molteplicità di concezioni diverse della libertà. Ne scaturisce un prezioso percorso di sintesi teoretica sulle avventure della libertà nella storia del pensiero occidentale, a partire da alcuni dei principali nodi problematici che hanno animato la ricerca e il dibattito nelle varie epoche storiche: libertà e destino nel mondo greco; libertà e grazia nel pensiero medievale cristiano; libertà, scienza e potere in età moderna; libertà, responsabilità e “indebolimento” della ragione nell’attuale clima culturale.

Ad esempio, Alessandro Ghisalberti mostra brillantemente come alla vigilia dell’epoca medievale le nozioni di volontà e libertà siano state fortemente rivalutate dal cristianesimo sia sul piano dell’universo, creato da Dio con un atto libero e gratuito, sia sul piano dell’agire creaturale. Come spesso accade nella storia del pensiero medievale, a partire da domande di carattere prevalentemente teologico vengono elaborate importanti acquisizioni teoretiche, applicabili ai più svariati campi epistemici. Nella fattispecie, se il male è comparso nel mondo a causa dei peccati di alcune creature disobbedienti più che ignoranti e se tali peccati comportano punizioni anche eterne, occorre chiarire le ragioni di imputabilità delle azioni delle creature, il grado e la natura di dipendenza  e di autonomia di tali azioni da Dio, il ruolo della volontà umana in generale e della libertà umana in particolare dinanzi alla volontà divina in generale ed alla grazia in particolare. Dalla gnosi ad Agostino, da Boezio ad Anselmo, da Abelardo a Bernardo di Clairvaux, da Tommaso a Bonaventura, Olivi, Scoto, Ockham e Buridano, Ghisalberti nota che fino alla fine del XI sec. la libertà è stata concepita innanzitutto come capacità di scegliere ciò che è veramente bene, dal XII sec. invece, essa viene sempre più considerata come capacità di autodeterminarsi nella scelta. Alla fine del cammino teoretico, preso in esame da Ghisalberti, l’artista Buridano ammette la possibilità che la volontà umana, posta dinanzi a due beni diseguali, possa volere quello, presentatole come minore dall’intelletto, sulla base di eventuali aspetti di bontà, non considerati dall’intelletto; la volontà umana, posta dinanzi a due beni eguali, diversamente da quanto accade agli animali irrazionali come cani, asini o cavalli, può volere un solo bene in funzione del fine.