Paternò Mario ,
Recensione: PASQUALE FERRARA, Non di solo Euro. La filosofia politica dell'Unione Europea,
in
Antonianum, 77/3 (2002) p. 610-612
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Pur tra i dubbi che alcuni lettori potrebbero manifestare per le critiche rivolte al sistema dell'Unione Europea (UE), questo volume giunge in libreria con grande tempismo, contribuendo a far uscire dalla cerchia degli specialisti il dibattito sulle riforme comunitarie. L'Autore, Consigliere presso la Rappresentanza Permanente d'Italia a Bruxelles, inizia il suo ragionamento dalle sfide che deve superare l'UE per diventare un soggetto politico credibile: conciliare la quantità e la qualità del suo sviluppo, far sì, cioè, che l'allargamento ad Est non si traduca in paura per l'immigrazione e per la perdita dei Fondi strutturali e, nei paesi candidati all'ingresso, in ostilità verso l'acquis communautaire, il complesso di norme da recepire negli ordinamenti interni. Ostacolo a questa sfida, però, è la «deriva economicistica» che fino ad oggi ha caratterizzato l'UE, frutto di una cultura euroliberista ed euroliberale.
L'euroliberismo concepisce il mercato come una realtà ontologica, un «soggetto politico autonomo», rendendo tutti gli aspetti non economici della vita comunitaria una deroga alle logiche di scambio orientate alla stabilità ed alla coesione. Nell'euroliberalismo, invece, vengono alla luce i presupposti filosofici dell'UE. Esso è l'alfiere della democrazia nell'accezione datane da Locke e Montesquieu, ma esercitata esclusivamente all'interno dell'economia di mercato. La democrazia liberale è paladina della libertà contro la «pervasività» dell'intervento pubblico. Le quattro libertà fondanti l'UE (circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e delle persone), però, hanno solamente un'applicazione economicistica: le merci godono di un'assoluta liberà di circolazione mentre le persone, i migranti in particolare, trovano sempre più ostacoli e limitazioni. Vero fulcro dell'UE è l'individuo sospeso tra la preminenza dell'economia di mercato e il diminuire delle tutele del welfare state, sacrificate sull'altare dell'efficienza e dell'impresa divenuta, in ossequio a Schumpeter, la «cellula fondamentale della società [...] soggetto etico in senso originario». Data l'ostilità esistente tra ogni singolo individuo, nel liberalismo è impossibile riscontrare l'affermazione di diritti nella dimensione comunitaria se non quelli tutelanti la proprietà ed il possesso dei beni, possesso vissuto nel solipsistico dominio del soggetto su se stesso. Nonostante l'UE in diversi pronunciamenti abbia cercato di smentire quest'ispirazione, l'Autore ritiene che ciò non sia stato sufficiente, dal momento che non si intravede alcun radicale cambio di prospettiva che ponga al centro del processo politico la persona, il soggetto che nell'apertura all'Altro ha il suo costitutivo fondamentale. Non si è ancora passati, cioè, dall'Europa di Friedrich von Hayek all'Europa di Emmanuel Mounier, nella quale i diritti di ognuno sono correlati all'esistenza di una comunità umana e scaturiscono dalle relazioni che ognuno intesse in funzione del bene comune.
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, firmata al Consiglio Europeo di Nizza del 7 dicembre 2000, nucleo della futura Costituzione europea, mostra la ristrettezza di orizzonti del liberalismo. I passaggi che lasciano perplesso l'Autore sono diversi, a partire da come intendere il principio della neutralità dell'azione pubblica: questa deve essere regolativa dell'attività dei soggetti senza, però, prendere posizione sulle preferenze di persone o gruppi, oppure deve essere deliberativa compiendo, dopo il momento del dialogo, delle scelte precise a scapito di altre? Analoghe perplessità sono espresse su come, nella Carta, siano stati formulati i diritti fondamentali, ricalcando i primi dieci emendamenti alla Costituzione americana del 1791 e impiantandoli nella filosofia di Kant, Locke ed Hobbes. Pure criticata è la riduzione delle radici religiose dell'Europa ad un mero patrimonio spirituale e morale, così come la rinunzia a dare una definizione della famiglia, rimandando, nell'ambiguità, alle singole legislazioni nazionali l'esercizio del diritto di sposarsi.
A tali questioni di principio si abbinano anche interrogativi più concreti: esiste un popolo, un démos, europeo? Esiste un progetto in grado di far percepire ai 350 milioni di europei l'UE come un orizzonte di senso e non solo come un laboratorio economico riservato a 50.000 eurocrati? E' possibile superare il groviglio legislativo comunitario e chiarire i rapporti tra Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo? E' ancora concepibile l'autoreferenzialità della Banca Centrale Europea? Per rispondervi adeguatamente, Ferrara sostiene la necessità che l'UE vari delle riforme, ma che, soprattutto, si dia una ri-forma, si dia cioè una nuova identità. Le prime debbono condurre ad un'Europa della governance e della sussidiarietà, in cui l'articolazione dei poteri non sia più gerarchica, ma reticolare e a partire dal basso (il cosiddetto buttom up). La ri-forma, invece, deve apportarle un'anima, farla volare alto rispetto ai parametri di Maastricht, indirizzandola a divenire un'unità molteplice che abbia al centro la persona umana. Nei profondi mutamenti connessi alla globalizzazione, l'Europa non può sfuggire dall'aprirsi all'Altro che bussa nella persona dell'immigrato. Come ha scritto Edgar Morin, l'alterità è costitutiva della stessa Europa: non è stata l'unità dell'identità europea a differenziarsi nel corso della storia, ma, al contrario, è stata l'alterità che ha prodotto l'identità europea. Essa, come ricorda Gadamer, è un aggregato di diversità che nel dialogo ha il suo unico patrimonio. Tale apertura, però, sarà possibile solo trasfigurando le categorie dell'interesse nelle categorie della gratuità, trasformando cioè l'UE nella Comunità della solidarietà, dell'ospitalità, della convivialità e della comunione. Una res publica europaea che faccia sua la logica del buon Samaritano insieme all'ideale meno rivendicato dal 1789: la fraternità.
Per le argomentazioni e per lo stile nel quale sono espresse, il lavoro di Pasquale Ferrara merita di essere letto. Una sola osservazione che, però, non inficia il merito di aver sottratto all'esclusiva lettura economica il problema del futuro dell'Europa: l'assenza, nel volume, di un'appendice nella quale riportare le principali tappe passate e future dell'UE, una sintesi dei documenti e delle istituzioni citate nel testo ed una bibliografia ragionata per i neofiti della materia
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